Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19769 del 04/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 04/10/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 04/10/2016), n.19769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5653-2015 proposto da:

S.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO CAROZZA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8638/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/12/2014 R.G.N. 2522/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;

udito l’Avvocato CAROZZA DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Così è riferito dalla sentenza impugnata: S.V., dipendente della società Poste Italiane, proponeva opposizione avverso l’ordinanza pronunciata il 4.12.12, ex L. n. 92 del 2012, dal Tribunale di Napoli che rigettava la domanda di impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli da Poste il (OMISSIS) per la contestata commissione di numerose irregolarità nell’acquisto di buoni postali e nella negoziazione di assegni.

L’opposizione veniva respinta con sentenza del 20.5.14. Anche il reclamo proposto dallo S. dinanzi alla Corte d’appello di Napoli veniva respinto con sentenza depositata il 17.12.2014.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso lo S., affidato a tre motivi. Resiste la società Poste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e art. 54, comma 6, lett. c) del c.c.n.l. dei dipendenti di Poste Italiane del (OMISSIS), con riferimento alla L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 5 e art. 416 c.p.c., comma 3, art. 115 c.p.c., comma 1, nonchè dell’art. 1455 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che la corte di merito non aveva valutato che l’azienda non aveva chiaramente contestato le giustificazioni fornite dal ricorrente circa la regolarità delle operazioni finanziarie contestategli, nonchè i documenti inerenti tali operazioni, nè esaminato adeguatamente l’elemento intenzionale delle condotte contestate.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “l’omesso esame dei fatti storici dedotti al capo 8 e nella parte in diritto del ricorso introduttivo al giudizio sommario e ripetuti nel ricorso introduttivo al giudizio di opposizione nonchè richiamati nel reclamo, consistenti nella non contestata presenza degli intestatari degli assegni e dei beneficiari dei BFP nel corso delle operazioni oggetto di contestazione disciplinare nonchè del controllo (sempre) effettuato dal ricorrente sulla esatta compilazione dei moduli di richiesta di negoziazione degli assegni da parte degli stessi e, infine, sul riscontro dei codici fiscali dei clienti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. “avuto riguardo all’art. 54 del c.c.n.l. di settore dell’aprile 2011 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Lamenta che la sentenza impugnata aveva erroneamente applicato l’art. 54, comma 6, lett. c), del c.c.n.l. e non invece la lett. d) comminante, per casi analoghi, una sanzione solo conservativa.

4.- Il ricorso, composto di oltre cento pagine non numerate, ed in massima parte dalla riproduzione fotografica di tutti gli atti dell’articolato iter di causa (atti difensivi e provvedimenti giudiziari inerenti le pregressi fasi del giudizio L. n. 92 del 2012, ex art. 1, commi 47 e seguenti: ricorso e memoria, ordinanza del Tribunale; opposizione e memoria, sentenza; reclamo e memoria, sentenza della Corte d’appello), con aggiunta di numerosi documenti di vario tipo, collegati da semplici locuzioni di raccordo, è inammissibile per non contenere una effettiva esposizione dei fatti, affidata essenzialmente alla ponderosa produzione fotografica riferita, cui seguono, nelle ultime sole sei pagine, i tre motivi di ricorso di cui sopra.

Occorre allora rimarcare che (cfr. Cass. n. 4823/2009, Cass. n. 6279/2011, Cass. n. 15180/2010, Cass. sez. un. n. 16628 /2009) la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, limitandosi ad allegare, mediante riproduzione in ricorso, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi con semplici locuzioni di raccordo (Cass. 28.5.2012, n. 11044), rendendo particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo scopo della disposizione, preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura.

Come poi osservato da Cass n 16254/2012 e Cass. n. 2527/2015, il ricorso per cassazione col quale si lamenta l’erronea od omessa valutazione, da parte del giudice di merito, di atti e documenti, è inammissibile sia quando si limita a richiamarli senza trascriverne i passi salienti o, in alternativa, fornire gli elementi necessari per individuarli all’interno del fascicolo; sia quando, all’opposto, il ricorrente trascriva pedissequamente e per intero nel ricorso atti e documenti di causa, addossando in tal modo alla Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere, e dunque un giudizio di fatto.

E’ dunque inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione confezionato in modo tale che siano riprodotti con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi prodotti, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento. Detta modalità grafica, poichè equivale, nella sostanza, ad un rinvio puro e semplice agli atti di causa, viola il precetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, (Cass. ord. n. 18020 del 24/07/2013, Cass. Sez. Un., ord. n. 19255 del 09/09/2010).

Giova infine rammentare l’insegnamento di Cass. 7 febbraio 2012 n. 1716, secondo cui il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, espresso nell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonchè la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori, eventualmente con la trascrizione dei passi salienti. Il requisito dell’autosufficienza non può tuttavia ritenersi soddisfatto nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto di impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, come se nel giudizio di legittimità fosse possibile la ripetizione del giudizio di fatto.

4.1 – Deve ancora, ed infine, considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., e plurimis, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).)

Nella specie le censure si sostanziano in vizi di motivazione (id est, erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta), riferiti a sentenza pubblicata dopo l’11.9.2012, sicchè deve rimarcarsi che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, specificamente indicato, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra invece di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Tali requisiti difettano nella fattispecie, sicchè le censure motive denunciate in ricorso, dirette ad un sostanziale riesame delle circostanze di causa, esaminate dalla sentenza impugnata, sono inammissibili.

Del resto, secondo le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia cosi radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

6. – Difettando l’odierno ricorso degli imprescindibili requisiti sin qui esposti, esso deve senz’altro dichiararsi inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2016

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