Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19745 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 22/09/2020), n.19745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24384-2019 proposto da:

V.A.A., V.G.V., nella qualità

di eredi di V.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

NIZZA 92, presso lo studio dell’avvocato COSIMO DAMIANO MASTROROSA,

rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO PARATO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il

02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Bari, con decreto n. 1559/2019, accoglieva l’opposizione proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze avverso il decreto del Magistrato designato – emesso il 14/19.12.2018 – che aveva accolto la domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 depositata da V.G.V. e V.A.A. in qualità di eredi legittimi di V.A., in relazione a processo instaurato con ricorso depositato in data 24.03.2003 dinanzi alla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, riassunto dopo l’interruzione (causata dal decesso del ricorrente) dagli eredi legittimi e definito con sentenza n. 207/2015, pubblicata in data 16.04.2015, liquidando la somma complessiva di Euro 7.200,00, per tardività della domanda depositata in data 14.11.2018 sebbene passata in giudicato la pronuncia del giudizio presupposto in data 16.04.2016 D.L. n. 453 del 1993, ex art. 1, comma 5 bis conv. in L. n. 19 del 1994 (come modificato dal D.L. n. 543 del 1996, art. 1 conv. in L. n. 639 del 1996).

Avverso il decreto della Corte di appello di Bari i V. propongono ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

Il Ministero della giustizia resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso principale potesse essere dichiarato infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Atteso che:

i ricorrenti hanno depositato memoria pervenuta in cancelleria solo in data 02.03.2020, come da annotazione dell’ufficio sull’atto, rispetto all’adunanza fissata per il 04.03.2020 e pertanto va ritenuta tardiva, della quale, dunque, non si deve tenere conto;

– venendo al merito del ricorso, con il primo motivo i ricorrenti censurano la violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 3 e 4 nonchè del R.D. n. 1214 del 1943, art. 68 e R.D. n. 1038 del 1933, art. 107 e ss. del codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174 del 2016), oltre a manifesta contraddittorietà della pronuncia ed evidente disparità di trattamento, giacchè ad avviso dei V. la decisione impugnata si fonderebbe su presupposti di fatto assolutamente non rispondenti alla realtà; infatti il passaggio in giudicato della sentenza in materia pensionistica della Corte dei Conti sarebbe necessario attendere il termine triennale previsto per la revocazione ordinaria di cui al R.D. n. 1214 del 1934, art. 68, lett. a).

Il motivo è privo di pregio.

Si deve, infatti, ribadire il principio di diritto già espresso dal giudice di legittimità in relazione ad analoga fattispecie riguardante il ricorso per equa riparazione proposto nella vigenza della L. n. 89 del 2001, art. 4 secondo il testo previgente alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012 convertito con modifiche nella L. n. 134 del 2012 (ed applicabile ai ricorsi depositati dopo l’11/9/2012), per cui “in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ove la violazione del termine di ragionevole durata del processo si verifichi in un giudizio pensionistico svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti e definito con sentenza della sezione regionale contro la quale non sia proposto appello, il termine di decadenza per proporre la domanda di cui alla citata L. n. 89 del 2001, art. 4 decorre dalla data di scadenza del termine per proporre appello, poichè, al compimento di quest’ultimo, la sentenza pronunciata dalla predetta sezione, al pari di quella del giudice ordinario, acquista autorità di cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324 c.p.c., non potendo essere più impugnata con un mezzo ordinario, in quanto il rimedio di revocazione ordinaria previsto dal R.D. 12 luglio 1933, n. 1214, art. 68, lett. a) è esperibile solo nei confronti delle sentenze emesse in unico grado o in grado di appello, mentre l’errore di fatto revocatorio relativo ad una sentenza appellabile, in applicazione dei principi generali, si converte in motivo di nullità del provvedimento che deve essere dedotto proprio con l’appello” (Cass. n. 9843 del 2012).

Questa Corte ha poi chiarito che “in caso di irragionevole durata del giudizio di appello della Corte dei conti, la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nel testo originario, applicabile ratione temporis), può essere proposta anche all’esito del giudizio di revocazione ordinaria, sempre che questo sia stato introdotto entro sei mesi dal deposito della sentenza che ha concluso il giudizio presupposto, essendo irrilevante, perchè assolutamente straordinario, il termine di tre anni previsto per la revocazione dal R.D. n. 1214 del 1934, art. 68 (Cass. n. 25179 del 2015).

Nella specie, il decreto impugnato si sottrae alle proposte censure, atteso che correttamente ha ritenuto che il termine di proposizione della domanda di equa riparazione dovesse decorrere dal deposito della sentenza di primo grado, e che, in ogni caso, il ricorrente non avrebbe potuto beneficiare del prolungamento di detto termine per effetto della proponibilità della revocazione ordinaria, con la precisazione che il ricorrente non aveva in alcun modo dedotto di essersi avvalso della detta possibilità, ove ammissibile.

Nè può farsi applicazione della sentenza di questa Corte n. 9775 del 2019, come invocato dai ricorrenti, la quale attiene a ben altra fattispecie, per la quale era stato positivamente accertato il mancato passaggio in giudicato nel giudizio presupposto della decisione conclusiva;

con il secondo motivo, formulato in via gradata, i ricorrenti lamentano una condanna alle spese esosa ed ingiustificata, nella misura di Euro 2.000,00, oltre accessori, mentre l’oggetto del contendere e le particolari circostanze verificatesi nel corso del giudizio avrebbero dovuto indurre la corte di merito a derogare al principio della soccombenza e disporre la totale compensazione o quanto meno una condanna meno gravosa.

La censura è manifestamente infondata, visto che la soccombenza, ai fini della regolazione delle spese, si rapporta certo all’esito concreto della lite e non a quello sperato o ritenuto più corretto da chi vi appare univocamente ed incontestabilmente soccombente; e, ad ogni buon conto, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. Un. 15 luglio 2005 n. 14989; Cass. 31 marzo 2006 n. 7607; Cass. 26 aprile 2019 n. 11329).

Per completezza si osserva che i ricorrenti neanche deducono il valore della causa ai fini della corretta individuazione dello scaglione, nè lamentano la violazione dei minimi tariffari.

Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore dell’Amministrazione della giustizia delle spese di questo giudizio di legittimità, determinate in complessivi Euro, 2.000,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

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