Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19750 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. II, 27/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 32316/05) proposto da:

Avv.to O.V. (OMISSIS) in giudizio di persona

ex art. 86 c.p.c., ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv.to Pieriuigi Manfredonia in Roma, piazza della Libertà n.

20;

– ricorrente –

contro

C.M., S.F. e S.S.,

rappresentati e difesi dall’Avv.to MARABETE GIUSEPPE del foro di

Trapani, in virtù di procura speciale apposta in calce al

controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’Avv.to Pierfrancesco Della Porta in Roma, via Lorenzo Valla n.

2;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1127

depositata il 25 ottobre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che – nell’assenza delle parti

– ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3 marzo 1997 C.M., S.B., S.F. e S.S. proponevano opposizione, dinanzi alla Pretura di Trapani, avverso al decreto ingiuntivo del 15 gennaio 1997 emesso dal medesimo pretore con il quale veniva loro ingiunto il pagamento della somma di L. 12.500.000, in favore dell’Avv.to O.V., quale compenso per l’opera professionale svolta dal legale su incarico di S. N., deceduto e dante causa degli opponenti. Gli opponenti contestavano l’esistenza del credito, deducendo che comunque il loro dante causa aveva adempiuto ad ogni obbligazione nei confronti del professionista, eccependo, in via gradata, le prescrizione del credito stesso a norma degli artt. 2956 e 2957 c.c., chiedendo, pertanto, la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dell’opposto, il Tribunale adito (già pretore), accoglieva parzialmente l’opposizione e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo, con condanna degli opponenti a corrispondere al professionista la somma di L.. 7.893.330, oltre ad IVA e CPA, ed al pagamento delle spese del giudizio nella misura di due terzi, compensandole per il restante terzo.

In virtù di rituale appello interposto dalla C. e da S. F. e S., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure avesse fatto cattivo governo del criterio distributivo dell’onere probatorio sancito dall’art. 2697 c.c., per non avere controparte dimostrato nè il genere di attività svolta nè il tempo in cui sarebbe stata posta in essere, la Corte di Appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, che proponeva appello incidentale, accoglieva l’appello principale, respinto quello incidentale, e per l’effetto dichiarava che nulla era dovuto dagli opponenti – appellanti, con condanna del legale al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che dall’esame della documentazione prodotta dall’appellato a dimostrazione dei crediti dallo stesso vantati per l’attività professionale svolta in favore del dante causa degli appellanti non era dato rinvenire alcun atto processuale a fondamento dell’opera asseritamente prestata.

Concludeva, quindi, che nulla era dovuto all’ O. in relazione ai procedimenti instaurati dal S. nei confronti di T. – D.B., G., L., nonchè al procedimento penale n. 1200/92.

Aggiungeva, inoltre, quanto all’appello incidentale, che anche le doglianze ivi dedotte circa la mancata maturazione della prescrizione per i compensi relativi ai procedimenti contro V.M. e G.S., risultava sfornita di ogni dimostrazione la qualità e quantità dell’attività professionale dedotta.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione l’ O., che risulta articolato su due motivi, al quale hanno resistito C.M., S. F. e S., con controricorso inviato il giorno 27.12.2005 con racc. A/R per il deposito presso la cancelleria della Corte di Cassazione.

Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Come esposto in narrativa, i resistenti C.M., S. F. e S. con memoria, inviata per il deposito in Cancelleria con racc. A/R il 27 dicembre 2005, unitamente alla procura speciale rilasciata in calce al medesimo atto in favore dell’Avv.to Giuseppe Marabete, con elezione di domicilio in Roma, nello studio dell’Avv.to Pierfrancesco Della Porta, hanno dichiarato di voler resistere al ricorso, chiedendone il rigetto.

Va anzitutto rilevato, trattandosi di questione pregiudiziale di rito rilevabile d’ufficio siccome attinente alla regolare instaurazione del rapporto processuale, che i C. – S. non hanno, con la memoria semplicemente depositata e non notificata nei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., in relazione all’art. 365 dello stesso codice, e indipendentemente dal nomen juris attribuito all’atto, compiuto le formalità necessarie per resistere e “contraddire” ritualmente all’impugnazione (v. Cass. S.U. 12.3.2003 n. 3602; Cass. 28.1.2005 n. 1737; Cass. 9.9.2008 n. 22928; Cass. 28.7.2010 n. 17688). Il presupposto che abilita il difensore ad intervenire nella discussione è che l’atto cui accede la procura speciale, a prescindere dalla sua intitolazione, sia qualificabile come atto di contraddizione al ricorso avversario. A tal fine occorre che esso sia notificato alla parte ricorrente; se invece esso è solo presentato alla Corte viene meno la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio. Infatti la conoscenza legale del controricorso può indurre la controparte a replicare, dando uno specifico contenuto alla memoria ex art. 378 c.p.c.. Ne deriva che in questa sede gli intimati non hanno svolto valida attività difensiva e pertanto la loro “costituzione” deve considerarsi tamquam non esset, anche quanto alla memoria presentata ex art. 378 c.p.c., configurandosi il vizio della notificazione del controricorso in termini di inesistenza, per cui l’art. 291 c.p.c. è – secondo la giurisprudenza di questa Corte, che notoriamente esclude la sua applicazione in caso di inesistenza della notificazione – inapplicabile. Infatti la procura apposta in calce di tale atto non può essere autenticata dal difensore, dal momento che il suo potere di certificazione è limitato agli atti specificamente indicati nell’art. 83 c.p.c., comma 3, e per l’effetto il difensore investito con siffatta procura non può neanche prendere parte alla discussione del ricorso.

Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè la nullità del procedimento di appello, in relazione agli artt. 102 e 331 c.p.c., per non avere il giudice del gravame disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi del defunto S.N., pur trattandosi di litisconsorti necessari, per avere proposto appello i soli C., S.F. e S., pretermessa S.B., che pure aveva preso parte – costituendosi – al giudizio di primo grado.

Va preliminarmente rilevato che il contraddittorio è correttamente instaurato benchè il ricorso non sia stato notificato agli altri aventi causa di S.N., giacchè non sussiste litisconsorzio necessario ne1 tra condebitori solidali, cui si estendono gli effetti della sentenza favorevole non fondata su ragioni personali e non anche quelli della sentenza sfavorevole (ex art. 1306 c.c.), nè tra coeredi, attesa l’autonomia dei rispettivi rapporti obbligatori (ex art. 754 c.c.) (v. Cass. 9.3.2006 n. 5100).

Nè ricorreva la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di S.B. nel giudizio di appello non essendosi nello stesso verificata successione nel processo ex art. 110 c.p.c.; la C. ed i S., convenuti in senso sostanziale, hanno proposto opposizione avverso decreto ingiuntivo come eredi di S.N. e, in caso di successione mortis causa di più eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, si determina – giova ribadirlo – un frazionamento pro quota dell’originario debito del de cuius tra i vari aventi causa, con la conseguenza che il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile e, in ipotesi, come quella in esame, di giudizio instaurato per il pagamento, non si determina litisconsorzio necessario di tutti gli eredi del defunto debitore, nè in primo grado, nè nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause (v. Cass. 27.1.1998 n. 785; Cass. 22.11.1984 n. 6040). Il motivo è, quindi, privo di pregio.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione – a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – dell’art. 2957 c.c., in riferimento all’art. 2697 c.c., nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte di merito erroneamente distribuito l’onere probatorio, oltre ad incorrere in palese contraddizione, dal momento che non aveva formato oggetto di contestazione da parte degli appellanti lo svolgimento dell’attività professionale da parte del legale. Il medesimo giudice del gravame, inoltre, “ha decampato dai termini della contesa, equivocandone i contenuti” anche con riferimento ai principi sottesi agli artt. 2956 e 2957 c.c., di cui al proposto appello incidentale. Il motivo è parimenti infondato e va, pertanto, disatteso.

è, infatti, noto che la sola parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se è vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo è nel giudizio di opposizione poichè il parere attesta la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, nè è vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari (Cass. 13.4.1999 n. 3627;

Cass. 17.3.2006 nn. 5884 e 5885; Cass. 20.4.2006 n. 9254), per cui la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude ne1 inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti. Nel caso di specie la corte di merito ha correttamente posto a carico del professionista l’onere della prova circa l’esistenza del credito vantato ed all’uopo ha fatto riferimento alla documentazione prodotta, adeguatamente affermando quanto alla prova delle prestazioni effettuate dall’ O., senza che la censura della sentenza sul punto offra una diversa visione della vicenda. Inoltre occorre rilevare che, per altro profilo, il motivo è da ritenere inammissibile.

Infatti non rispetta il principio di autosufficienza il ricorso per cassazione che, denunciando l’omessa o contraddittoria motivazione da parte del giudice di secondo grado, sulle doglianze mosse in appello alle ragioni esposte davanti al Tribunale, non espone quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, e così impedisce al giudice di legittimità una completa cognizione dell’oggetto; nè al principio di autosufficienza può ottemperarsi “per relationem”, mediante il richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (v. Cass. 13 dicembre 2006 n. 26693).

Il motivo, dunque, contrasta con la regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. 2.11.1998 n. 10913; Cass. 24.5.2006 n. 12362).

Al rigetto del ricorso non consegue nessun provvedimento in ordine alle spese del giudizio di cassazione, per non avere gli intimati svolto in questa sede valida attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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