Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19752 del 25/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 19752 Anno 2018
Presidente: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.
Data pubblicazione: 25/07/2018

ORDINANZA

sul ricorso 29270/2017 proposto da:
Sindoni Donatella, elettivamente domiciliata in Roma, Via Sardegna
n. 50, presso lo studio dell’avvocato Ricci Alessandro, rappresentata e
difesa dall’avvocato Catalioto Antonio, giusta procura in calce al
ricorso;
-ricorrente –

nonchè contro

Siracusano Giuseppe, in proprio e quale cittadino elettore del Comune
di Messina, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour n. 17,
presso lo Studio degli avvocati Ristuccia e Tufarelli, rappresentato e
difeso dagli avvocati Parisi Maurizio, Saitta Antonio, giusta procura in
calce al controricorso e ricorso incidentale;
-controricorrente e ricorrente incidentale –

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contro
Barbalace Francesco, Comune di Messina, Di Bernardo Giuseppe,
Gennaro Gaetano, Marino Giovanni, Parisi Massimo, Procura Generale
presso la Corte di Appello di Messina, Procura Generale presso la Corte
Suprema di Cassazione, Russo Alessandro, Trimarchi Maria;
– intimatiavverso la sentenza n. 1122/2017 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 14/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/05/2018 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;
lette le conclusioni scritte del P.M.,
Procuratore

Generale

SORRENTINO

in persona del Sostituto

FEDERICO

che

ha

chiesto

l’inammissibilità del ricorso principale e del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

(j)

Giuseppe Siracusano ed altri sei cittadini elettori hanno adito il
Tribunale di

Messina,

per sentir dichiarare

Donatella

Sindoni

ineleggibile alla carica di Consigliere del Comune di Messina, perché
legale rappresentante della struttura sanitaria denominata “Studio
Diagnostico Sindoni & C. S.n.c.”, convenzionata con la ASP di Messina.
Il

Tribunale

adito

ha

ritenuto

sussistente

la

dedotta

causa

d’ineleggibilità in riferimento all’art. 9, co l, punto 9 della LRS n. 31
del 1986 ed ha disposto la sostituzione della Sindoni col primo dei
candidati non eletti, compensando le spese.
La Corte d’Appello di Messina, adita con separati gravami da
Donatella Sindoni e dal cittadino elettore Giuseppe Di Bernardo, con
sentenza del 14.11.2017, ha confermato la ricorrenza della causa
d’ineleggibilità ed, in parziale accoglimento degli appelli incidentali
proposti

da

Massimo

Parisi,

nonché
2

da

Giuseppe Siracusano,

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Francesco Barbalace, Giovanni Marino, Alessandro Russo e Maria
Trimarchi, ha sostituito a Donatella Sindoni nella carica di consigliere
comunale

Giuseppe

Siracusano,

quale

sostituto

provvisorio

di

Giovanni Cocivera. I giudici d’appello hanno ritenuto sussistere la
continuità funzionale ed istituzionale tra le USL e le ASP, evidenziando
che il mutamento della normativa non aveva avuto alcuna influenza
sulla causa d’ineleggibilità prevista dalla disposizione regionale, ed
hanno rilevato che la sentenza della Corte Cost n. 27 del 2009, con
cui era stata dichiarato illegittimo l’art. 60, co l, n. 9, del d.lgs. n. 267
del 2000, nella parte in cui prevede l’ineleggibilità dei direttori sanitari
delle strutture convenzionate, non giovava alla parte appellante, in
quanto la Sindoni rivestiva la diversa carica di legale rappresentante
della struttura, sicché l’ipotesi dell’ineleggibilità, prevista dall’art. 9 co
l punto 9 della LRS n. 31 del 1986, doveva ritenersi tuttora vigente e

dovevano

ritenersi

manifestamente

infondati

i

sollevati

dubbi

d’incostituzionalità.
Per la cassazione della sentenza, che ha rigettato il motivo
dell’appello incidentale relativo al regolamento delle spese ed ha
disposto la compensazione di quelle del grado, Donatella Sindoni ha
proposto ricorso, con due motivi, ai quali Giuseppe Siracusano ha
resistito con controricorso, con cui ha proposto un motivo di ricorso
incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto difese. Il PG ha
depositato conclusioni scritte, cui la Sindoni ha replicato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE

l. Col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione falsa ed

erronea applicazione dell’art. 9, co l, p. 9 della LRS n. 31 del 1986, in
relazione all’art. 360, co l, n. 3 c.p.c.; omessa ed insufficiente
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.
360, co l, n. 5 c.p.c. La ricorrente, che illustra in premessa la ratio
3

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delle norme volte a disciplinare le varie ipotesi d’ineleggibilità,
evidenzia le differenze di regime giuridico delle USL rispetto alle ASL,
iniziando col sottolineare che, in origine, con la L n. 833 del 1978, le
prime, concepite come articolazioni del Comune, avevano il potere di
stipulare convenzioni con strutture private, ed in ragione, proprio, di
tale stretto rapporto elettivo e funzionale, la L. n. 154 del 1981 aveva
previsto per i dirigenti ed i legali rappresentanti di tali strutture
convenzionate l’ineleggibilità alla carica di consigliere comunale (e non
anche a quella di consigliere provinciale), disposizione analoga, poi,
introdotta dal legislatore regionale, dotato in materia di competenza
esclusiva.

La

L n.

502 del

1992, prosegue la

ricorrente,

ha

profondamente mutato la configurazione giuridica delle USL: non più
strutture operative dei Comuni, le Aziende Sanitarie Locali sono
soggetti di diritto dipendenti dalle Regioni, che ne nominano i vertici;
inoltre dal sistema del convenzionamento si è passati a quello
dell’accreditamento effettuato, direttamente, con la Regione. La
Sindoni aggiunge che, in Sicilia, il passaggio dal primo al secondo
sistema è intervenuto con LR n. 30 del 1993 ed attuato con DPR
12.4.1995, e che, successivamente, con LR n. 5 del 2009, è stato
disposto che in ogni Provincia opera un’unica Azienda sanitaria
provinciale. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale,
in tale nuova cornice normativa, l’originaria causa d’ineleggibilità non

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può ritenersi ancora vigente, per essere ormai inesistenti i parametri

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oggettivi di riferimento: non sussiste più né la convenzione né l’entità

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giuridica (USL) che la rilascia e neppure il rapporto territoriale col
Comune. Peraltro, prosegue la ricorrente, i giudici a quibus avevano
omesso di valutare e motivare il prospettato paradosso, cui conduceva
la diversa esegesi, in riferimento alla eleggibilità alla carica di
consigliere provinciale, con conseguente difetto di motivazione sul
4

o

punto.
2. Col secondo motivo, la ricorrente deduce la “violazione
dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione all’omessa ed insufficiente
motivazione sulla questione di Costituzionalità”, lamentando che la
Corte territoriale non ha appieno compreso la sentenza della Corte
Cost. n. 27 del 2009, che aveva limitato il suo esame alla figura dei
direttori sanitari, solo, perché essa costituiva l’oggetto della questione
sottopostale. La ricorrente afferma che l’aver assimilato la figura di
vertice deii’ASP con quella del vertice di una struttura convenzionata
(nella specie un semplice laboratorio di analisi) ha costituito una
forzatura immotivata e disancorata da qualsiasi parametro normativa
ed insiste nel prospettare la qlc della disposizione regionale, in
riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 51 Cost.
3. Disattese le eccezioni d’inammissibilità del ricorso, che non si
fonda su atti specifici ed è adeguatamente rispettoso dei precetti di
cui all’art. 366 c.p.c., il primo motivo è infondato. 4. Esso pone la
questione dell’attuale vigenza della norma di cui all’art. 9, co l, p. 9
della LRS n. 31 del 1986, e la declina sia sotto l’aspetto funzionale
(l’ineleggibilità non avrebbe più ragione giustificatrice, dato il mutato
assetto delle articolazioni territoriali sanitarie), sia sotto l’aspetto
strutturale, con riferimento ai canoni esegetici letterale e sistematico,
per esser mutati gli elementi costitutivi di riferimento. S. Procedendo,
all’esame di tale secondo profilo, che appare prioritario, occorre
rilevare che, nelle parti qui d’interesse, la disposizione regionale in
commento recita che: “non sono eleggibili a consigliere provinciale,
comunale e di quartiere … 9. i legali rappresentanti ed i dirigenti delle
strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio
coincide in tutto o in parte con il territorio dell’unità sanitaria locale
con cui sono convenzionate o dei comuni che concorrono a costituire
5

l’unità sanitaria locale con cui sono convenzionate; … le cause di
ineleggibilità previste dai numeri 8) e 9) del presente articolo non si
applicano per la carica di consigliere

provinciale~~.

Muovendo dal dato

oggettivo della formale vigenza della norma, mai abrogata, e dal fatto
che il riordino della disciplina in materia sanitaria non è intervenuto in
alcun modo sulla diversa materia della ineleggibilità ed incompatibilità,
va, quindi, verificato se la modifica della normativa sanitaria, alla
quale la seconda rinvia, ne renda impossibile l’applicazione, sì da
integrare, ex art.

15 delle preleggi,

la prospettata ipotesi di

abrogazione tacita per incompatibilità col nuovo sistema sanitario.
6. A tale quesito va data risposta negativa. Questa Corte (Cass.
n. 957 del 1996), in riferimento alla disposizione di cui all’art. 2 co l
n. 9 della L. n. 154 del 1981, che la menzionata norma regionale
riproduce, ha già condivisibilmente affermato che la nuova disciplina
delle strutture sanitarie -ora aziende che agiscono come entità
strumentali della Regione dotate di personalità giuridica pubblica,
autonomamente

organizzate

negli

aspetti

amministrativi,

patrimoniali, contabili- non ne ha eliminato affatto il carattere di
operatività “locale”, e, poiché soddisfa i bisogni socio-sanitari delle
comunità “locali”, non ha mutato le previsioni di ineleggibilità dei legali
rappresentanti e dei dirigenti delle strutture convenzionate di cui agli
artt. 43 e 44 della L n. 833 del 1978; è stato, inoltre, ritenuto (Cass.

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n. 1631 del 1999) che, per effetto della modifica normativa, si sono

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create nuove figure d’ineleggibilità, senza per questo pervenire

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all’abrogazione della normativa preesistente (cfr. Cass. n. 8178 del
2000, che definisce inconsistente l’ipotesi della abrogazione tacita). 7.
La tesi della ricorrente non risulta neppure avallata dalla modifica del
sistema

-dalla

forma

del

convenzionamento

a

quella

dell’accreditamento-, avendo questa Corte già affermato (Cass. SU n.
6

o

88 del 1999 e successive conformi, ed in tema di causa d’ineleggibilità
cfr. Cass. n. 13878 del 2001; n. 17810 del 2002) che alla nuova
disciplina non possano attribuirsi effetti sostanzialmente modificativi
del rapporto tra strutture private ed ente pubblico preposto alla
attività sanitaria, che era e resta di natura concessoria. 8. Neppure il
riferimento

letterale

alle

USL

contenuto

nella

norma

appare

determinante, in quanto se è vero che le disposizioni in tema
d’ineleggibilità costituiscono limitazione ad un diritto fondamentale e
sono di stretta interpretazione, l’identificazione dei soggetti colpiti
dalla ineleggibilità è, nella specie, inequivoca, venendo in rilievo il
rapporto concessorio con la struttura sanitaria, sicchè il rinvio operato
dalla norma deve intendersi di natura non già recettizia, bensì formale,
e, quindi, dinamicamente riferito, a seguito della sostituzione delle
USL, alle corrispondenti figure della nuova disciplina.
9. Conferma tale interpretazione il fatto che, in sede nazionale,
il legislatore è intervenuto col d.lgs. n. 267 del 2000 (art. 60, co l,
numeri 8 e 9) non per sopprimere l’ipotesi d’ineleggibilità, ma per
adeguarla alle nuove strutture sanitarie, disponendo, appunto, la non
eleggibilità

a

sindaco,

presidente

della

provincia,

consigliere

comunale, provinciale e circoscrizionale, da un lato, del direttore
generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario delle
Aziende

sanitarie

locali

e ospedaliere;

dall’altro,

dei

<> e dei dirigenti delle strutture convenzionate per i
consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’azienda
sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionati o lo
ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l’azienda
sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate. E la Corte
Cost. ha ripetutamente affermato (n. 283 del 2010; n. 143/2010, n.
288/2007, n. 235/1988, n. 20/1985, n. 171/1984, n. 26/1965 e n.
7

105/1957) che sussiste un’esigenza di tendenziale uniformità sul
piano nazionale della disciplina dell’elettorato passivo e che è possibile
introdurre discipline regionali differenziate rispetto a quella nazionale,
solo, in presenza di particolari situazioni ambientali che giustifichino
normative autonome (sentenze n. 143 del 2010 in tema di disciplina
regionale siciliana e n. 283 del 2010 di quella della Val d’Aosta),
laddove, proprio con specifico riferimento alla potestà legislativa
esclusiva della Regione Siciliana ha riaffermato che <>
(sentenza n. 288 del 2007).

10. L’indiscutibile arretramento dei poteri gestori del Comune
nei confronti delle Unità Sanitarie operanti sul suo territorio (speculare
all’avanzamento dei poteri della Regione disposto dal citato riordino
normativa) non può di certo escludere la vigenza della norma, come
pare opinare la ricorrente, che, incongruamente, fa pure riferimento
al vizio di motivazione relativo al pregresso testo del numero 5 dell’art.

360 comma l c.p.c. (neppure ipotizzabile vertendo le questioni su
profili di diritto), ma potrebbe, in tesi, valere a far dubitare della
ragionevolezza della disposizione la cui valutazione compete, tuttavia,
alla Corte Costituzionale.
unitamente

agli

La questione va, dunque, esaminata

argomenti

svolti

col

secondo

motivo,

che,

inammissibilmente dedotto come vizio motivazionale, vale come
sollecitazione all’esercizio dei poteri officiosi di questa Corte.
11. I

dubbi sono, tuttavia, manifestamente infondati:

in

relazione alla ratio della disposizione, basta osservare che la norma è
8

volta a prevenire la lesione della par condicio tra candidati alla
competizione elettorale, quale si verificherebbe in favore di un
soggetto che godesse di una particolare visibilità presso l’elettorato in
virtù della carica rivestita, che lo pone come controparte in trattative
contrattuali

con

la

pubblica amministrazione in

un settore di

particolare rilievo sociale come la sanità (così Cass. n. 262 del 2011);
in

altri

termini,

essa

intende

a

neutralizzare

pericoli

di

condizionamento cui potrebbe essere esposto l’elettorato nei suoi
diretti ed indiretti rapporti con l’azienda erogatrice dei servizi sociosanitari e con le strutture convenzionate (Cass. n. 957 del 1996). 12.
Del resto, la Corte Cost. con la menzionata sentenza n. 283 del 2010,
nell’evidenziare che l’ineleggibilità dei vertici delle Aziende sanitarie
locali e delle strutture sanitarie private che operano in regime di
convenzione o di accreditamento, costituisce un dato di sistema della
legislazione statale e configura, dunque, un principio generale
dell’ordinamento

giuridico

elettorale,

ha

richiamato

la

propria

sentenza n. 27 del 2009 ed ha sottolineato “il parallelismo esistente
tra le suddette cariche operanti in modo analogo nelle strutture sia
pubbliche che private”, così ribadendo la legittimità di dette cause
d’ineleggibilità, ed evidenziando non esser dubitabile che la posizione
delle autorità di vertice delle strutture sanitarie private, le quali
operino in stretta collaborazione con le strutture sanitarie pubbliche

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della Regione, consenta di influire in vario modo sugli orientamenti

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degli elettori, sicché possono essere ravvisati, in concreto, pericoli di

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captatio benevolentiae o di metus publicae potestatis. 13. Dal che

discende, da una parte, che la diversa esegesi di tale sentenza
propugnata dalla ricorrente risulta smentita dalla stessa Consulta, e,
dall’altra, che, opinando con la ricorrente -che a torto sottolinea il
requisito dimensionale della struttura convenzionata, che non è
9

o

contemplato dalla norma- l’ordinamento siciliano resterebbe privo, a
differenza del resto del Paese, di disciplina in riferimento alle ipotesi
di captatio voti riferita ai

legali rappresentanti delle strutture

convenzionate che si trovano in una posizione di prestigio rispetto agli
assistiti e hanno la possibilità di condizionare il voto di settori
dell’elettorato. (Corte Cost. n. 1020 del 1988) .
14. Il ricorso principale va, dunque, respinto, dovendosi
affermare il seguente principio di diritto: “La causa di ineleggibilità di
cui all’art. 9, co l, n. 9 della Legge regionale Siciliana n. 31 del 1986,
per i legali rappresentanti delle strutture sanitarie private che operano
in regime di accreditamento, non risulta abrogata per incompatibilità
per effetto del riordino del sistema sanitario che ha sostituito alle USL
le ASP, configurandole come enti strumentali della Regione (D.Lgs. 30
dicembre 1992 n. 502; Legge regionale Siciliana 3 novembre 1993 n.
30; Legge regionale Siciliana 14 aprile 2009, n. 5), in quanto il rinvio
operato dalla norma, di natura formale, è riferito al rapporto
concessorio che lega le corrispondenti figure della nuova disciplina (le
strutture private e l’ente pubblico preposto alla attività sanitaria)
senza che possa dirsi venuta meno la ratio sottesa alla nuova
disciplina, che è sempre quella di prevenire la lesione della par
condicio tra candidati alla competizione elettorale, mediante la
captatio voti da parte del titolare della struttura privata il quale,

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trovandosi in una posizione di prestigio, ha la facile possibilità di

t

condizionare il voto di un rilevante settore dell’elettorato”.

u

15. Col proposto ricorso incidentale, si deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte del
merito proceduto alla compensazione delle spese, adottata sulla scorta
di argomenti incongrui.
16. Il motivo è inammissibile. In base al principio consolidato
lO

o

nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 24502 del 2017 e
giurisprudenza richiamata), il sindacato di questa Corte, in tema di
spese processuali, è limitato ad accertare che non risulti violato il
principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico
della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, e ciò sia nell’ipotesi
di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di “assoluta novità delle
questioni trattate o di mutamento della giurisprudenza”, ipotesi che
vanno integrate a mente della sentenza additiva n. 77 del 2018 della
Corte Cost., che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92
c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare
le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora
sussistano altre analoghe gravi

ed

eccezionali

ragioni,

la

cui

identificazione è rimessa al giudice del merito. Nella specie, tali ragioni
sono state indicate nell’impugnata sentenza, risultando così assolto
l’onere di motivazione in riferimento all’art. 111 Cost.
17. In relazione alla parziale reciproca soccombenza, le spese
del presente giudizio di legittimità vanno compensate per un terzo,
dovendo porsi a carico della ricorrente principale i restanti due terzi,
che si liquidano come da dispositivo. Trattandosi di processo esente
dal contributo unificato, non trova applicazione l’art 13, co l quater
del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi principale ed incidentale. Compensa per un terzo
le spese del presente giudizio di legittimità, e condanna la ricorrente
principale al pagamento dei restanti due terzi, che si liquidano in
complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per spese vive, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Il

12

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