Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19776 del 04/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 04/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 04/10/2016), n.19776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20409-2013 proposto da:

Z.V.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LIMA 20, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IACOVINO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., già RAI – Radiotelevisione

Italiana – Società per azioni, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CLAUDIO ACHILLINI, 45, presso lo studio dell’avvocato

MARINA LA RICCA, che la rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5129/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/09/2012, R.G. N. 3387/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato VINCENZO IACOVINO;

udito l’Avvocato ALESSANDRA AMORESANO per delega Avv. MARINA LA

RICCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 4.9.12 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da Z.V.L. contro la sentenza n. 4948/08 del Tribunale capitolino che ne aveva respinto la domanda intesa ad accertare previa declaratoria di nullità del termine apposto agli svariati contratti di lavoro succedutisi dal (OMISSIS) e di invalidità della conciliazione intervenuta il (OMISSIS) – l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. a decorrere dal (OMISSIS), con condanna della società al ripristino del rapporto con assegnazione alle pregresse mansioni di programmista regista di 3 livello e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate fra la data di scadenza dell’ultimo contratto e l’effettiva riammissione in servizio, con relativa regolarizzazione della posizione previdenziale.

Per la cassazione della sentenza ricorre Z.V.L. affidandosi a cinque motivi.

RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1424, 1325 e 2113 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non impugnata nel termine semestrale di cui all’art. 2113 c.c. la conciliazione intervenuta fra le parti il (OMISSIS), termine che invece, ove pure si fosse ritenuto applicabile l’art. 2113 c.c. ad una transazione originariamente stipulata ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater c.p.c. poi convertita dal giudice di prime cure in una transazione semplice, dovrebbe decorrere solo dal momento dell’accertamento giudiziale della non configurabilità di detta conciliazione come conciliazione in sede sindacale, qualificata dal giudice, appunto, come transazione semplice o mero atto di rinuncia ai pregressi diritti; inoltre – prosegue il ricorso – l’art. 2113 c.c. non è applicabile a rinunce e transazioni concernenti i contratti di lavoro autonomo e tali erano stati (seppure apparentemente, giacchè in realtà dissimulavano veri e propri contratti di lavoro subordinato) alcuni di quelli che nel corso degli anni erano stati stipulati fra le parti; di tale conciliazione la ricorrente lamenta altresì la mancata dichiarazione di nullità per frode alla legge (consistente nella “sanatoria” di 16 anni di lavoro prestato in violazione del diritto della ricorrente all’assunzione a tempo indeterminato).

Analoghe doglianze vengono fatte valere con il secondo motivo sotto forma di violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1344 e 1325 c.c., là dove la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto valida la transazione nonostante il difetto di oggetto determinato o determinabile, di reciproche concessioni e di consapevolezza dei diritti dismessi, come dimostrato dalle prove testimoniali e dal libero interrogatorio della parte, la cui volontà era stata coartata.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e art. 1344 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia non ha dichiarato nulla la clausola di apposizione del termine al contratto stipulato ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del contratto collettivo aziendale 8.6.2000 per un programma o una pluralità di programmi non specificati, per di più tralasciando che per i dipendenti RAI le clausole apposte ai sensi dell’abrogato art. 23 L. n. 56 del 1987 mantenevano la propria efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali e tale non era il contratto collettivo aziendale del l’8.6.2000.

Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione e omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio, non essendosi l’impugnata sentenza espressa sull’intento elusivo, da parte della RAI, delle disposizioni di legge relative ai limiti del contratto a termine, vista la prolungata reiterazione delle assunzioni a tempo determinato della ricorrente.

Infine, il quinto motivo denuncia omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell’avere la ricorrente comunque di fatto lavorato per la RAI anche negli intervalli fra la stipula d’un contratto e quello successivo.

2- I primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono da disattendersi.

Secondo l’impugnata sentenza dalla conciliazione del (OMISSIS) emergono conformemente alla fattispecie di cui all’art. 1965 c.c. – la res dubia (avente ad oggetto la qualificazione dei precedenti contratti), l’intento esplicito di prevenire liti future e l’oggetto determinato, consistente in tutti i diritti comunque riferibili ai rapporti di lavoro intercorsi fra le parti fino alla data suddetta.

Sempre la gravata pronuncia ha ravvisato le reciproche concessioni, proprie della figura negoziale di cui all’art. 1965 c.c., nell’abbandono, da parte della lavoratrice, di ogni possibile pretesa per il periodo pregresso, dietro impegno aziendale ad assumerla nuovamente a termine.

Peccano in termini di autosufficienza le obiezioni circa l’effettiva determinabilità dell’oggetto dell’accordo transattivo, non figurandone in ricorso la trascrizione completa nè l’indicazione della precisa posizione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), adempimenti che pur sarebbero stati necessari, a tal fine non bastando il mero parziale stralcio dell’accordo medesimo che si legge nella motivazione della sentenza impugnata.

Quanto alla mancata consapevolezza, da parte della lavoratrice, dell’abbandono dei propri diritti malgrado il testo inequivocabile della conciliazione de qua, si tratta di ipotesi che resta sul piano meramente assertivo e che, al più e in teoria, avrebbe potuto giustificare non già la nullità della conciliazione medesima, ma – semmai – il suo annullamento per errore ex art. 1429 c.c. ove fosse stato ravvisabile, s’intende, il requisito dell’essenzialità oltre a quello della riconoscibilità dell’errore previsto dall’art. 1431 c.c. in base ad un accertamento in punto di fatto già negativamente risolto dalla gravata pronuncia e che non può essere rivisitato da questa Corte Suprema.

Il ricorso ipotizza, poi, una coartazione della volontà della lavoratrice, ossia una violenza ex art. 1434 c.c., che però è stata tardivamente prospettata solo nelle note difensive depositate innanzi ai giudici d’appello (come si legge nella sentenza impugnata), sicchè, trattandosi di motivo di gravame nuovo già in secondo grado (e come tale è stato trattato dalla Corte territoriale), a maggior ragione esso non può essere fatto valere in sede di legittimità.

Quanto all’ipotizzata nullità dei contratti anteriori alla conciliazione del (OMISSIS) perchè in frode alla legge, il suo accertamento è ormai precluso proprio dalla conciliazione medesima, che si sarebbe dovuta impugnare – proprio perchè correttamente qualificata come una normale transazione – nel termine semestrale di cui all’art. 2113 c.c., il che non è avvenuto.

In proposito è appena il caso di ricordare che, quando l’atto transattivo o abdicativo di diritti scaturenti da un primo contratto si collochi fra la cessazione di questo e la stipula di un altro fra le medesime parti, il termine semestrale di impugnazione ex art. 2113 c.c. decorre dalla data di cessazione del primo o da quella, eventualmente posteriore, della rinuncia o della transazione stessa (cfr. Cass. n. 696/92).

Non ha alcun rilievo, invece, il fatto che l’esatta qualificazione giuridica dell’accordo transattivo del (OMISSIS) (non già la conversione ex art. 1424 c.c. del contratto nullo) sia avvenuta in sede giudiziaria, essendo onere della parte interessata individuarla e regolare di conseguenza il proprio agire negoziale (che comprende anche la manifestazione di volontà di impugnare rinunce e transazioni ex art. 2113 c.c.).

E’, poi, logicamente e giuridicamente incompatibile da un lato asserire che i contratti di lavoro autonomo dissimulavano, in realtà, veri e propri contratti di lavoro subordinato e, dall’altro, invocare l’inapplicabilità nella vicenda in esame del termine semestrale dell’art. 2113 c.c., noto essendo – invece – che, ex art. 1414 c.c., comma 2, tra le parti ha effetto non già il contratto simulato, ma quello dissimulato (purchè ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma), con conseguente applicabilità del relativo regime giuridico (e, quindi, anche dell’art. 2113 c.c.).

Nè in frode alla legge può considerarsi la transazione medesima sol perchè con essa la ricorrente ha rinunciato a far valere i diritti connessi alle pregresse prestazioni lavorative, atteso che le rinunce e transazioni cui si riferisce l’art. 2113 c.c. sono proprio quelle “che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi”.

3- Il terzo motivo è infondato.

Questa S.C. ha già avuto modo di affermare, proprio con riferimento a contratti a termine stipulati dalla RAI (cfr., ex aliis, Cass. n. 15455/12), che la L. n. 56 del 1987, art. 23 – che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi, ulteriori rispetto a quelle legali, di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro – richiede che i contratti collettivi (non qualificati quanto al loro livello) siano “stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”; dunque, non richiede che il contratto collettivo debba essere nazionale, nè compie alcuna selezione con riferimento alla parte datoriale, che – pertanto – può essere anche una singola azienda.

Ne consegue che anche un contratto aziendale, purchè stipulato con un’organizzazione sindacale che presenti i suddetti requisiti di rappresentatività sul piano nazionale, può legittimamente individuare nuove ipotesi di apposizione del termine.

Ulteriore corollario è che, come questa Corte ha già statuito (cfr. Cass. n. 27/2014), con orientamento cui va data continuità, le clausole degli accordi collettivi aziendali del 5.4.97 e dell’8.6.2000 per i dipendenti RAI, stipulate ai sensi dell’abrogato art. 23 L. n. 56 del 1987, che prevedono ipotesi di apposizione del termine ulteriori rispetto a quelle legali, rientrano nel regime transitorio previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 e quindi mantengono, al pari dei contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, la propria efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi.

Il contratto collettivo di lavoro del 2000 aveva come data di scadenza il 31.12.03 per la parte normativa (mentre l’ultimo contratto a termine fra le odierne parti è anteriore a tale data), di guisa che ha conservato vigore sino a tale epoca in forza del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, comma 2.

4- Il quarto motivo è infondato, perchè i giudici di merito avrebbero potuto verificare l’esistenza o meno d’un intento elusivo da parte della società controricorrente nella reiterazione dei contratti a termine ove ciò non fosse risultato precluso dalla summenzionata conciliazione del (OMISSIS).

5- Ancora infondato è il quinto motivo di ricorso, perchè basta leggere la gravata pronuncia per accorgersi che la Corte territoriale ha espressamente motivato sulla mancanza di prova dell’assunto secondo cui la ricorrente avrebbe comunque di fatto lavorato per la RAI anche negli intervalli fra la stipula d’un contratto e quello successivo.

6- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2016

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