Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19757 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2020, (ud. 15/11/2019, dep. 22/09/2020), n.19757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 03163/2015 R.G. proposto da:

Equini Import-export s.r.l. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, D.F. (C.F.(OMISSIS)),

D.A. (C.F. (OMISSIS)), D.M.A.

(C.F. (OMISSIS)), tutti rappresentati e difesi dall’avv. Antonio

Cazzolla Mario, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv.

Ranuzzi Livia, in Roma viale del Vignola 5;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. 06363391001), in persona del direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, in Roma via

dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1375/06/2014 della Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, depositata il 17 giugno 2014.

Sentita la relazione svolta all’udienza del 15 novembre 2018 dal

Consigliere Fichera Giuseppe.

Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale De Augustinis

Umberto, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

e, in subordine, il suo rigetto.

Uditi l’avv. Cazzolla Antonio Mario per i ricorrenti e l’avv. Di Leo

Generoso per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Equini Import-export s.r.l. e i suoi soci D.F., D.A. e D.M.A. impugnarono separatamente otto avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, con i quali vennero ripresi a tassazione i maggiori redditi ai fini IVA ed IRAP e, riguardo ai soli soci, per l’IRPEF, conseguiti durante gli anni 2006 e 2007.

In primo grado i ricorsi della società e dei soci, previa loro riunione, vennero decisi con due distinte sentenze, l’una relativa all’esercizio 2006 e l’altra a quello del 2007, che respinsero entrambe le impugnazioni spiegate dagli istanti; proposti separati appelli dalla Equini Import-export s.r.l. e da D.F., D.A. e D.M.A., la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con sentenza depositata il 17 giugno 2014, previa riunione dei due gravami, li respinse.

Avverso la detta sentenza, Equini Import-export s. r. l, D.F., D.A. e D.M.A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, poichè il giudice di merito ha omesso di pronunciare sull’eccezione concernente l’omessa allegazione, sia nel processo verbale di constatazione che negli avvisi di accertamento, delle dichiarazioni rilasciate ai verificatori da un terzo.

2. Con il secondo motivo eccepiscono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, poichè il giudice d’appello ha omesso di pronunciare sull’eccezione relativa alla mancanza di preventivo contraddittorio.

2.1. I due motivi, connessi per la comune doglianza e meritevoli perciò di esame congiunto, sono infondati, anche se la motivazione resa dalla commissione tributaria regionale merita di essere integrata.

Invero, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. S.U., 02/02/2017, n. 2731).

2.2. Nella vicenda che ci occupa, allora, la commissione tributaria regionale ha sicuramente omesso di pronunciare sull’eccezione – ritualmente reiterata in appello – concernente la mancata allegazione del verbale che riproduceva le dichiarazioni rese agli operanti da un terzo, ma è incontroverso che dette dichiarazioni vennero riportate dagli agenti operanti nel processo verbale di constatazione, poi notificato alla società contribuente.

Ed è noto che in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione, quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese ai pubblici ufficiali che redigono il verbale dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria (Cass. 05/10/2018, n. 24461; Cass. 24/11/2017 n. 28060); prova che, pacificamente, non risulta nemmeno offerta nell’odierno giudizio dai ricorrenti.

2.3. Inoltre, è vero che nella sentenza impugnata non è affrontato il tema della violazione del contraddittorio preventivo, ma è noto che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. S.U. 09/12/2015, n. 24823).

Nel caso a mano, invece, i contribuenti lamentano genericamente la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, senza tuttavia nemmeno indicare le ragioni che avrebbero potuto fare valere innanzi all’Amministrazione, restando la doglianza conseguentemente priva di fondamento alcuno.

3. Con il terzo motivo si dolgono della nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18,23,24 e 27, in quanto la commissione tributaria regionale ha consentito che l’Agenzia delle Entrate ampliasse il thema decidendum, introducendo nel corso del giudizio nuovi elementi a supporto della pretesa tributaria.

4. Con il quarto motivo deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo i giudici dell’appello posto a fondamento della decisione, ragioni diverse da quelle rassegnate dall’Amministrazione negli atti impositivi impugnati.

4.1. I due motivi, chiaramente connessi per l’oggetto e pertanto meritevoli di congiunta trattazione, sono entrambi privi di fondamento, per la decisiva considerazione che già negli avvisi di accertamento impugnati, l’Amministrazione aveva indicato i redditi esigui o addirittura assenti dell’impresa, pure a fronte di un crescente fatturato nel corso dei vari esercizi, dovendosi escludere che l’argomento concernente l’antieconomicità dell’attività d’impresa, sia stato valutato d’ufficio dai giudici di merito senza alcun addentellato nell’azione accertatrice dell’ufficio finanziario.

5. Con il quinto motivo contestano la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e 2, poichè il giudice di appello ha respinto il gravame, nonostante la non contestazione da parte dell’Amministrazione dei fatti allegati dagli appellanti e facendo uso della propria scienza privata.

5.1. Il motivo non è fondato.

Ora, è vero che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa (indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. 06/02/2015, n. 2196).

Dunque, non può sostenersi che la commissione tributaria regionale avrebbe dovuto fare proprie le conclusioni formulate nella perizia di parte prodotta in giudizio dalla contribuente, pure a prescindere da una non contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, restando il giudice assolutamente libero di accogliere o meno le conclusioni rese dal consulente di parte nella perizia in atti, operando una autonoma valutazione dei fatti, che – a differenza di quanto affermato dai ricorrenti – ha trovato conforto non nella sua scienza privata, bensì nelle dichiarazioni (incentrate sulla c.d. “resa di macellazione”) fornite agli agenti operanti dal medico responsabile veterinario, del luogo ove venivano macellati gli equini di proprietà della società ricorrente.

6. Con il sesto motivo ribadiscono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4), in quanto la motivazione resa dai giudici di appello sull’eccezione della mancanza di ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati si mostra meramente apparente.

6.1. Il motivo non è fondato, considerato che dalla lettura del provvedimento emerge che la commissione tributaria regionale ha assolto pienamente al dovere di motivazione, in ordine alle ragioni che inducevano a ritenere inattendibili i ricavi annuali dichiarati dalla società odierna ricorrente, così implicitamente fornendo risposta negativa alla tesi, pure ovviamente sostenuta dai contribuenti, della assoluta attendibilità dei dati emergenti dalle scritture contabili.

7. Con il settimo motivo deducono la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè dell’art. 53 Cost., avendo la commissione tributaria regionale ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento impugnati, nonostante difettassero i requisiti di gravità, precisione e concordanza dell’unico indizio allegato dall’Amministrazione.

7.1. Il motivo è inammissibile, in quanto lamentando plurime violazioni di legge, in realtà i ricorrenti intendono sottoporre al giudice di legittimità – in maniera appunto inammissibile -, una nuova valutazione degli elementi istruttori acquisiti nel processo, già compiutamente vagliati dal giudice di merito.

7.2. Va soggiunto che in materia di accertamenti tributari l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antiecononnicità del comportamento dei contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. 30/12/2015, n. 26036).

Resta escluso, allora, che la commissione tributaria regionale abbia violato il principio dell’onere della prova, avendo correttamente ritenuto – con un accertamento in fatto qui non sindacabile – che la società contribuente non avesse allegato elementi di prova, idonei a superare le presunzioni gravi precise e concordanti, discendenti dall’avere ricavato redditi irrisori, ovvero addirittura negativi, nel corso degli esercizi oggetto di verifica fiscale.

8. Le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti del ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Respinge il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese anticipate a debito e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

 

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