Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19749 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. III, 23/07/2019, (ud. 15/02/2019, dep. 23/07/2019), n.19749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24250/2015 proposto da:

AUTORITA’ PORTUALE DI VENEZIA, in persona del legale rappresentante

p.t., domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, (OMISSIS) in persona del Dirigente Dott.

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA ROSSI, che lo rappresenta difende

unitamente all’avvocato LETIZIA CRIPPA, giusta procura speciale in

calce al controricorso;

ITALIA MARITTIMA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MARAZZA, che la rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

NUOVA COMPAGNIA LAVORATORI PORTUALI DI VENEZIA SOC.COOP. A R.L., in

persona del legale rappresentante pro tempore T.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 5 presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO MASIANI che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RICCARDO VIANELLO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

D.R.G., D.R.S.S., F.R.,

B.A.M., B.G., D.R.G., D.R.A.,

D.R.S., D.R.M., DE.RO.AN., COMPAGNIA

LAVORATORI PORTUALI DI VENEZIA SCARL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

nonchè da:

DE.RO.AN., D.R.A., B.G.,

D.R.G., D.R.G., B.A.M., D.R.M.,

D.R.S., D.R.S.S., F.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio

dell’avvocato MARIO MASSANO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ENRICO CORNELIO giusta procura speciale in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

S.S.;

– ricorrenti incidentali –

contro

ITALIA MARITTIMA SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MARAZZA, che la rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL

LAVORO (OMISSIS), AUTORITA’ PORTUALE DI VENEZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1669/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/02/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 29/6/2015, la Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da D.R.G., B.A.M., B.G., D.R.G., D.R.A.Dei Rossi Schiavon Sonia,.Ferreri Sebastiano,.Dei Rossi Silvana,.Dei Rossi Maria e. D.R.A. e in parziale riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato l’Autorità Portuale di Venezia al risarcimento, in favore degli appellanti principali, dei danni dagli stessi sofferti in conseguenza del decesso di D.R.F., loro congiunto, provocato da una malattia contratta nell’esercizio della propria attività lavorativa prestata in favore del Provveditorato al Porto di Venezia;

che, con la stessa decisione, la corte territoriale ha disatteso l’appello incidentale proposto dall’Autorità Portuale di Venezia;

che, a fondamento della decisione assunta, la Corte d’appello di Venezia, ribadita la sussistenza della legittimazione passiva dell’Autorità Portuale di Venezia (quale successore, ai sensi della L. n. 84 del 1994, nella posizione sostanziale del Provveditorato al Porto di Venezia), ha, da un lato, rideterminato gli importi risarcitori già riconosciuti in favore degli appellanti principali e, dall’altro, disatteso la domanda con la quale D.R.S.S. aveva rivendicato il risarcimento del danno patrimoniale subito a seguito del decesso del coniuge, tenuto conto dell’avvenuta fruizione, da parte della stessa, della pensione di reversibilità già liquidata in suo favore dall’Inps;

che, avverso la sentenza d’appello, l’Autorità Portuale di Venezia propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che D.R.G., B.A.M., B.G., D.R.G., D.R.A., D.R.S.S., F.S., D.R.S., D.R.M. e De.Ro.An., resistono con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo di doglianza;

che la Nuova Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia s.c. a r.l., l’Inail e la Italia Marittima s.p.a., tutte già chiamate in giudizio, resistono con controricorso;

che la Italia Marittima s.p.a. ha altresì depositato controricorso in relazione al ricorso incidentale;

che la Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia soc. coop. in liquidazione, intimata, non ha svolto difese in questa sede;

che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in relazione alla questione della c.d. compensatio lucri cum damno, ovvero, in via gradata, per il rigetto di entrambi i ricorsi;

che tutte le parti costituite hanno depositato memoria;

che, all’adunanza in camera di consiglio del 16.4.2018, sul presupposto dell’avvenuta rimessione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione della risoluzione di questioni connesse con l’oggetto dell’odierno giudizio, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 28081 del 16/4/-5/11/2018, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo;

che, a seguito delle decisioni delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U -, Sentenze nn. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 13/2-22/5/2018), il ricorso è stato nuovamente condotto in decisione all’odierna camera di consiglio;

che le parti hanno depositato ulteriore memoria;

Diritto

CONSIDERATO

che, con l’unico motivo del ricorso principale, l’Autorità Portuale di Venezia censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 28 gennaio 1984, n. 94, artt. 6 e 20 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la legittimazione passiva dell’Autorità Portuale di Venezia quale preteso successore del Provveditorato al Porto di Venezia;

che, al riguardo, la ricorrente sottolinea come, sulla base delle norme di legge richiamate, l’Autorità Portuale di Venezia debba ritenersi subentrata al Provveditorato al Porto di Venezia unicamente in relazione all’esercizio delle funzioni pubblicistiche connesse alla gestione dei corrispondenti interessi portuali, atteso l’espresso divieto, sancito nell’art. 6 della legge richiamata, di assumere la gestione delle attività imprenditoriali in precedenza esercitate dalle organizzazioni portuali (dalla L. n. 84 del 1994 attribuite al patrimonio di società commerciali di diritto privato), con la conseguente impossibilità di predicare, in capo all’Autorità Portuale, la titolarità di alcun rapporto connesso all’esercizio delle ridette attività imprenditoriali in relazione alle quali era stata individuata la responsabilità per i danni subiti da D.R.F. nell’esercizio della propria prestazione lavorativa;

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 20, comma 6 (nel testo originariamente vigente), le Autorità Portuali “subentrano alle organizzazioni portuali nella titolarità dei beni e nella totalità dei rapporti attivi e passivi”;

che tale norma è stata poi modificata dal D.L. n. 535 del 1996, art. 2, comma 19 (convertito nella L. n. 647 del 1996) e inserita nel comma 5 dello stesso art. 20, senza sostanziale alterazione del meccanismo successorio tra organizzazione portuale e Autorità Portuale (“le Autorità portuali subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso”) (salva la successiva denominazione di “Autorità di sistema portuale” introdotta dal D.Lgs. n. 232 del 2017, art. 15, comma 1);

che, pertanto, rilevata la conclusione del rapporto lavorativo del D.R. nel 1987 (dunque ben prima dell’istituzione dell’Autorità Portuale di Venezia con la L. n. 84 del 1994), varrà evidenziare come l’estremo patrimoniale cui occorre riferirsi, ai fini della ricostruzione della vicenda successoria, non vada identificato nell’esercizio di un’attività d’impresa (che si assume non trasmissibile all’Autorità Portuale), bensì nel solo debito risarcitorio contratto in relazione al rapporto lavoro con il D.R., di per sè, all’epoca dell’istituzione dell’Autorità Portuale, già integralmente esaurito;

che, peraltro, converrà ulteriormente rilevare come, ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 6, comma 1, lett. a), (nel testo originariamente approvato), all’Autorità Portuale risultino affidati i compiti di “indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali, di cui all’art. 16, comma 1, e delle altre attività esercitate nell’ambito portuale, anche in riferimento alla sicurezza rispetto ai rischi di incidenti connessi a tali attività”;

che nelle versioni successive di tale norma, risulta confermata l’attribuzione, in capo all’Autorità Portuale (divenuta “Autorità di sistema portuale”), dei compiti di “indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali di cui all’art. 16, comma 1, e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e di ordinanza, anche in riferimento alla sicurezza rispetto a rischi di incidenti connessi a tali attività ed alle condizioni di igiene del lavoro in attuazione dell’art. 24”;

che da tale norma è possibile desumere il ricorso di una significativa continuità nella successione, dalle organizzazioni portuali all’Autorità Portuale, delle responsabilità cautelari, organizzative, e di controllo in materia di sicurezza delle attività esercitate in ambito portuale, con la conseguente legittima ascrizione di responsabilità risarcitorie a carico dell’Autorità Portuale, in caso di malattie derivanti, ai danni dei lavoratori del porto, dall’omesso controllo sulle condizioni di sicurezza delle attività dagli stessi esercitate;

che, conseguentemente, del tutto correttamente il giudice a quo ha riconosciuto la legittimazione passiva dell’Autorità Portuale di Venezia in relazione al rapporto de quo, quale successore, ai sensi della L. n. 84 del 1994, nella posizione sostanziale del Provveditorato al Porto di Venezia (cfr., in senso conforme, Sez. 3, Ordinanza del 28 settembre 2018, n. 30624);

che, con l’unico motivo dell’impugnazione incidentale, i ricorrenti indicati in epigrafe censurano la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso il credito risarcitorio rivendicato a titolo di danno patrimoniale da D.R.S.S., coniuge del lavoratore deceduto, sul presupposto dell’avvenuta liquidazione, in suo favore, della pensione di riversibilità da parte dell’Inps senza tener conto dell’impossibilità di applicare il principio della compensatio lucri cum damno nei casi, come quello in esame, in cui il pregiudizio e l’incremento ottenuto dal danneggiato non dipendono dal medesimo fatto illecito;

che il motivo è fondato;

che, infatti, secondo l’indirizzo fatto proprio dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U -, Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, Rv. 648647 – 01), la pensione di reversibilità, appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, è una forma di tutela previdenziale nella quale l’evento protetto è la morte, vale a dire un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti;

che l’ordinamento configura la pensione di reversibilità come “una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno e alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3 Cost., comma 2) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore di un trattamento preferenziale (art. 38 Cost., comma 2) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38 Cost., comma 1)” (Corte Cost., sentenza n. 286 del 1987);

che, nella pensione di reversibilità, la finalità previdenziale “si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico” (Corte Cost., sentenza n. 174 del 2016), che “si realizza quando il bisogno colpisce i lavoratori ed i loro familiari per i quali, però, non può prescindersi dalla necessaria ricorrenza dei due requisiti della vivenza a carico e dello stato di bisogno, i quali si pongono come presupposti del trattamento”;

che, per effetto della morte del lavoratore, dunque, “la situazione pregressa della vivenza a carico subisce interruzione”, ma il trattamento di reversibilità “realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti” (Corte Cost., sentenza n. 286 del 1987, cit.);

che l’erogazione della pensione di reversibilità non è geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo, atteso che la stessa non soggiace a una logica e a una finalità di tipo indennitario, ma costituisce piuttosto – come è stato rilevato in dottrina – l’adempimento di una promessa rivolta dall’ordinamento al lavoratore-assicurato che, attraverso il sacrificio di una parte del proprio reddito lavorativo, ha contribuito ad alimentare la propria posizione previdenziale: la promessa che, a far tempo dal momento in cui il lavoratore, prima o dopo il pensionamento, avrà cessato di vivere, quale che sia la causa o l’origine dell’evento protetto, vi è la garanzia, per i suoi congiunti, di un trattamento diretto a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire o ad alleviare lo stato di bisogno;

che sussiste, dunque, una ragione giustificatrice che non consente il computo della pensione di reversibilità in differenza alle conseguenze negative che derivano dall’illecito, perchè quel trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde ad un diverso disegno attributivo causale;

che la causa più autentica di tale beneficio – è stato osservato deve essere individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurano come serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza (occasionale e giuridicamente irrilevante) che determina la morte;

che una conferma di questo esito interpretativo viene dagli insegnamenti della dottrina, la quale, nel condividere la soluzione alla quale la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta sin dagli anni cinquanta del secolo scorso, valorizza la circostanza che l’incremento patrimoniale corrispondente all’acquisto del diritto alla reversibilità si ricollega ad un sacrificio economico del lavoratore, e quindi non costituisce un vero e proprio lucro; laddove, affinchè nell’ambito del giudizio di responsabilità civile si abbia una riduzione del danno risarcibile, è necessario che con il danno prodotto concorra un autentico lucro prodotto, vale a dire un “gratuito vantaggio economico”;

che quando la condotta del danneggiante costituisce semplicemente l’occasione per il sorgere di un’attribuzione patrimoniale che trova la propria giustificazione in un corrispondente e precedente sacrificio, allora – si afferma – non si riscontra quel lucro che, unico, può compensare il danno e ridurre la responsabilità;

che in questa stessa direzione convergono le più recenti riflessioni sul tema, atteso che, proprio prendendo le mosse dalla necessità di guardare alla funzione concreta e alla giustificazione più profonda del beneficio collaterale rappresentato dalla pensione di reversibilità, la dottrina esclude, secondo un giudizio normativo-valoriale, che il welfare previdenziale istituito e alimentato dai contributi del lavoratore, come tale espressione di una scelta di sistema pienamente conforme al respiro costituzionale della sicurezza sociale, sia suscettibile di essere considerato un beneficio da assoggettare all’impiego contabilmente causale della compensatio lucri cum damno;

che d’altra parte – si sottolinea – la stessa valutazione della pensione di reversibilità nel contesto attuale, caratterizzato dal passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, ne conferma e ne rafforza la funzione previdenziale, trattandosi di un’attribuzione che rinviene la sua causa necessaria, oltre che nella previsione di legge, nel sacrificio del lavoratore attraverso il versamento dei contributi;

che da tali premesse deriva la conferma del principio in forza del quale, dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo;

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza del ricorso principale e la piena fondatezza di quello incidentale, dev’essere disposto, accanto al rigetto del primo, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr., da ultimo, con specifico riguardo all’Autorità Portuale, Sez. L, Ordinanza del 9 gennaio 2019, n. 268).

PQM

Rigetta il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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