Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19767 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19767 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege
– ricorrente contro

Di Silvio Alberto e Bastianelli Anna Maria,
elettivamente domiciliati in Roma Via Oppido
Mamertina 4, presso lo studio dell’Avv.to
G.Negretti, e rappresentati e difesi dall’Avv.to
Giorgio Marino, in forza di procura speciale in
cale al controricorso
– controricorrente –

avverso

la

Commissione

sentenza
Tributaria

n.

133/28/2006

regionale

del

della
Lazio,

depositata il 13/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 13/06/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia, per
parte

ricorrente, e l’Avv.to Giorgio Marino, per

parte controricorrente;

Data pubblicazione: 28/08/2013

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Maurizio Velardi, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con

sentenza

n.

133/28/2006

del

20/09/2006,

depositata in data 13/10/2006, la Commissione
Tributaria Regionale del Lazio, Sez. 28,
accoglieva, con compensazione delle spese di lite,

Bastianelli Anna Maria e Di Silvio Alberto, avverso
la decisione n. 24/52/2004 della Commissione
Tributaria Provinciale di Roma, che aveva solo
parzialmente accolto il ricorso dei suddetti
contribuenti contro un avviso di accertamento, con
il quale, a seguito di controllo automatizzato dei
ricavi dichiarati in relazione all’attività di
commercio al dettaglio di carni, per l’anno 1996,
svolta nel Comune di Lariano, era stato rettificato
il reddito d’impresa, in applicazione dei parametri
di cui ai commi 181, 183 e 184 L.549/1995 ed ai
D.P.C.M. 29/01/1996 e 27/03/1997, ed erano state
liquidate maggiori imposte dovute per IVA, IRPEF e
contributo per l’Europa.
La C.T.P. accoglieva parzialmente le doglianze dei
contribuenti, riducendo i maggiori ricavi accertati
dall’Ufficio del 50% (sui quali lo stesso Ufficio
doveva rideterminare le maggiori imposte dovute,
gli interessi e le sanzioni), tenuto conto sia del
luogo in cui era ubicato l’esercizio sia delle
difficoltà momentanee attraversate dal settore a
causa del fenomeno della “mucca pazza” .
La Commissione Tributaria Regionale respingeva
l’appello incidentale dell’Ufficio ed accoglieva il
gravame dei contribuenti, in quanto riteneva l’atto
impositivo carente di motivazione, rispetto a

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l’appello proposto, in data 4/04/2005, da

quanto richiesto dallo Statuto del Contribuente e
dall’art.3 1.241/1990, considerato che, nell’atto,
non si rinveniva

“una benché minima considerazione

sul fenomeno sollevato dal contribuenti (muccapazza)”

(che avrebbe, secondo i medesimi ridotto il

consumo di carne bovina e di carni alternative) ed
i parametri applicati,

“essendo stati emanati senza

l’acquisizione del preventivo parere del Consiglio

non legale.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo tre
motivi, per violazione e/o falsa applicazione di
norme di diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c.
(Motivo 1, in relazione agli artt.3 commi 181 e 183
L.549/1995, 4 DPR 195/1999 e 42 DPR 600/1973,
dovendo ritenersi legittimo l’atto impositivo
motivato con riferimento alla determinazione
presuntiva dei redditi attraverso l’applicazione
dei parametri, sulla base dell’esiguità dei redditi
dichiarati nel 1996 dai coniugi Di SilvioBastianelli per l’attività d’impresa, con una
perdita dichiarata di E 2.988.000, non verosimile,
essendo l’attività l’unica fonte di sostentamento
della famiglia, ed avendo la ricostruzione
parametrica il carattere di presunzione relativa,
grave, precisa e concordante con conseguente
inversione dell’onere della prova a carico dei
contribuenti, i quali, invitati al contraddittorio
prima dell’emissione dell’avviso, avevano addotto
giustificazioni indimostrate, nonché rifiutato una
riduzione del 25% sui maggiori ricavi accertabili
in base ai parametri; Motivo 2,

in relazione agli

artt.7 1.212/2000, 3 1. 241/1990 e 42 DPR 600/1973,
dovendo ritenersi l’avviso congruamente motivato,

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di Stato” assurgevano a mera presunzione semplice e

malgrado la mancata allegazione dei verbali di
ispezione e verifica, richiamati nell’atto, in
quanto redatti alla presenza dei contribuenti e
dunque

dagli

stessi

conosciuti),

e

per

insufficiente motivazione su fatto controverso e
decisivo, ai sensi dell’art.360 n. 5 c.p.c. (Motivo
3, avendo la C.T.R. trascurato l’esame delle
controdeduzioni

depositate

dall’Agenzia

delle

appello incidentale, in risposta alla circostanza,
allegata dai contribuenti a giustificazione della
perdita dichiarata, relativa alla crisi del settore
provocata dal fenomeno della “mucca-pazza”).
Hanno resistito i contribuenti con controricorso,
anche eccependo l’improcedibilità del ricorso per
tardività, dovendo il termine lungo, ex art.327
c.p.c., decorrere dalla data di deposito della
sentenza e non risultando dal plico, notificato a
mezzo posta, la data di consegna dell’atto, cui
ricollegare la tempestività del deposito in
cancelleria del ricorso, ai sensi dell’art.369
c.p.c..
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai
sensi dell’art.378 c.p.c..
Motivi della decisione
Vanno

esaminate

anzitutto

le

eccezioni

pregiudiziali dei controricorrenti.
In

ordine

alla

tardività

del

ricorso per

cassazione, risulta, dagli atti, che la sentenza
impugnata è stata depositata in data 13/10/2006
(venerdì), mentre il ricorso per cassazione è stato
consegnato all’Ufficiale giudiziario,
dall’Avvocatura Generale dello Stato, per la
notifica, in data 28/11/2007 (mercoledì).
Ora, il termine lungo per impugnare, in difetto di

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Entrate in primo grado e di uno specifico motivo di

notifica della sentenza, di un anno e quarantasei
giorni, ai sensi dell’art.327 c.p.c., considerato
il periodo feriale di sospensione dei termini,
decorrente dalla data di deposito della stessa
sentenza, scadeva proprio il giorno 28 novembre,
ultima data utile, rispettata dal notificante.
L’eccezione è dunque infondata.
L’ulteriore eccezione dei controricorrenti (con la
sul plico contenente

il ricorso per cassazione notificato,

“della data

di consegna dell’atto presso l’Ufficiale
Giudiziario”,

ai fini della verifica del rispetto

della prescrizione di cui all’art.369 c.p.c.,
relativa al deposito del ricorso per cassazione nel
termine di venti giorni dall’ultima notificazione
alle parti) è del pari infondata, non risultando
chiara nella sua formulazione, ai fini del rispetto
del principio di autosufficienza.
L’Agenzia ricorrente si duole, con il primo motivo,
della non corretta applicazione da parte dei
giudici tributari delle disposizioni normative
concernenti la determinazione del reddito d’impresa
mediante i criteri presuntivi offerti dalla
ricostruzione parametrica, nonché la non corretta
scelta di annullare

in toto l’atto impositivo, in

luogo di una rideterminazione del reddito congruo.
Il motivo è infondato.
Va osservato anzitutto che questa Corte, con
orientamento assolutamente consolidato, ha
affermato il principio secondo il quale il processo
tributario tende all’accertamento sostanziale del
rapporto controverso e l’atto di accertamento
costituisce il “veicolo di accesso” al giudizio di
merito sul rapporto (cfr Cass.21446/2009).
Ne consegue che

“soltanto ove esso sia affetto da

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quale si lamenta “l’assenza”,

vizi formali a tal punto gravi da impedire
l’identificazione dei presupposti impositivi e di
precludere l’esame del merito del rapporto
tributario, come potrebbe avvenire in ipotesi di
difetto assoluto o di totale carenza di
motivazione, il giudizio deve concludersi con una
pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi
altrimenti il principio di economia del mezzi

avvalersi del propri poteri valutativi ai fini
della decisione”

(Cass. 21446/2009 cit. e

Cass.13068/2011; Cass. n. 5776/2000).
Ed invero, il principio secondo cui le ragioni
poste a base dell’atto impositivo segnano i confini
del processo tributario,

che è un giudizio

d’impugnazione dell’atto, sì che l’Ufficio
finanziario non può porre a base della propria
pretesa ragioni diverse e modificare nel corso del
giudizio la motivazione dell’atto, non esclude il
potere del giudice di qualificare autonomamente la
fattispecie posta a fondamento della pretesa
fiscale, né l’esercizio di poteri cognitori
d’ufficio, non potendo ritenersi che i poteri del
giudice tributario siano più limitati di quelli
esercitabili in qualunque processo d’impugnazione
di atti autoritativi, quale quello amministrativo
di legittimità (Cass. n. 22932/2005).
Tuttavia,

nella

fattispecie,

risulta

che

i

contribuenti hanno risposto all’invito al
contraddittorio da parte dell’Ufficio adducendo le
peculiari caratteristiche dell’impresa esercitata,
ubicata in un piccolo centro di provincia, nonché
le situazioni anomale di mercato intervenute nel
settore nel corso dell’anno d’imposta e la
sentenza impugnata afferma che

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“dall’esame

processuali, che consente al giudice tributario di

dell’avviso di accertamento si rileva la carenza di
motivazione richiesta_inoltre nell’atto non si
rinviene una benché minima considerazione sul
fenomeno sollevato dai contribuenti (mucca-pazza)”,
con conseguente declaratoria di annullamento
dell’atto impositivo per carenza di motivazione.
Ora, questa Corte ha chiarito che la procedura di
accertamento tributario standardizzato mediante

settore costituisce un sistema di presunzioni
semplici, la cui gravità, precisione e concordanza
non è

“ex lege” determinata dallo scostamento del

reddito dichiarato rispetto agli

“standards” in sé

considerati – meri strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da
attivare obbligatoriamente, pena la nullità
dell’accertamento, con il contribuente. In tale
sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza
limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la
sussistenza di condizioni che giustificano
l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti
cui possono essere applicati gli

“standards”

o la

specifica realtà dell’attività economica nel
periodo di tempo in esame, mentre la motivazione
dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel
rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata
con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto
dello “standard” prescelto e con le ragioni per le
quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente.
L’esito

del

contraddittorio,

tuttavia,

non

condiziona l’impugnabilità dell’accertamento,
potendo il giudice tributario liberamente valutare
tanto l’applicabilità degli

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“standards”

al caso

l’applicazione dei parametri o degli studi di

concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore,
quanto la controprova offerta dal contribuente che,
al riguardo, non è vincolato alle eccezioni
sollevate nella fase del procedimento
amministrativo e dispone della più ampia facoltà,
incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se
non abbia risposto all’invito al contraddittorio in
sede amministrativa, restando inerte.

questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può
motivare l’accertamento sulla sola base
dell’applicazione degli

“standards”,

dando conto

dell’impossibilità di costituire il contraddittorio
con il contribuente, nonostante il rituale invito,
ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio,
la mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U.
26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass.12428/2012,
Cass.23070/2012).
In termini di onere della prova, nella citata
sentenza delle Sezioni unite, si è affermato,
schematicamente, che

“l’onere della prova (…) è

così ripartito:a) all’ente impositore fa carico la
dimostrazione dell’applicabilità dello standard
prescelto al caso concreto oggetto
dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa
carico la prova della sussistenza di condizioni che
giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area
dei soggetti cui possano essere applicati gli
standard o della specifica realtà dell’attività
economica nel periodo di tempo cui l’accertamento
si riferisce”.
Come successivamente precisato ulteriormente da
questa Corte (Cass.3312/2011), il fine e l’effetto
del principio di diritto affermato delle Sezioni
Unite è stato quello di porre in luce l’importanza

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In tal caso, però, egli assume le conseguenze di

del contraddittorio, non solo nel processo ma anche
nella realtà, quale strumento principale di
verificazione o falsificazione della corrispondenza
tra realtà e sua rappresentazione, in quanto
proprio “in sede di contraddittorio – il quale può
avvenire già in fase amministrativa, ma anche e
soprattutto nel giudizio – il contribuente potrà in
primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri

elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o
su criteri di elaborazione e di inferenza illogici”
e potrà quindi chiedere l’annullamento del
provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e
dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in
errore operativo nell’applicare i parametri alla
sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità
della propria attività rispetto alla tipologia alla
quale quei parametri intendono riferirsi o la
sussistenza, nella propria attività di caratteri
per così dire anormali, cioè di elementi che la
diversificano rispetto a quelle in riferimento alle
quali è stata individuata la normalità reddituale.
Ove il contribuente, pur essendo stato messo in
condizione di dedurre, nulla dice, legittimamente
“l’Ufficio impositore prima e il giudice poi non
avranno elementi per escludere che l’attività in
questione sia un’attività “normale” ed abbia quindi
una redditività normale”;

ove il contribuente

prospetti, invece, la sussistenza di circostanze di
fatto, tali da allontanare la sua attività dal
modello normale al quale i parametri fanno
riferimento,

“spetterà all’ufficio prima e al

giudice poi valutare in primo luogo se tali
circostanze sono vere e poi se esse possono essere
effettivamente idonee a “giustificare” un reddito

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utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su

inferiore a quello che sarebbe normale e quindi
presuntivamente vero in assenza di esse”.
In sostanza, i parametri previsti dall’art. 3,
commi da 181 a 187, l. 28 dicembre 1995 n. 549,
rappresentando la risultante dell’estrapolazione
statistica di una pluralità di dati settoriali
acquisiti su campioni di contribuenti e dalle
relative dichiarazioni,

rivelano valori che,
integrano il

presupposto per il legittimo esercizio da parte
dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo
ex art. 39, comma l, lett. d, DPR 29 settembre 1973
n. 600, e, soltanto ove siano stati contestati, in
sede di contraddittorio con il contribuente, sulla
base di allegazioni specifiche, sono inidonei a
supportare da soli l’accertamento medesimo, se non
confortati da elementi concreti desunti dalla
realtà economica dell’impresa.
Nella fattispecie, vertendosi in ipotesi nella
quale, come si evince dal ricorso, il contribuente
aveva risposto all’invito dell’Ufficio impositivo
al contraddittorio, il giudice ha rilevato che di
tali circostanze di fatto specifiche, al fine di
“giustificare”

un reddito inferiore a quello che

sarebbe stato normale e quindi presuntivamente vero
in assenza di esse, circostanze che dovevano essere
vagliate dall’Ufficio come idonee ad escludere
quelle condizioni di normalità necessarie per
l’inserimento di un’impresa nell’area dei soggetti
ai quali possono essere applicati gli

standards

previsti dall’utilizzo dei parametri, non vi era
alcun cenno nella motivazione dell’avviso, per tali
motivi del tutto carente.
Va

ribadito

l’applicazione

che,
dei

nell’accertamento
parametri,

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assume

mediante
rilievo

quando eccedono il dichiarato,

primario il contraddittorio con il contribuente,
dal quale possono emergere elementi idonei a
commisurare alla concreta realtà economica
dell’impresa la

“presunzione”

indotta dal rilevato

scostamento del reddito dichiarato dai parametri e
pertanto la motivazione dell’atto di accertamento
non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto
scostamento dai parametri, ma deve essere integrata

per le quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente in sede di
contraddittorio: è da questo più complesso quadro
che emerge la gravità, precisione e concordanza
attribuibile alla presunzione basata sui parametri
e la giustificabilità di un onere della prova
contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e
di contenuto) a carico del contribuente.
Nella

specie

peraltro,

sotto

il

profilo

dell’autosufficienza del ricorso, il contenuto
dell’avviso di accertamento non viene ritrascritto
dalla ricorrente, ai fini del vaglio da parte di
questa Corte.
Il secondo motivo non coglie la

ratio decidendi

della sentenza, non incentrata sulla mancata
allegazione dei verbali redatti in sede di
contraddittorio con i contribuenti.
Il terzo motivo, involgente vizio di motivazione,
del pari infondato.
Invero, poiché la controversia verteva sui maggiori
ricavi accertati dall’Ufficio, per i quali il
contribuente, già previamente, in sede di
contraddittorio nella fase endoprocedimentale,
nonché, in giudizio, aveva addotto di non averli
realmente incassati nell’anno di imposta oggetto
dell’accertamento (1996), il giudice tributario ha

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(anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni

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