Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19765 del 22/09/2020
Cassazione civile sez. trib., 22/09/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 22/09/2020), n.19765
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9488/2014 R.G. proposto da:
MORLIN SRL SOCIETA’ UNIPERSONALE, rappresentata e difesa dall’avv.
Mario Calgaro e dall’avv. Paolo Panariti, elettivamente domiciliata
in Roma, via Celimontana, n. 38, presso lo studio di quest’ultimo.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,
rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio
legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato.
– controricorrente, ricorrente con ricorso incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del
Veneto, sezione n. 31, n. 56/31/13, pronunciata l’11/11/2013,
depositata il 17/12/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre
2019 dal Consigliere Riccardo Guida.
Fatto
FATTO E DIRITTO
L’Agenzia delle entrate di Bassano del Grappa notificò alla Morlin Srl un avviso di accertamento con il quale venivano contestati, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, per l’anno d’imposta 2003, costi indeducibili (Euro 218.340,00) relativi a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti; tale atto impositivo divenne definitivo per mancata impugnazione nei termini di legge.
In data 6/05/2010 la contribuente presentò all’Amministrazione finanziaria istanza di annullamento in autotutela dell’avviso, adducendo che il Tribunale penale di Bassano del Grappa, con sentenza del 23/03/2010, aveva assolto, per insussistenza del fatto, il legale rappresentante della società dal reato di false fatturazioni.
L’ufficio, oltre a notificare (il 6/05/2010) alla società una cartella di pagamento conseguente al detto avviso, in data 8/06/2010, emise un provvedimento di diniego di autotutela che fu impugnato dalla società, innanzi alla CTP di Vicenza, per ragioni d’illegittimità dell’accertamento fiscale.
Il giudice di prossimità, con sentenza n. 67/04/11, rigettò il ricorso e tale decisione è stata confermata dalla CTR del Veneto che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello della contribuente.
In particolare, la commissione regionale, richiamata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. 13/11/2012, n. 19740), sull’annullamento in autotutela di un avviso di accertamento divenuto definitivo, e premesso che l’istanza di autotutela era fondata solo sull’assoluzione, del legale rappresentante della società, dal reato di false fatturazioni, ha escluso che vi fosse un interesse pubblico all’annullamento che – a parere della CTR non può essere integrato dal mero errore sul presupposto dell’imposta (ai sensi del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 2, comma 1, lett. c), “perchè deve trattarsi, in conformità a quanto previsto in caso di revocazione della sentenza di cui all’art. 395 c.p.c., di errore di fatto coevo all’emissione dell’atto impositivo.” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata); diversamente opinando – a giudizio della CTR – si darebbe ingresso a un giudizio sulla legittimità dell’atto impositivo ormai definitivo.
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati anche con una memoria (vedi infra); l’Agenzia ha resistito con controricorso, nel quale è proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a un unico motivo.
Con la memoria del 16/10/2019 (notificata a mezzo PEC all’Avvocatura dello Stato), la ricorrente ha comunicato di avere presentato dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, ai sensi del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, e che, quindi, (testualmente) è venuta meno la materia del contendere.
L’istanza evidenzia la sopravvenuta carenza d’interesse della ricorrente ad ottenere una decisione in relazione al ricorso come originariamente proposto.
Va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, con compensazione tra le parti, delle spese del giudizio di legittimità, avuto riguardo alla definizione agevolata della controversia.
Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.
Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione nella specie in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’originaria inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (Cass. n. 29822/2018; n. 23175/2015).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; compensa, tra le parti, le spese processuali dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020