Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19759 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 22/09/2020), n.19759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7978-2012 pro osto da:

D.S., AREA COMMERCIALE DI C.M. & C. SNC,

C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato FIAFUNDI GABRIELE, che

li rappresenta e difende unitamente agli avvocati GAFFURI ALBERTO,

GAFFURI GIANFRANCO giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE ORGANO CENTRALE AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA,

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BRESCIA UFFICIO

TERRITORIALE LONATO DEL GARDA;

– intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE ORGANO CENTRALE AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA in

persona sel Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA G NERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

AREA COMMERCIALE DI C.M. & C. SNC in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato

PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GAFFURI ALBERTO, GAFFURI GIANFRANCO giusta delega in calce;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

C.M., D.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 46/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 07/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2019 d”a. Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso p

incipale e del ricorso incidentale;

udito per i ricorrenti l’Avvocato GAFFURI che ha chiesto

l’accoglimento d l ricorso principale e il rigetto del ricorso

incide tale;

udito per il controricorrente l’Avvocato GIORDANO che ha chiesto il

rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate metteva nei confronti della società Area Commerciale di C.M. & c. snc avviso di accertamento n. (OMISSIS) con cui rideterminava il reddito imponibile della stessa ai fini irap ed iva per l’anno 2003; emetteva poi gli avvisi (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente nei confronti dei soci C.M. e D.S., con cui recuperava conseguentemente a tassazione, ai fini irpef, sempre per l’anno 2003, i maggiori redditi ritenuti distribuiti pro quota dalla società e non dichiarati.

In particolare, il recupero riguardava Euro 88.639 per omessa contabilizzazione di ricavi, Euro 17.843,76 per costi non deducibilì (rimborsi di indennità chilometriche dei dipendenti), ed Euro 14.833,24 per ammortamenti non deducibili.

2. Società e soci impugnavano separatamente i rispettivi avvisi, e la CTP di Brescia rigettava ricorsi della società e del C., mentre accoglieva quello della D..

I contribuenti e l’ufficio impugnavano le sentenze e la CTR, previa riunione di tutti i procedimenti, annullava gli accertamenti relativamente alle riprese dei costi per Euro 17.843,76 e per Euro 8.998,45 quale parte delle quote di ammortamento dedotte, confermandoli nel resto.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono la società ed i soci sulla base di dieci motivi.

Si costituisce l’ufficio con controricorso e ricorso incidentale, cui la società replica con controricorso.

I contribuenti hanno depositato memoria in vista dell’udienza odierna.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i contribuenti deducono violazione e falsa applicazione della L. 212 del 2000, art. 12, comma 2, con riferimento alla errata indicazione delle ragioni fondanti della verifica operata nei riguardi di Area Commerciale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’ufficio ha fornito una informazione non veritiera sui motivi della verifica alla società, affermando dapprima che la stessa si giustificava per il fatto che essa non era mai stata oggetto di accertamenti, ma successivamente ammettendo che la vera ragione era il sospetto di contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. In ciò vi era violazione della norma suddetta, ma la CTR errava nel ritenere insussistente o irrilevante tale violazione.

Con il secondo motivo deducono insufficiente motivazione in riferimento alla dichiarata validità ai sensi della L. 212 del 2000, art. 12 controllo compiuto dall’ufficio e degli atti impugnati, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR ha errato nell’affermare che la violazione della L. 212 del 2000, art. 12 non è sanzionata da alcuna nullità, avendo la Corte di Cassazione più volte sancito la nullità di comportamenti contrari alle norme primarie dell’ordinamento tributario, anche se tale conseguenza non è prevista da alcuna norma.

I motivi possono essere trattati congiuntamente, atteso il tema comune, e sono infondati.

Secondo la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2:

Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonchè dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche.

Il ragionamento della CTR si può sintetizzare nel fatto che, in primo luogo, anche se nel caso di specie vi fosse violazione, manca una norma che sanziona la stessa con la nullità, e, in secondo luogo, la motivazione fornita a società e soci era vera, perchè in effetti la società non era mai stata sottoposta a controlli.

La società replica riconoscendo che questo ultimo elemento è vero, ma la reale ragione dell’accertamento era il sospetto di uso di fatture per operazioni inesistenti, e questo elemento non le è mai stato esplicitamente comunicato.

Questa Corte di recente (sez. V, n. 1778 del 2019), sulla violazione di norme dello statuto non sanzionate espressamente (come l’art. 12 comma 5), ha affermato che essa, in effetti, non determina nullità perchè non prevista dal legislatore; in merito alle violazioni della norma specifica che viene in rilievo nel caso di specie -l’art. 12 comma 2 -, sez. V, ord. n. 28692 del 2018, ha affermato:

In tema di accertamento, ove non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa è iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione.

Questo collegio condivide il suddetto principio perchè in tema di contraddittorio (questa è, in generale, una questione di contraddittorio) su tributi non armonizzati, questa stessa Corte ha affermato che una nullità sussiste se è prevista dalla legge, o se comunque ha provocato effetti pregiudizievoli per il contribuente.

A quest’ultimo proposito, il contribuente obietta che se la verifica non fosse stata motivata dalla ricerca di comportamenti fraudolenti, come era in effetti, non avrebbe comportato l’accesso ai conti correnti, ma si sarebbe limitata al controllo delle scritture.

In realtà, non si ritiene che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 nella versione vigente all’epoca distinguesse le attività possibili a seconda del motivo della verifica; anzi, le attività previste dall’art. 32 erano tutte consentite “per l’adempimento dei compiti” degli uffici delle imposte, quindi senza distinzione a seconda del motivo.

Pertanto, eventuali pregiudizi subiti dal contribuente per l’informazione non completa sul motivo della verifica non emergono in maniera chiara.

Si ritiene, pertanto, che la CTR abbia motivato correttamente sia con riferimento alla denunciata violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973,’art. 42 e del diritto ad una piena ed effettiva difesa in giudizio, in riferimento alla dichiarata validità degli avvisi impugnati, nonostante manchi l’allegazione e la descrizione sommaria del contenuto degli atti richiamati nella loro motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato nel ritenere che la mancata allegazione al processo verbale di constatazione (p.v.c.) ed agli avvisi della comunicazione dell’ufficio che chiedeva la verifica a carico della società per il sospetto di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, cioè del reale presupposto dell’accertamento, sia stata irrilevante, così come la mancata allegazione all’avviso di accertamento nei confronti della soda D. del processo verbale in esso richiamato.

Con il quarto motivo deduce insufficiente motivazione in riferimento alla dichiarata validità degli avvisi impugnati, ai sensi della L. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonostante manchi l’allegazione e la descrizione del contenuto degli atti richiamati nella loro motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR ha affermato che la mancata allegazione del processo verbale di constatazione (p.v.c.) all’avviso della socia D. era irrilevante perchè il primo era da essa conoscibile, mentre la mancata allegazione della segnalazione originaria era irrilevante perchè i fatti cui essa si riferiva non sono stati poi oggetto di accertamento, ma così facendo ha motivato in maniera del tutto insufficiente.

Anche in questo caso i due motivi possono essere trattati congiuntamente, riguardando un tema comune, la motivazione degli avvisi di accertamento.

Peraltro, le questioni attinenti al difetto di motivazione riguardano due profili leggermente distinti tra loro:

1) la ricerca di utilizzo di j fatture per operazioni inesistenti, cioè del vero motivo della verifica, era contenuta in una comunicazione dell’Agenzia Entrate Brescia 1, che non è stata allegata nè al p.v.c. nè all’avviso;

2) l’avviso della socia D. non contiene allegato il p.v.c. e l’avviso relativo alla società.

Su quest’ultimo aspetto, la questione appare essere in questi termini: l’accertamento a carico della società è stato preceduto da un p.v.c.; l’avviso di accertamento a carico della socia D. faceva riferimento al p.v.c., ma esso non era allegato (pag. 23 ricorso). La socia lamenta, quindi, che il suo avviso era carente di motivazione perchè richiamava un atto da lei non conosciuto.

Questa Corte (sez. V, n. 27800 del 2019) ha affermato di recente che:

In tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione esercita la propria pretesa tributaria nei confronti del contribuente, soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, ogni qualvolta il contribuente medesimo sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”, sicchè deve ritenersi correttamente motivato ove faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della guardia di finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, nè di riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto.

La motivazione della CTR afferma che “il p.v.c. era pienamente conoscibile ed espressamentè conosciuto dai soci” quindi, secondo il principio sopra riportato, la sua mancata allegazione non determina nullità (il problema si pone appunto per la socia D.). La questione ulteriore relativa al caso di specie riguarda la conoscenza da parte della socia D. del processo verbale richiamato dall’avviso. Infatti, il contribuente eccepisce che non vi è alcuna prova che la D. avesse conosciuto il p.v.c. nei confronti della società, e in controricorso l’ufficio non replica in alcun modo, se non sottolineando che, siccome ella era socia, gli atti nei confronti della società erano in possesso dei soci.

Ora, per quanto la motivazione della CTR sia sintetica sul punto, essa appare comunque senza dubbio rientrare nell’alveo della giurisprudenza in materia.

Infatti, l’orientamento di questa Corte rispetto a soci di s.n.c. è nel senso di respingere l’eccezione, ritenendo che la struttura della società sia tale per cui gli atti notificati alla società sono pienamente conoscibili dai soci. Sez. V n. 25451 del 2018 ha affermato, al riguardo:

Questa Corte ha precisato che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva – Cass. n. 23615/2011 e Cass. n. 26458 del 04/11/2008. Si è poi precisato che nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – Cass. n. 1906 del 29/01/2008; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 9032 del 15/04/2013.

E’ stato pure aggiunto (Cass. n. 5645 del 12 marzo 2014) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale, stabilito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello, relativo ai redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato, giacchè il socio, a norma dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società, e quindi di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento, ovvero di rilevarne l’omessa comunicazione”.

Tra l’altro, nel caso di specie si può anche aggiungere l’ulteriore considerazione secondo cui il procedimento era stato riunito con quello relativo alla società, per cui gli atti relativi all’accertamento nei riguardi della società erano nello stesso fascicolo di quelli sull’accertamento nei riguardi della socia.

Il motivo è infondato anche sotto l’altro profilo, e cioè la mancata allegazione della segnalazionè originaria di sospetto utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perchè lo stesso non ha avuto alcun seguito nell’accertamento, quindi la mancanza non ha arrecato un particolare pregiudizio al contribuente.

Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull’accertamento del reddito della società e delle persone fisiche, nonchè sull’accertamento ai fini dell’iva e dell’irap e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, e art. 41-bis, richiamati in materia di irap dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 6-bis, 7 e 7-bis, e art. 54, e, in generale, dei principi in tema di accertamenti bancari o finanziari, in relazione all’uso dei dati desunti dal conto corrente di un socio per determinare il reddito della società, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’accertamento bancario è stato condotto sul conto corrente personale di uno dei soci, socio, oltre che di Area Commerciale, anche di altre società, e non è chiaro perchè i movimenti in esso riscontrati sono stati ricondotti alla società Area Commerciale, ma la CTR ha affermato che l’illegittima acquisizione dei dati bancari non determina la loro inutilizzabilità, non essendo questa prevista da alcuna norma.

Il motivo è infondato.

L’accertamento nei confronti della società partendo dall’analisi dei conto correnti del socio persona fisica è ammessa, in particolare nelle società a ristretta base e a maggior ragione in una società di persone composta da soli due soci, essendo, piuttosto, il contribuente che deve dimostrare i movimenti estranei alla società.

Questa Corte (sez. V, n. 30098 del 2018) ha affermato al riguardo:

In tema di accertamenti sui redditi di società di persone a

ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perchè la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.

In senso analogo anche sez. V n. 4152 del 2015, e n. 16540 del 2018.

La motivazione della CTR sul punto appare, quindi, nel complesso corretta, affermando che nelle società di persone è legittimo l’accertamento fondato sui conti dei soci, e se dei movimenti sono personali, estranei alla società, è onere del socio dimostrarlo (usa l’espressione per cui il socio deve dare prova “robusta e documentale”, e ovviamente non la ravvisa nella specie).

Il contribuente (in particolare nel motivo 8) contesta questa espressione affermando che, in questo modo, la CTR esclude che il contribuente possa dare la sua prova con presunzioni, ma in realtà non era questo il significato della motivazione della CTR, tanto è vero che poi la stessa CTR analizza alcuni movimenti indicati dal contribuente, concludendo che, nel merito, gli elementi non appaiono sufficienti per farli ritenere puramente personali estranei alla società, e dimostrando di essere stata aperta alla valutazione degli elementi addotti dai contribuenti. Lo specifico esame dei movimenti attiene, invece, al merito, ed è inammisibile in questa sede.

Anche in merito alle osservazioni del contribuente in memoria, la CTR con il ragionamento in questione ha applicato una presunzione, ritenuta legittima, e ha ritenuto che con la stessa l’ufficio abbia adempiuto al proprio onere probatorio.

Con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull’accertamento del reddito della società e delle persone fisiche, nonchè sull’accertamento ai fini dell’iva e dell’irap e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, e art. 41-bis, richiamati in materia di irap dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 6-bis, 7 e 7-bis, e art. 54 e, in generale, dei principi in tema di accertamenti bancari o finanziari, in relazione all’uso dei dati desunti dal conto corrente di un socio per determinare il reddito della società, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nei confronti della socia D. il metodo seguito dall’ufficio ha comportato che sulla base di movimenti sul conto corrente personale di altro socio venissero attribuiti a lei maggiori redditi.

Il motivo è infondato.

Valgono per esso le stesse considerazioni già compiute a proposito del quinto motivo, secondo cui è la natura stessa della società di persone che legittima questa conclusione, per cui l’accertamento nei confronti della socia D. non le deriva dalla verifica dei conti personali dell’altro socio, ma dal fatto che ella era soda della società.

Con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull’accertamento del reddito della società e delle persone fisiche, nonchè sull’accertamento ai fini dell’iva e dell’irap e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, e art. 41-bis, richiamati in materia di irap dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 6-bis, 7 e 7-bis, e art. 54 e, in generale, dei principi in tema di accertamenti bancari o finanziari, in relazione all’uso dei dati desunti dal conto corrente di un socio per determinare il reddito della società, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato laddove ha affermato che l’illegittima acquisizione di informazioni non determina inutilizzabilità delle stesse, non essendovi una norma in tal senso.

Il motivo è infondato.

In base alle considerazioni sopra esposte, è, infatti, infondato il presupposto del motivo, e cioè che l’acquisizione delle informazioni da parte dell’ufficio sia stata illegittima, perchè l’accertamento nei riguardi della società partendo dai conti del socio è legittimo.

Con l’ottavo motivo deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull’accertamento del reddito della società e delle persone fisiche, nonchè sull’accertamento ai fini dell’iva e dell’irap e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, e art. 41-bis, richiamati in materia di irap dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 6-bis, 7 e 7-bis, e art. 54 e, in generale, dei principi in tema di accertamenti bancari o finanziari, in relazione all’uso dei dati desunti dal conto corrente di un socio per determinare il reddito della società, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato nel valutare l’ampiezza della prova che il contribuente dovrebbe fornire per contrastare gli accertamenti bancari dell’ufficio.

Il motivo è infondato.

Anche rispetto ad esso valgono le considerazioni compiute a proposito del quinto motivo, secondo cui la CTR ha preso in considerazione le prove fornite dai contribuenti, ritenendole insufficienti nel merito.

In ogni caso, il motivo tende ad un riesame delle risultanze dei conti bancari; certo, sembra sostenere che la prova documentale che la CTR richiede, in realtà era stata data, ma la CTR non la ha considerata; questo è però pur sempre accertamento di fatto. Nonostante il motivo sia impostato nel senso che la CTR non ha voluto dare rilievo alla prova logico-presuntiva, in realtà appare sconfinare in una richiesta di riesame degli elementi di fatto.

Con il nono motivo deduce violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova, applicabile anche nel processo tributario, in relazione alla mancata prova, ad opera dell’ufficio, dell’intestazione fittizia dei conti correnti al sig. C., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3

La CTR non ha valutato che l’ufficio, per utilizzare i conti correnti esaminati nell’accertamento a carico della società, avrebbe dovuto dimostrare che l’intestazione al C. era fittizia, e che gli stessi erano in realtà nella disponibilità della società.

Il motivo è infondato.

Come visto in precedenza, la giurisprudenza ammette che l’accertamento nei confronti della società parta da quello dei movimenti bancari sui conti dei soci; non c’è bisogno di ipotizzare intestazioni fittizie. Nelle società di persone, in particolare con compagine ristretta, è la loro, stessa composizione che permette di ravvisare interessenza tra conti dei soci e accertamento alla società.

Con il decimo motivo deduce insufficiente motivazione in riferimento alla dichiarata inattendibilità delle prove contrarie offerte attraverso la presunzione di redditività di alcune movimentazioni bancarie, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è infondato.

La motivazione che la CTR fornisce per disattendere la tesi secondo cui alcuni movimenti bancari sono movimenti personali dei soci, e che in quanto tali sarebbero irrilevanti ai fini dell’accertamento, è piuttosto dettagliata; la stessa prende in considerazione singoli importi, singole operazioni.

Con il primo motivo di ricorso incidentale l’ufficio deduce nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

La sentenza contiene contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo laddove nella prima si afferma, e si articola un completo ragionamento, che il motivo di appello del contribuente sul recupero di Euro 17.843 deve essere respinto, mentre nel secondo si conclude per l’accoglimento dell’appello in merito a tale ripresa.

Il motivo è infondato.

Il contrasto indubbiamente sussiste perchè nella parte motiva la sentenza impugnata afferma che, in merito a tale voce, occorre confermare la sentenza di primo grado (di rigetto) ed illustra dettagliatamente le ragioni, ma poi il dispositivo conclude “accoglie il ricorso di Area Commerciale limitatamente alle riprese di Euro 17.843”, come del resto la sentenza ribadisce anche in fondo a pag. 4 nel ricapitolare la motivazione prima del dispositivo.

Sul tema, il principio affermato da questa Corte è nel senso che il contrasto è causa di nullità se rende incomprensibile il significato della sentenza; nella specie, dal tenore complessivo della decisione, emerge ad avviso del collegio che la stessa volesse chiaramente respingere l’appello del contribuente, e che quindi quanto riportato a pag. 4 in fondo e poi in dispositivo sia frutto di un errore. La motivazione sul recupero della voce è troppo dettagliata e precisa per non lasciare intendere che l’intento fosse quello di rigettare l’appello.

Con il rigetto però va confermato che questa voce resta recuperata a tassazione.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’ufficio deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR ha errato laddove ha escluso i prelevamenti dalla presunzione di produzione di maggiore reddito ravvisabile nei movimenti bancari non giustificati.

Al di là dell’eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza del contribuente, e premesso che la controversia in questione non appare ricadere nell’ambito della sentenza n. 228 del 2014 della Corte Costituzionale, atteso che quest’ultima riguarda i liberi professionisti ed i redditi di lavoro autonomo, il motivo è infondato.

La CTR sul punto annulla l’accertamento affermando che le somme oggetto di prelevamento sono modeste, per cui non si può escludere che fossero per spese familiari.

L’ufficio lamenta tale conclusione della CTR, ma il principio sotteso ad essa non è scorretto: se il contribuente fornisce la prova contraria, la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 può essere superata e, nella specie, la CTR la ha ritenuta superata per le circostanze concrete del caso, cioè per le caratteristiche di fatto dei prelievi in questione.

Con il terzo motivo di ricorso incidentale deduce omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (subordinata rispetto al motivo numero 2).

Il motivo è infondato.

Si tratta della stessa questione di cui al motivo precedente, ma prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel senso che il riferimento al solo fatto che gli importi oggetto dei prelevamenti erano “modesti” integrerebbe insufficiente motivazione.

Questo collegio non condivide tale tesi. L’importo complessivo è incontestato; è una somma oggettivamente non elevata. Se la CTR, nella sua discrezionalità sulla valutazione dei fatti, ha ritenuto che per la modestia dei singoli prelievi, qi.iesti potessero essere personali, non appare ricorrere il denunciato vizio di motivazione, atteso che una motivazione è stata fornita, e la stessa è completa e logica, nel senso che consente di comprendere appieno le ragioni per le quali la CTR è giunta alla conclusione.

Con il quarto motivo di ricorso incidentale deduce omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La CTR non ha motivato correttamente laddove, come affermato testualmente, ha ammesso sulla sola base di un dubbio e sulla base di una asserita “logica del favor rei”, la deduzione della quota di ammortamento, atteso che i documenti dimostravano che il costo era pertinente alla società solo nella misura del 50%.

Il motivo è infondato.

I fatti relativi a tale motivo possono riassumersi in questi termini: la società conduce i locali dove esercita la sua attività in locazione, ed ha dedotto in ammortamento dei costi relativi al rifacimento del tetto, ma l’ufficio sostiene che la deduzione riguarda la quota relativa ai lavori su 900 mq di tetto, mentre la parte di immobile condotta in locazione dalla società sarebbe solo la metà, 450 mq; in altri termini, l’ufficio contesta alla società di avere dedotto anche la parte relativa a locali coi quali non ha nulla a che fare, e quindi un costo non inerente.

La CTR ha affermato che la questione è dubbia; nei gradi di merito, sono state prodotte delle fotografie per descrivere lo stato dei luoghi, che però la CTR ha ritenuto non decisive, quindi nel dubbio ha ammesso tutta la deduzione per il principio del “favor rei”; afferma anche che vi è una chiara differenza tra il tetto di copertura del magazzino della società ed il rimanente, per cui se i lavori avessero riguardato porzioni diverse, la circostanza sarebbe stata rilevabile anche solo visivamente.

Il contribuente eccepisce l’inammissibilità del motivo, tendente ad un nuovo accertamento di fatto.

Ritiene il collegio che la motivazione non è incompleta o insufficiente, prescindendo, ovviamente, dalla sua correttezza nel merito in questa sede.

Certo, l’ufficio mette in luce che in appello aveva evidenziato che dalle fatture emergeva che i lavori riguardavano 900 mq (e quindi non solo la parte del tetto del magazzino della società), e di questo la CTR non ha tenuto conto. Indubbiamente, la CTR non fa alcun riferimento alle fatture per descrivere i lavori.

Va premesso che, essendo stata depositata la sentenza impugnata nel 2011, il vizio dedotto è valutabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione anteriore alla riforma del 2012.

In questo senso, sez. IV n. 22984 del 2017 ricorda che questa Corte ha più volte affermato, con riferimento al vecchio testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che il controllo di logicità del giudizio di fatto, ivi compreso quello inerente l’interpretazione degli atti negoziali e quello denunciato sub violazione dell’art. 115 e/o 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15205/14, Cass. n. 12227113), consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinanlento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse d’ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass. 5 maggio 2010 n. 10833, Cass. n. 15205/14).

D’altra parte, va anche ricordato che questa Corte (sez. II, n. 3075 del 2006) ha affermato che:

Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale ovvero per omesso esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando la prova non ammessa ovvero non esaminata sia in concreto idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ” ratio decidendi ” venga a trovarsi priva di fondamento.

E nella specie, a fronte di quanto afferma la CTR, non emerge con certezza che l’esame del documento di cui si lamenta l’omissione avrebbe determinato diversamente il giudice di appello.

Alla luce di quanto sopra, si può affermare che la CTR ha compiuto la sua motivazione, in sè non illogica, e quindi non vi è spazio per il riesame di elementi probatori.

Considerato il rigetto sia del ricorso principale, che di quello incidentale, sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Compensa tra le parti le spese processuali del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2019.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

 

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