Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19759 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19759 Anno 2013
Presidente: VALITUTTI ANTONIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 23867-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –

2013
1757

contro

BOLLANTI VEICOLI SANITARI SRL in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA PIAZZA ORAZIO MARUCCHI 5, presso lo studio
dell’avvocato PROIETTI FABRIZIO, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 28/08/2013

- controri corrente –

avverso

la

sentenza

n.

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LATINA,

356/2007

della

depositata il

28/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PROIETTI che
deposita nomina di difensore e la sentenza n. 1643/11
del Trib. di Latina, nel merito rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso in subordine
inammissibilità.

udienza del 20/05/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
lia Guardia di Finanza, nel corso di una verifica fiscale compiuta sulla società Bollanti Veicoli
sanitari srl relativa all’anno 2001, contestava alla società contribuente la deduzione di costi relativi
all’anno 2000, la contabilizzazione di sei fatture emesse dalla Quattro Group srl, dalle quali
risultavano prestazioni di servizi rese in violazione del divieto di interposizione di manodopera e la
contabilizzazione fra i costi non imponibili di operazioni effettuate nei confronti della città t (ti

2. Sulla base di tali elementi veniva emesso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle
Entrate Ufficio di Latina recuperava a tassazione l’IVA relativa alle fatture indebitamente detratte
ed alle operazioni condotte con la Città del Vaticano, nonché l’importo relativo alla ritenuta di
acconto sul reddito da lavoro dipendente indebitamente omessa, pure rideterminando il reddito
escludendo i costi non di competenza.
3. La società contribuente impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla CTP di Latina che
rigettava il ricorso.
4. Con sentenza pubblicata il 28 giugno 2007 la CTR del Lazio, sez.staccata di Latina, in riforma
della sentenza resa dalla CTP, accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente,
compensando integralmente le spese.
4.1 II giudice di appello, pur ritenendo infondata la dedotta violazione dell’art.7 1.n.212/2000 in
ragione della precedente notifica del processo verbale di constatazione alla società contribuente,
riteneva che l’errata contabilizzazione dei costi(operata nell’anno 2001 piuttosto che nel 2000) non
aveva influito sui due periodi di imposta, costituendo mera violazione formale senza alcun debito di
imposta. Ragion per cui la stessa non era direttamente sanzionabile. Riteneva, inoltre, corretto il
rilievo dell’appellante in ordine alla ritenuta interposizione di manodopera. Rilevava che la
violazione della disciplina normativa ritenuta dall’Ufficio non era fondata né in fatto, né in diritto e
che, in ogni caso, essendo stati effettuati regolarmente i versamenti previdenziali e fiscali, non
poteva sostenersi l’ulteriore versamento delle ritenute alla fonte a carico della contribuente, tenuto
anche conto del fatto che il Tribunale di Latina aveva assolto i Signori Bollanti “perché il fatto non
sussiste” con sentenza del 19.12.2006.
4.3 Precisava, infine, rispetto al terzo rilievo esposto nell’avviso di accertamento, che la
contribuente aveva documentato la presentazione della dichiarazione di integrazione e definizione
degli anni pregressi.
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. La società
contribuente ha depositato controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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Vaticano, in assenza del visto di entrata da parte delle autorità vaticane.

6. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.109 TUIR,
nonché dell’art.10 c.3 1.n.212/2000, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.Lamenta che la CTR,
nel considerare di natura meramente formale la contabilizzazione dei costi nell’anno 2001 anziché
nell’anno 2000, aveva violato la disposizione sopra indicata del TUIR, come già questa Corte aveva
altra volte avuto modo di chiarire.
7. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione

7.1 La CTR, nell’accogliere l’appello proposto dalla società contribuente, si era limitata ad
affermare che la violazione del divieto di interposizione della manodopera posta a base
dell’accertamento non sembrava fondata né in fatto né in diritto, valorizzando il pagamento dei
versamenti previdenziali e fiscali.
7.2 Così facendo, il giudice di appello aveva dato rilievo a circostanze di fatto irrilevanti rispetto
alla contestazione. Quanto al primo aspetto, infatti, la CTR aveva tralasciato di esaminare gli
elementi indicati dall’ufficio e contenuti nel processo verbale di constatazione a sostegno del
divieto di interposizione della manodopera sancito dall’arti 1.n.1369/2003.
7.3 Aggiungeva che l’assolvimento degli oneri previdenziali e fiscali nei confronti dei lavoratori
forniti alla società contribuente, al quale aveva fatto esplicito riferimento il giudice di appello, era
privo di pregio, essendo compatibile il divieto di interposizione di manodopera con l’ipotesi di
regolarità fiscale, detto divieto riferendosi tanto al caso di appalto simulato, in cui i lavoratori
risultavano fittiziamente come dipendenti dell’appaltatore, che all’ipotesi in cui il servizio reso
aveva ad oggetto la mera prestazione di manodopera sotto la direzione del committente e senza
assunzione di rischio da parte dell’appaltatore.
7.4 Peraltro, la motivazione si palesava oltremodo lacunosa in ordine al profilo relativo alla
indetraibilità degli apparenti corrispettivi indicati nelle fatture emesse dalla Quattro Group srl.
Infatti, gli importi fatturati erano risultati di importo equivalente alle retribuzioni spettanti ai
dipendenti ed ai relativi oneri previdenziali; ciò che impediva di considerarli quali veri corrispettivi.
8. Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di motivazione insufficiente su un punto
decisivo della controversia, avendo la CTR posto a giustificazione del proprio assunto l’assoluzione
nel giudizio penale dei Signori Bollanti perché il fatto non sussiste, senza considerare che
l’assoluzione in sede penale del contribuente non impedisce al giudice tributario un’autonoma
valutazione ed impone comunque a quel giudice un vaglio critico degli elementi acclarati alla luce
del particolare sistema probatorio del giudizio tributario. Nel caso di specie, la CTR, tralasciando di
ponderare gli elementi probatori offerti dall’ufficio a sostegno della pretesa fiscale, aveva quindi
dato luogo ad una motivazione insufficiente.
2

su un punto controverso, in relazione alll’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.

9. Con il quarto motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.Lamenta che la
motivazione della CTR in ordine alle operazioni effettuate con la Città del Vaticano era
contraddittoria, non comprendendosi perché la dichiarazione integrativa proposta con riguardo ad
anni pregressi potesse giovare in relazione alla controversia esaminata.
10. La società contribuente ha dedotto, in linea preliminare, l’assenza di jus postulandi

l’inammissibilità ed infondatezza delle censure- risultando la decisione correttamente motivata-,
espressamente formulando, a sostegno delle ragioni esposta nel corso del giudizio, richiesta di
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in ordine alla compatibilità del sistema sanzionatorio
previsto dalla 1.n.1369/1960 con i principi comunitari dopo che la Corte di Giustizia aveva già
dichiarato l’incompatibilità della normativa interna- peraltro sostituita dalla 1.n.276/2003, entrata in
vigore in epoca antecedente al p.v.c. del 18 marzo 2003 reso dalla Guardia di Finanza. In sede di
memoria, inoltre, la società controricorrente ha dedotto il giudicato esterno sull’insussistenza del
divieto di intermediazione in parte qua, in relazione a quanto deciso dal Tribunale del lavoro di
Latina.
11. Occorre anzitutto sgombrare il campo dalla prospettata inammissibilità del ricorso per
Cassazione per difetto di jus postulandi da parte dell’Avvocatura dello Stato, essendo ormai
granitica la giurisprudenza di questa Corte nel senso esattamente opposto alle argomentazioni
esposta dalla società controricorrente, ritenendosi che ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel
giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a
quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1,
secondo comma, del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, secondo il quale gli avvocati dello Stato
esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato-cfr.Cass.
SS.UU. 23020/05 n. 14785 del 05/07/2011; Cass. n. 3427 del 12/02/2010-.
11.1 Parimenti ininfluente pare, ai fini del presente procedimento, la sentenza del Tribunale di
Latina che, non essendo stata resa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non può essere
proficuamente richiamata per inferirne l’irretrattabilità delle statuizioni ivi contenutecfnCass.n.23568/2008- non risultando nemmeno certo il passaggio in giudicato della stessa
malgrado la produzione, in seno all’udienza, di altra decisione, pur’essa sprovvista di attestazione
del passaggio in giudicato.
12. Ciò posto, il primo motivo di ricorso è fondato.
12.1 Premesso che, al di là della formulazione letterale del quesito, la parte ricorrente ha prospettato
un’unica doglianza, volta a verificare la correttezza dell’operato del giudice di appello in ordine alla
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dell’Avvocatura dello Stato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed in via graduata

contabilizzazione a posteriori dei costi; ragion per cui i rilievi difensivi sul punto esposti dalla
società non colgono nel segno.
12.2 Quanto al merito della censura, questa Corte ha di recente ribadito che in tema di reddito
d’impresa, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un
esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al
dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della

componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono
vincolanti sia per il contribuente che per l’ erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono né
legittimano un qualche giudizio sull’ esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare
decisamente irrilevante l’ eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concretocfr.Cass.1648/13-.
12.3 In definitiva, nessuna interpretazione della disciplina normativa in tema di imputazione delle
voci reddituali (siano esse positive che negative) richiede e, quindi, legittima un qualche giudizio
sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale
(anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto, ulteriormente specificandosi che il
pregiudizio all’erario sembra direttamente riconducibile, nel caso qui in esame, al mancato
versamento alla scadenza della maggiore pretesa fiscale per un determinato anno (2000) come
emergente dalla rettifica dell’Ufficio, dovendosi considerare quest’ultima con esclusivo riferimento
a ciascun anno d’imposta.
12.4 Tanto è sufficiente per escludere il carattere meramente formale della violazione rapportata
alla non tempestiva contabilizzazione dei costi. Ha dunque errato la CTR nel ritenere irrilevante la
contabilizzazione dei costi nell’anno 2001.
12.5 Ed è appena il caso di evidenziare la totale irrilevanza, innnanzi a questa Corte, degli elementi
fattuali esposti dalla società controricorrente, i quali non trovano conferma nella decisione
impugnata né risultano essere stati ritualmente proposti nel giudizio di merito e, come tali, non
possono passare al vaglio di questa Corte.
13. Passando all’esame del secondo e del terzo motivo che, attenendo a diversi profili del vizio di
insufficiente o contraddittoria motivazione, meritano un esame congiunto. Tali censure, sono
fondate nei limiti di cui in seguito specificati. Va detto, anzitutto, che entrambi i motivi sono stati
virtualmente esposti, avendo individuato nel c.d. momento di sintesi il fatto controverso e le lacune
motivazionali prospettate, facendo tra l’altro riferimento agli elementi costitutivi del divieto previsti
dalla 1.n.1369/1960.

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configurabilità di un danno per l’erario, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei

13.1 Giova infatti rammentare che l’ art. 1, commi 1°, 2° e 3°, della 1. 23 ottobre 1960, n. 1369
prevede, anzitutto, il divieto per l’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi
altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante
impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la
natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. La medesima disposizione sancisce,
ancora, il divieto per l’imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o

da tali intermediari, chiarendo che è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di
appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali,
macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un
compenso all’appaltante. Il comma 3 appena ricordato si occupa specificamente dell’ipotesi di
interposizione vietata (Cass., sez. lav., 13 gennaio 1988, n. 151; Cass., S.U., 19 ottobre 1990, n.
10183) che, mascherata con le forme di uno “pseudo appalto” di opere o servizi, si caratterizza per
il difetto di imprenditorialità della prestazione, inquadrandosi così nella mera somministrazione di
manodopera vietata. E’ poi il comma quinto dell’art. 1, a prevedere che “i prestatori di lavoro sono
considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato
le loro prestazioni”.
13.2 Occorre ancora sottolineare, anche al fine di dare risposta ad un rilievo ventilato dalla società
controricorrente che

la legge n.1369/1960 è stata abrogata dall’art.85 comma I lett.c)

d.lgs.n.276/2003, che ha tuttavia previsto tale effetto “dalla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo”- pubblicato sulla GU n.235 del 9 ottobre 2003 – ed è quindi entrato in vigore il
23 ottobre successivo secondo l’ordinario periodo di vacatio. Sulla base di tale quadro normativo
di riferimento – v.,del resto, Cass. n. 16146/2004;Cass. n. 21818/2006 e Cass.S.U. n.22916/2006appare dunque sicuramente rilevante nel caso di specie l’art.1 1.n.1369/1960, ancora in vigore
rispetto alle vicende oggetto degli avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2001.
13.4 Ciò posto, giova rammentare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il divieto di
intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, sancito dall’art. 1 della legge n. 1369
del 1960, opera nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione
lavorativa, attribuendo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto in
assenza di una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo
autonomo -cfi-.Cass. n. 19920/2011, Cass. n. 7898 /2011-.
13.5 Orbene, appaiono evidenti le gravi lacune motivazionali della sentenza impugnata, laddove
sono stati totalmente pretermessi, nell’indagine compiuta dalla CTR, gli elementi, tutti dotati del
carattere della decisività, addotti dall’Ufficio per giustificare l’esistenza di un’intermediazione di
5

società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti

manodopera quali l’essere la società Quattro Group amministrata da Bollanti Giacomo, la direzione
del personale di detta società da parte della Bollanti Veicoli- confermato dalle dichiarazioni rese
dagli stessi dipendenti-, l’utilizzazione, da parte del personale della Quattro Group dei beni
strumentali della società Bollanti in assenza di beni strumentali da parte della Quattro s.r.l.
13.6 Elementi ai quali si aggiungeva il fatto che i pagamenti effettuati dalla società Bollanti Veicoli
alla Quattro Group erano risultati pari a quanto occorreva alla Quattro Group per il pagamento degli

13.7 La lacunosità dell’indagine compiuta dalla CTR emerge, per altro verso, dalla valorizzazione,
operata dal giudice di appello, del riconosciuto versamento degli oneri appena sopra ricordati in
favore dei lavoratori da parte della Quattro Group, apparendo evidente l’irrilevanza di siffatta
circostanza al fine di escludere l’esistenza di un’intermediazione vietata dall’art.1 1. cit.
13.8 Anzi, non è superfluo rammentare come questa Corte abbia di recente statuito che nelle
prestazioni di lavoro cui si riferiscono – prima dell’intervenuta abrogazione ad opera dell’art. 85,
comma primo, lett. c), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 – i primi tre commi dell’art. I della legge
23 ottobre 1960, n. 1369 la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la
previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo – secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti
gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni comportano che solo sull’appaltante gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e
normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali,
non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell’appaltatore in virtù dell’apparenza
del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto
e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi-cfr.Cass. n. 3795 del 15/02/2013-. Si è, ancora,
precisato che in caso di accertamento del carattere fraudolento dell’intermediazione di manodopera
l’IVA che (l’apparente) cessionario assume di avere pagato al preteso cedente per l’operazione
soggettivamente inesistente – in quanto corrisposta ad un soggetto che non era legittimato ad
operare la rivalsa in ragione del divieto di intermediazione e del carattere fraudolento
dell’operazione negoziale- neppure assoggettato all’obbligo di pagamento dell’ imposta – non è
detraibile ai sensi dell’art. 19 d.P.R. 633/72 proprio per il fatto che l’alterazione del meccanismo di
riscossione dell’imposta in questione, attraverso la realizzazione di comportamenti illeciti dei
contribuenti, non consente il dispiegamento dell’ordinaria operatività del diritto alla detrazione
dell’imposta sulle operazioni passive dell’imprenditore o del professionista-cfr.Cass.n.23075/12,
cit.-.

6

stipendi e degli altri oneri previdenziali e fiscali.

13.9 In definitiva, la CTR avrebbe dovuto esaminare i singoli elementi prospettati dall’Ufficio -che
ad una valutazione ex ante appaiono decisivi ai fini della controversia- e la natura delle prestazioni
in concreto svolte, al fine di valutare la loro idoneità- o inidoneità- a conclamare l’ipotesi
ricostruttiva posta a base dell’avviso di accertamento, tenendo conto del fatto che ove fosse
risultato che il personale dell’appaltante impartiva disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, lo
stesso poteva costituire uno degli indici dell’accordo fraudolento, semprechè risulti provato che

effettive modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative-cfr.Cass. n. 15615 /2011,Cass. n.
12201 /2011-.
13.10 Ne consegue che l’operato del giudice di appello appare gravemente carente, non
consentendo di cogliere il fondamento sul quale si è basata l’affermazione dell’assenza di
un’intermediazione di manodopera, se solo si consideri che l’adempimento degli oneri retributivi e
previdenziali da parte del soggetto committente non fa venire meno, in astratto, la possibilità che il
personale impiegato sia effettivamente al servizio del committente.
13.11 H giudizio critico appena espresso si estende, poi, all’ulteriore riferimento, operato dalla
CTR, all’assoluzione dei Bollanti nel procedimento penale definitosi a loro carico, se solo si
consideri che l’assoluzione dei suddetti, per come apoditticamente richiamato dalla CTR, non
poteva costituire, da solo, elemento idoneo a giustificare in maniera logica l’illogicità della pretesa
fiscale l’assenza dei presupposti che potevano giustificare, ai fini fiscali, la ripresa fiscale per le
ritenute di acconto dovute dal datore di lavoro effettivo rispetto alle retribuzioni dei lavori
impiegati.
13.12 E’ noto, del resto, l’orientamento di questa Corte in ordine ai rapporti fra giudicato penale e
giudizio tributario- per tutti, v., di recente, Cass. n. 8129 del 23/05/2012- ove si è chiarito che
nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di
condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede
penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel
processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a
supportare una pronuncia penale di condanna.
13.13 Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver
commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora
l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità
penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario(conf.Cass. n. 4924 del
27/02/2013). Ed allora, non par dubbio che lo scarno riferimento, operato nella sentenza impugnata,
7

dette disposizioni sono riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro anche in relazione alle

all’assoluzione dei Bollanti non poteva in alcun modo costituire elemento idoneo a suffragare
l’assenza della interposizione.
13.14 Anche sotto tale profilo la motivazione è, per l’effetto, gravemente carente.
13.15 Carenza che, d’altra parte, si appalesa ulteriormente evidente se si considera che la pretesa
fiscale riguardava, altresì, la ritenuta indetraibilità delle somme fatturate dalltsocietà Quattro.
-0,1,774.>e$,NERIA TRI13UTAXIA
15. Resta solo da evidenziare che le questioni sollevate dalla società controricorrente a pag.19calendate sub ottavo motivo- del controricorso non possono passare al vaglio della Corte, non
avendo la suddetta nemmeno indicato se e quando le stesse sono state (ritualmente) prospettate nel
corso del procedimento di merito ed in assenza di ricorso incidentale da parte della società
contribuente.
16. Quanto alla questione esposta a pag.26-calendata sub nono motivo- la stessa non può passare al

17. In conclusione, in accoglimento di tutti i motivi di ricorsi, la sentenza impugnata va annullata
con rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio —sez.Latina- che si conformerà a quanto sopra
esposto, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte
Accoglie il ricorso
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio —sez.Latina-, che pure
provvederà alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di cassazione.
Così deciso il 20 maggio 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

vaglio di questa Corte, risultando demandata al giudice del rinvio.

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