Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19755 del 12/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/07/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 12/07/2021), n.19755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15348-2015 proposto da:

FLORIO COSTRUZIONI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza

Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO RICCARDI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10720/2014 della COMM.TRIB.REG.CAMPANIA,

depositata il 09/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/03/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di p.v.c. del 10.9.2008 redatto da propri funzionari, l’Ufficio di Nola emise a carico di Florio Costruzioni s.r.l. avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005, con il quale veniva contestato – con il metodo analitico-induttivo – il maggior reddito d’impresa pari ad Euro 144.735,00, con conseguenti maggiori IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni ed interessi. La società propose istanza di accertamento con adesione, ma senza esito, sicché impugnò l’avviso dinanzi alla C.T.P. di Napoli, che respinse il ricorso con sentenza del 4.10.2013. La C.T.R. della Campania respinse l’appello della contribuente con sentenza del 9.12.2014, rilevando che – non avendo la società supportato alcuna movimentazione analitica delle rimanenze finali – del tutto legittimamente l’Ufficio aveva considerato quale ricavo del periodo l’incasso di Euro 125.000,00, con conseguente obbligo di fatturazione ed esposizione dell’IVA relativa, irrilevante essendo che esso sia stato poi nel complesso considerato, per l’immobile in questione, nel 2008, a seguito della stipula del rogito notarile.

Florio Costruzioni s.r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole dell’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui s’e’ ritenuto che la mancata esibizione degli inventari e delle schede di lavorazione da parte del contribuente facciano presumere che la somma di Euro 125.000,00 incassata nel 2005 debba considerarsi come ricavo omesso, con ogni conseguenza. L’erroneità deriva dal fatto che la presunzione in discorso non comporta l’inversione dell’, onere della prova, ed in ogni caso perché trattasi di un unico indizio, non dotato di gravità e precisione ex art. 2729 c.c. (la concordanza dovendo di per sé escludersi, stante l’unicità dell’indizio stesso).

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente si duole ancora dell’omesso esame di una serie di fatti (ossia, tra l’altro, che l’incasso di Euro 125.000,00 era pacificamente un mero acconto attinente all’immobile poi ceduto nel 2008; che di ciò s’era dato atto nel relativo rogito notarile, che vi era perfetta identità tra i traenti gli assegni da cui la somma era portata e gli stessi acquirenti; che la somma era stata registrata in contabilità quale mero acconto; che nel corso degli anni 2006 e 2007 i predetti acquirenti avevano corrisposto ulteriori somme a titolo di acconto, registrati in egual modo; che l’immobile era stato ceduto effettivamente nel 2008 e che l’intero importo del prezzo era stato all’epoca fatturato) che, se debitamente considerati, avrebbero dovuto condurre ad una decisione di annullamento dell’avviso impugnato.

1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 109, commi 1 e 2, lett. a), del TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La società lamenta la violazione del principio di competenza economica, che ha giustificato a suo dire la considerazione dell’acconto in discorso quale mero movimento finanziario, non essendo emerso in modo obiettivo il relativo ammontare nel 2005, così occorrendo far riferimento all’esercizio in cui l’effetto traslativo si verifica.

1.4 – Con il quarto motivo, infine, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. ritenuto che la società avrebbe dovuto emettere la fattura nel 2005, senza però tener conto che detta fattura era stata effettivamente emessa nel 2008 (seppur assoggettata all’aliquota agevolata al 4%, ma comprensiva anche dell’importo di Euro 125.000,00 ricevuto a titolo di acconto), così determinandosi anche una illegittima duplicazione dell’imposta.

2.1 – Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Anzitutto, nella parte in cui si lamenta una violazione delle norme che presiedono alla prova presuntiva, deve farsi riferimento al recente insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, che (in motivazione) ha così statuito: “la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.

Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi”.

E’ evidente che il motivo, per come sviluppato dalla ricorrente, non è conforme a tali canoni, giacché non si spiega – al di là di affermazioni meramente tautologiche – perché l’elemento indiziario della mancata redazione degli inventari non abbia i caratteri di gravità e precisione. Non senza dire che il giudice tributario può anche fondare il proprio convincimento anche su un unico indizio, se dotato dei suddetti requisiti di gravità e precisione (per tutte, Cass. n. 3276/2018 e Cass. n. 22184/2020). In definitiva, il mezzo è per tal verso inammissibile.

Esso è però anche infondato, perché, al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, trattandosi di accertamento analitico-induttivo, compete al contribuente che voglia superare la presunzione derivante dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), l’onere di fornire la relativa prova liberatoria (v. ex multis, Cass. n. 26036/2015).

3.1 – Il secondo motivo è infondato.

I fatti elencati dalla ricorrente, che si assumono non considerati dalla C.T.R., da un lato lo sono stati in via implicita, e dall’altro sono comunque non decisivi, perché non è in discussione che l’incasso di Euro 125.000,00 avvenuto nel 2005 costituisse effettivamente un acconto (anche secondo il linguaggio comune) corrisposto dagli acquirenti sul bene poi trasferito nel 2008, ma il suo trattamento contabile, non inquadrabile come mero movimento finanziario.

Infatti, la società – a causa della mancata esibizione del registro degli inventari e delle schede di lavorazione – non ha consentito all’Amministrazione di verificare, in relazione all’immobile in corso di costruzione e per l’anno in contestazione, gli incrementi di valore o i costi imputati all’immobile stesso. Pertanto, da ciò non può che derivare la considerazione dell’incasso di Euro 125.000,00 come ricavi omessi, come correttamente ritenuto dalla C.T.R., giacché non commisurati ad alcuno stato di avanzamento lavori.

4.1 – Anche il terzo motivo è infondato, per le medesime ragioni appena evidenziate.

Poiché non è possibile collegare il versamento in questione ad alcuno stato di avanzamento di lavori, i corrispettivi liquidati dal committente in un determinato esercizio non possono che essere considerati a titolo definitivo tra i ricavi dell’esercizio stesso, secondo quanto disposto dall’art. 93, comma 4, del TUIR, il che è quanto ha stabilito la sentenza impugnata.

5.1 – Infine, anche il quarto motivo è infondato, alla luce del disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4.

Infatti, è noto che “Ai fini della determinazione del periodo d’imposta cui riferire il versamento dell’acconto sul corrispettivo di un contratto preliminare di compravendita immobiliare assume rilievo il momento del versamento della somma con emissione della relativa fattura che costituisce operazione imponibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, comma 4, (come modificato dal D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 793), il quale, in tali ipotesi, prevede che l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o del pagamento” (Cass. n. 25088/2014). E ancora, “In tema di IVA, il versamento di un acconto sul prezzo con emissione della relativa fattura in relazione ad un contratto di compravendita immobiliare costituisce operazione imponibile D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, comma 4, in base al quale, ove il pagamento del corrispettivo avvenga in tutto o in parte anteriormente al momento del passaggio di proprietà, il presupposto impositivo si verifica alla data della fattura o a quella del pagamento e limitatamente all’importo pagato, sicché è a questo momento che deve farsi riferimento per la determinazione del periodo di imposta” (Cass. n. 1961/2020).

Pertanto, la circostanza che l’IVA sia stata esposta nella fattura emessa per l’intero ammontare del corrispettivo nel 2008, benché applicata in misura ridotta ed agevolata (avendo fruito gli acquirenti del beneficio prima casa), non pone alcun problema di duplicazione dell’imposta, solo giustificandosi la richiesta di rimborso da parte del contribuente, previe le necessarie rettifiche, ove occorrenti.

6.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021

 

 

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