Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19758 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. II, 27/09/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 27/09/2011), n.19758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1401/2006 proposto da:

B.L. vedova A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo

studio dell’avvocato MANCA BITTI DANIELE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LINETTI Antonello;

– ricorrente –

contro

D.B.F. (OMISSIS), B.S.

(OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, c/o

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ZANETTI

Paolo;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 305/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 22/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato MANCA BITTI Daniele, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato LINETTI Antonello difensore della ricorrente

che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ZANETTI Paolo, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 26/8/2002 B.S. e D.F. chiedevano al Tribunale di Trento di essere reintegrati nel possesso della servitù di passaggio (necessaria per accedere alla proprietà di essi ricorrenti) su un terreno del proprietà di B. L.; assumevano che la convenuta aveva costruito un muretto sormontato da rete metallica in corrispondenza del confine tra le due proprietà al fine di impedire il passaggio, come aveva già tentato di fare in precedenza.

Precisavano che con sentenza divenuta definitiva nel 2000 era stata rigettata la loro richiesta di accertamento della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, ma che, successivamente, avevano proposto domanda per la costituzione coattiva della servitù di passaggio e che il procedimento era ancora pendente.

Con sentenza del 16/4/2004 il Tribunale di Trento confermava il provvedimento di reintegra nel possesso concesso ai ricorrenti e rigettava le domande della B.L. che proponeva appello.

La Corte di Appello di Trento con sentenza del 22/7/2005 rigettava l’appello con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese in quanto soccombente.

La Corte di Appello rilevava:

– che la domanda di tutela possessoria era ammissibile in quanto non si era formato giudicato nel giudizio petitorio introdotto con la domanda di costituzione di servitù coattiva nel quale il proprietario del fondo sul quale era esercitato il passaggio poteva esercitare l’azione negatoria servitutis;

– che sussisteva l’animus spoliandi in quanto le azioni della convenuta (erezione di un muretto, erezione di rete metallica) erano specificamente mirate ad ostacolare l’esercizio della servitù e non già all’affermazione del proprio diritto di proprietà;

– che le ragioni petitorie non potevano essere fatte valere nel giudizio possessorio in quanto non sussisteva il presupposto dell’irreparabilità del danno;

– che non sussisteva un rapporto di pregiudizialità tra giudizio petitorio e giudizio possessorio e che pertanto il procedimento possessorio non poteva essere sospeso in attesa della definizione del giudizio petitorio;

– che la condanna della resistente al pagamento delle spese era legittimo in quanto adottato in applicazione del principio della soccombenza.

Ricorre per Cassazione sulla base di 5 motivi B.L. la quale ha, inoltre, depositato memoria nella quale, tra l’altro, rileva che nelle more del giudizio è divenuta definitiva la sentenza di rigetto della domanda di costituzione della servitù coattiva.

Resistono con controricorso B.S. e D. F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 1168 c.c., e dell’art. 112 c.p.c. nonchè il vizio di motivazione.

Si assume:

– che la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare e comunque pronunciarsi in merito alla circostanza, acquisita in atti, per la quale in precedente giudizio con sentenza passata in giudicato, era stata rigettata la domanda dei ricorrenti di accertamento di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia;

– che era intervenuto giudicato sull’inesistenza dello ius possidendi dei ricorrenti e sull’esistenza dello ius possidendi della resistente in conseguenza dell’anzidetta pronuncia e che pertanto l’azione possessoria successivamente proposta era inammissibile; inoltre, mancava il presupposto di un possesso tutelabile in quanto il diritto di possedere era semplicemente futuro, essendo condizionato all’accoglimento della domanda di costituzione di servitù coattiva.

2. Quanto al vizio di omessa pronuncia, la ricorrente non ha indicato come e quando sarebbe stata fatta valere davanti al giudice di appello la pretesa preclusione derivante dal precedente giudicato petitorio; al contrario nella sentenza di appello si da atto che (l’unica) eccezione di inammissibilità della tutela possessoria era fondata sull’assunto per il quale la domanda di costituzione di servitù coattiva non poteva costituire il presupposto di alcun possesso trattandosi di diritto futuro e non attuale; in ogni caso, essendo stata dedotta la preclusione del possessorio derivante dal giudicato petitorio, la questione, per il principio della rilevabilità anche di ufficio e anche in sede di legittimità del giudicato esterno, deve essere comunque affrontata anche di ufficio da questa Corte;

– quanto alla carenza del presupposto di un possesso tutelatane in relazione ad una servitù coattiva, non v’è dubbio che gli odierni resistenti, avendo già proposto una domanda diretta alla costituzione di servitù di passaggio coattiva, possedevano esercitando un’attività corrispondente al diritto reale del quale già avevano chiesto il riconoscimento;

– la censura è altresì infondata quanto alla preclusione derivante dal precedente giudicato che ha escluso l’esistenza di una servitù per destinazione del padre di famiglia.

In via generale, l’accertamento dell’inesistenza di un diritto reale una volta formatosi il giudicato formale costituisce giudicato sostanziale, nel senso che la domanda deve ritenersi definitivamente rigettata e non è più riproponibile in- un nuovo giudizio tra le stesse parti (cfr. Cass. 10/5/1986 n. 3238 e 12/11/1983 n. 6744);

dottrina e giurisprudenza, rilevando che il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti “autodeterminati” e cioè individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto (per il principio per il quale i diritti assoluti – reali o di status – si identificano in sè e non in base alla loro fonte: “amplius quam semel res mea esse non potest”), hanno affermato che nelle azioni a questi relative, la deduzione del fatto costitutivo, non necessaria ai fini della individuazione, è rilevante soltanto ai fini della prova dell’esistenza del diritto. Ne deriva che, qualora sia stata proposta una domanda relativa a uno dei suindicati diritti sulla base di un determinato fatto costitutivo e venga rigettata per ragioni attinenti al fatto costitutivo dedotto, l’accertamento di inesistenza del diritto fa stato in un secondo processo instaurato con riproposizione della domanda fondata su un diverso fatto costitutivo (salvo se intervenuto medio tempore) trattandosi dello stesso petitum e stante la irrilevanza della causa petendi. Nel caso di specie, tuttavia, la pronunzia di rigetto – la cui premessa logica necessaria fu l’accertamento della “inesistenza della servitù” in base al fatto costitutivo dedotto, ossia la destinazione del padre di famiglia – mentre preclude un nuovo accertamento su fatti che sarebbero stati deducibili (ad es. acquisto per usucapione, o per un titolo negoziale), non può precludere, come già rilevato da questa Corte in caso analogo (v., in motivazione, Cass. 18/2/1991 n. 1682) la domanda di costituzione di servitù coattiva che è fondata su causa petendi e petitum diversi da quelli dell’azione confessoria ed è diretta alla pronunzia di una sentenza costitutiva e non di accertamento; da questa premessa discende che, correlativamente, non può ritenersi preclusa la tutela del possesso che si manifesta nell’esercizio di una attività corrispondente ad un diritto reale sulla cui inesistenza non si sia ancora formato un giudicato.

3. Occorre tuttavia rilevare, come già rilevato dalla ricorrente nella sua memoria, che a seguito della sentenza n. 14656/2008 del 27/2 – 3/6/2008 di questa Corte si è, invece, formato il giudicato (esterno e rilevabile anche di ufficio) sull’inesistenza del diritto alla costituzione della servitù di passo e, correlativamente, sull’inesistenza di servitù sul fondo della B.L..

La sentenza definitiva sul petitorio ha escluso in via definitiva la sussistenza del diritto e pertanto deve essere negata al possesso la protezione giuridica (v. Cass. 6648/03; Cass. 8/8/2002 n. 11935).

Nel caso di specie, infatti, il giudizio petitorio in merito alla servitù di passaggio da costituirsi coattivamente, reclamata dall’odierna ricorrente e negata dagli odierni resistenti, era già in corso quando fu proposta la domanda di reintegra nel possesso così che l’azione possessoria intrapresa assumeva una funzione strumentale (come realizzata dalla previsione dell’art. 704 c.p.c. e come già rilevato dal giudice di primo grado con statuizione non contestata) rispetto all’esigenza di mantenere lo status quo tra le parti in contesa in ordine al diritto controverso, nè vi era possibilità di accertare un autonomo ius possessionis non coincidente con lo ius possidendi, tanto che il giudizio petitorio è proseguito fino alla sua definizione, posto che non ricorreva la diversa ratio dell’art. 705 c.p.c., norma volta ad evitare che una pronuncia sulla titolarità giuridica del bene che renda inutile quella richiesta preventivamente sulla relazione di fatto con lo stesso bene.

Sotto questo profilo, della non tutelabilità dello ius possessionis fatto valere nel corso del giudizio petitorio dal soggetto al quale sia stata negato, con sentenza passata in giudicata, lo ius possidendi, il motivo deve essere accolto con assorbimento degli altri motivi di ricorso.

4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione e, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere cassata senza rinvio la sentenza di appello impugnata e, decidendosi nel merito, deve accogliersi l’appello di B.L. e in riforma della sentenza del Tribunale di Trento n. 366/04 del 16/4/2004 deve essere rigettata la domanda possessoria proposta da B.S. e D.F..

Le spese di lite dell’intero giudizio, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico di B.S. e D. F. in quanto soccombenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’appello di B.L. e in riforma della sentenza del Tribunale di Trento n. 366/04 del 16/4/2004 rigetta la domanda possessoria proposta da B.S. e D.F..

Condanna B.S. e D.F. al pagamento delle spese del giudizio che liquida per il primo grado in Euro 3.400,00, di cui Euro 1.450,00 per diritti e di cui Euro 450,00 per esborsi oltre accessori di legge e oltre spese generali su diritti e onorari, per il secondo grado in Euro 3.653,00 di cui Euro 1.100,00 per diritti ed Euro 123,00 per esborsi oltre accessori di legge e oltre spese generali su diritti e onorari e per questo giudizio di cassazione in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e oltre spese generali su diritti e onorari.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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