Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19742 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19742 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 3838-2011 proposto da:
STECCHERINI FABIO in proprio e in qualità di
rappresentante fiscale della ALLCOMM LTD,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARONCINI 51,
presso lo studio dell’avvocato PERSICO GIUSEPPE, che
lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 28/08/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 15/2010 della COMM.TRIB.REG. di
TRIESTE, depositata il 27/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

udito per il ricorrente l’Avvocato PERSICO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato MELONCELLI
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

GIOVANNI CONTI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
1. L’Ufficio dogane di Monfalcone effettuava una verifica sulle importazioni eseguite dalla società
inglese Allcomm LTD con sede legale ed amministrativa in Gran Bretagna, appurando che detta
società aveva effettuato delle importazioni di beni utilizzando la partita IVA dello stesso sodalizio
ancorchè le relative merci erano state importate materialmente da società controllate dalla stessa.
2. Per tale motivo l’Ufficio riteneva illegittima l’operata detrazione dell’IVA all’importazione

dell’IVA detratta per l’anno 2000 a Steccherini Fabio, nella sua qualità di rappresentante fiscale
della società Allcomm.
3. Lo Steccherini, quale rappresentante fiscale della società inglese anzidetta, impugnava l’avvito
innanzi alla CTP di Gorizia che riteneva legittimo l’avviso.
4. L’appello proposto dal contribuente innanzi alla CTR del Friuli Venezia Giulia veniva rigettato
con sentenza depositata il 27 gennaio 2010.
4.1 H giudice di appello osservava che, come già ritenuto dal giudice di primo grado, lo
spedizioniere agiva quale rappresentante diretto dell’importatore e che lo Steccherini, in quanto
rappresentante fiscale della società straniera aveva ricevuto la notifica degli avvisi di accertamento,
quale obbligato in solido per il pagamento della somma pretesa.
4.2 Aggiungeva che, nel caso di specie, ad onta di quanto sostenuto dal contribuente, non vi era
stato un mero errore di carattere formale, dovendosi inquadrare i fatti nell’ambito di una violazione
sostanziale, correlata alla modifica del soggetto importatore, dalla quale conseguivano gravi effetti
rispetto all’esistenza e verifica delle autorizzazioni rilasciate al singolo importatore.
4.3 Corretta doveva ritenersi, pertanto, l’attività dell’ufficio, dovendosi respingere anche il rilievo
relativo alla norme in tema di continuazione, trattandosi di più violazioni autonome e distinte.
5. Lo Steccherini, assumendo di agire in proprio e quale rappresentante fiscale della società
Allcomm Ltd, ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi, al quale ha resistito
l’Agenzia delle Entrate con controricorso.La parte contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Con il primo motivo lo Steccherini deduce sotto diversi profili la violazione e falsa applicazione
dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. Lamenta che la CTR ha omesso di
esaminare l’eccezione di nullità della notifica dell’avviso e di incompetenza dell’Ufficio accertatore
avanzata tanto in primo che in secondo grado in relazione al combinato disposto degli artt.58
comma e 31 comma 2 d.p.r.n.600/1973. Svolgendo infatti la società estera Allcomm attività
prevalente in Trieste, la notifica doveva essere fatta alla medesima società in tale luogo, con la

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effettuata dalla società contribuente e richiedeva, con avviso di accertamento, il pagamento

conseguenza ulteriore che l’ufficio competente a tale accertamento poteva essere solo quello di
Trieste e non l’Agenzia di Monfalcone.
6.1 Lamenta altresì che il giudice di appello era andato ultra petita, statuendo sui poteri
rappresentativi dello spedizioniere doganale e sulla questione relative alla ricorrenza della
continuazione tra le violazioni, non avendo mai devoluto tale questione alla cognizione del giudice
di appello.

n.633/1972 e 38 comma 1 del DPR n.43/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Ha errato
la CTR nel ritenere la responsabilità del rappresentante fiscale, non avendo il predetto svolto alcun
ruolo nelle importazioni; ragion per cui era stata erroneamente ritenuta la responsabilità del
medesimo sia a titolo principale che in via solidale, non avendo lo stesso né importato la merce né
essendo il soggetto per conto del quale la merce vera stata importata. Ed anche la giurisprudenza
della Corte di giustizia milita in questa direzione.
8. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.19 dpr
n.633/1972, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che, essendo pacifico l’avvenuto
pagamento dell’IVA all’importazione da parte della società Allcomm, aveva errato il giudice di
appello nell’escludere il diritto alla detrazione, rilevando a tale fine non la persona dell’importatore,
ma il bene importato. Anche a volere ritenere erronea la condotta della società Allcomm Ltd che
aveva utilizzato il proprio codice fiscale per le importazioni in esame, era evidente che tale società
non aveva fruito di alcun vantaggio fiscale per effetto delle importazioni, avendo pacificamente
utilizzato le merci importate nell’esercizio dell’impresa
9. Con il quarto motivo di ricorso il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art.18 comma 1 lett.b) della dir.CE 77/388, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Anche
con tale censura il contribuente evidenzia che il mancato riconoscimento del diritto a detrazione
dell’IVA pagata all’atto delle importazioni si pone in contrasto con la normativa comunitaria sopra
evocata, di immediata applicazione nell’ordinamento interno, una volta che la dichiarazione di
importazione indicava la partita IVA della società Allcomme che tale società aveva corrisposto
l’IVA all’importazione, non potendosi così ipotizzare alcun pregiudizio in danno dell’erario.
10. L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, ha dedotto l’erroneità delle doglianze tutte,
specificamente evidenziando che: a) la CTR, ritenendo la regolarità della notifica dell’avviso al
rappresentante fiscale della società estera, aveva implicitamente ritenuto corretto l’operato
dell’Ufficio, escludendo i profili di illegittimità esposti dallo Steccherini in relazione agli artt.58
n.600/1973 e 56 dpr n.633/1972; b) nessun vizio di ultrapetizione poteva ritenersi, avendo il giudice
di appello esaminato i profili sollevati nell’atto di appello; c)lo Steccherini, in qualità di
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7. Con il secondo motivo il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. l DPR

rappresentante fiscale ai fini IVA, pur non avendo la rappresentanza legale piena del soggetto non
residente, era solidalmente responsabile per gli atti relativi all’applicazione dell’IVA; d)era erroneo
il richiamo, operato dallo Steccherini, alla sentenza Cass.n.7106/2001 resa nell’ambito di un
procedimento penale ed inconferente rispetto al caso di specie con riguardo al diritto di detrarre
l’IVA all’importazione; e) nemmeno era possibile ritenere che potesse applicarsi, ai fini del diritto
alla detrazione, l’art.4 della sesta direttiva o la normativa britannica che aveva previsto il gruppo di

interno e non risultando la normativa comunitaria dotata del carattere di immediata precettività. In
base all’art.4 cit., infatti, i singoli Stati aveva legiferato secondo moduli diversi, tanto che il
legislatore italiano si era limitato ad introdurre una possibilità di compensazione delle posizioni
debitorie e creditorie delle singole società del gruppo con obbligo della controllante di versare la
differenza a saldo , dovendosi in ogni caso escludere che società controllate e società controllante
potessero nell’ordinamento interno qualificarsi tutte come unico soggetto con un unico codice
fiscale; f) le società titolari della licenza di importazione erano da considerare come proprietarie
della merce, non apparendo rilevante l’avviso di spedizione, come tale inidoneo a provare che al
momento dell’importazione la proprietà della merce fosse della società controllante. In questa
direzione militava, del resto, il fatto che le controllate erano le società titolari delle licenze di
importazione ed intestatarie delle bollette che, non essendo titolari di codice fiscale, erano
equiparate a consumatori finali senza possibilità di rivalsa. Ragion per cui la pretesa fiscale era
vieppiù legittima.
11. 11 primo motivo, che contiene diverse censure, non è meritevole di accoglimento.
11.1 Quanto al dedotto vizio di omessa pronunzia, lo stesso è privo di fondamento, se solo si
considera che la CTR ha correttamente ritenuto che, ai fini della pretesa fiscale, concernente la
ripresa a tassazione di IVA erroneamente detratta dalla società estera, rilevava la corretta notifica
dell’avviso al rappresentante fiscale della società, coincidente con il rappresentante fiscale della
stessa -Steccherini- secondo quanto ritenuto dalla stessa CTR ed ormai definitivamente acclarato,
non avendo il ricorrente impugnato tale statuizione.
11.2 Ne consegue che la CTR ha ritenuto irrilevante la previsione di cui all’art.31 d.p.r.n.600/1973,
ritenendola superata proprio dal contenuto precettivo di cui al comma 2 dell’art.17 dpr n.633/1972,
nella versione ratione temporis vigente, a cui tenore “Gli obblighi ed i diritti derivanti
dall’applicazione del presente decreto relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello
Stato da o nei confronti di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia, possono
essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, da un rappresentante residente nel territorio dello
Stato e nominato nelle forme di cui al terzo comma dell’articolo 53, il quale risponde in solido con
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società come unico soggetto d’imposta, non potendosi applicare la seconda nell’ordinamento

il rappresentato degli obblighi derivanti dall’applicazione del presente decreto.”
11.3 Quanto al vizio di ultrapetizione, è infondato il secondo profilo della censura contestata nel
primo motivo di ricorso, se è vero che la CTR si è limitata, senza ampliare lo spettro delle
questioni già posta innanzi al giudice di prime cure, a sviluppare un’argomentazione concernente il
ruolo svolto dallo spedizioniere doganale nella vicenda dell’importazione da parte della società
Allcomm proprio al fine di confutare la tesi, esposta dallo Steccherini, secondo la quale nessuna

11.4 Per quel che riguarda la questione relativa all’ultrapetizione rispetto al profilo della
continuazione delle violazioni, la stessa era stata riportata dalla CTR come inserita nell’atto di
appello dello Steccherini, il quale non si è doluto specificamente di tale affermazione —v.pag.3
1^peridoo sent.impugnata-.
12. Passando al secondo motivo, lo stesso è parimenti infondato.
12.1 Nel caso di specie, oggetto della pretesa fiscale è rappresentata dall’indebita(a dire
dell’Ufficio) detrazione dell’IVA sulle importazioni che la società Allcomm avrebbe effettuato
ancorchè dette importazioni avessero come destinatario finale società titolari delle licenze di
importazione controllate dal detto sodalizio. Ragion per cui, l’utilizzazione del codice fiscale della
società Allcommall’atto della dichiarazione di importazione avrebbe determinato un indebito
utilizzo dell’arti 9 d.pr n.633/1972.
12.2 Orbene, rispetto all’oggetto dell’accertamento, non pare potersi revocare in dubbio
l’operatività del parametro normativo di cui all’art.17 dpr n.633/1972.
12.3 Questa Corte ha infatti più volte avuto modo di precisare che il riferimento agli obblighi ed ai
diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, che
possono essere adempiuti o esercitati tramite il rappresentante, contenuto nel D.P.R. n. 633 del
1972, art. 17, comma 2, compendia tutte le operazioni imponibili ed alla totalità degli obblighi ad
esse connessi, senza limitazione alcuna -Cass.n.7662/2012;Cass.n.29585/2011; Cass. 11696/07-.
12.4 Nel solco di tale orientamento Cass.n.7291/2009, richiamando Cass.13898/08, ha ribadito che
a sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, il rappresentante in senso tecnico risponde in solido con
il rappresentato solo relativamente agli obblighi e diritti derivanti dall’applicazione dell’IVA
diventando punto di riferimento di tutte le operazioni effettuate dal mandante estero nel territorio
dello Stato ma solo per quella tipologia di imposte, per il resto essendo il primo il destinatario
diretto di ogni altra norma che non debba transitare dal secondo.
12.5 Tale indirizzo, ad onta di quanto diversamente opinato dalla parte ricorrente, non si pone
affatto in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia.
12.6 Ed invero, la sentenza resa in causa C-1/08 il 19 febbraio 2009 si è limitata ad affermare che
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responsabilità avrebbe avuto il predetto rispetto alle operazioni di importazione in contestazione.

”…la designazione di un rappresentante fiscale, come quello menzionato, in particolare, all’art. 2,
n. 3, della tredicesima direttiva e all’art. 17 del decreto relativo all’IVA, è, di per sé, irrilevante ai
fini della natura imponibile o meno delle prestazioni ricevute o effettuate dalla persona
rappresentata, giacché il meccanismo della rappresentanza ha unicamente lo scopo di consentire al
fisco di avere un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero.” La stessa,
Corte, in altri termini, ha riconosciuto che la nomina di un rappresentante non incide sulla natura

d.lgs.n.633/1972. Né ancora la sesta direttiva CEE sembra contenere disposizioni che ostano
all’applicazione del ricordato comma 2 dell’art.17 cit.
12.7 Corretta è stata, pertanto, la decisione resa sul punto dalla CTR.
13. Il terzo ed il quarto motivo, stante la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente
ed appaiono entrambi infondati.
13.1 In punto di fatto la CTR ha acclarato che la società Allcomm Ltd, all’atto dell’importazione
della merce in dogana, ha provveduto a pagare i diritti di confine e l’IVA all’importazione per
merci importate dalle società controllate autorizzate alle relative importazioni, utilizzando la partita
IVA della controllante. Tanto risulta sia dalla pag.5 della sentenza che dalla stesso ricorso dello
Steccherini il quale ha non solo precisato che le dichiarazioni di importazione indicavano come
destinatario le società controllate — anche se, a suo dire, per un mero errore documentale- ma anche
espressamente chiarito che le società controllate erano titolari delle licenze di importazione richieste
ed ottenute ai sensi dei reg.CE 519/1994 e 520/94.
13.2 Orbene, sulla base di tale quadro fattuale appare infondata, e dunque correttamente disattesa, la
pretesa della parte ricorrente a fruire del meccanismo della detrazione dell’IVA disciplinato
dall’art.19 d.p.r.n.633/1972.
13.3 Erra, infatti, parte ricorrente nel ritenere che il diritto alla detrazione IVA “discende, a
prescindere dalla persona dell’importatore, dall’impiego del bene importato- sia esso soggetto a
restrizioni quantitative o meno- per l’esercizio dell’impresa e dall’assoggettamento ad IVA delle
relative operazioni a valle estere.
13.4 Ed infatti, per stessa ammissione della parte ricorrente, erano solo le società controllate dalla
Allcomm a godere delle licenze di importazione rilasciata ai sensi dei Reg.CEE nn.519/94 e 520/94.
13.5 In particolare, l’art. 18 del Reg.ult. cit. dispone che ” Fatte salve le disposizioni particolari da
adottare secondo la procedura di cui all’articolo 23, le licenze d’importazione o d’esportazione,
nonché i relativi estratti, non possono essere oggetto di prestito né di cessione, a titolo oneroso o
gratuito, da parte del titolare al quale il documento è stato rilasciato nominativamente.”

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imponibile o meno delle prestazioni, nient’altro precisando rispetto alla portata dellart.17

13.6 E’ dunque evidente che la società controllante non aveva alcun valido titolo ad importare le
merci destinate alle società controllate titolari delle licenze di importazione. Da ciò consegue che il
pagamento dell’IVA all’importazione effettuato dalla società controllante che non aveva
legittimazione ad effettuarlo si risolve in un adempimento di un debito altrui, per il quale la società
controllante potrà eventualmente agire nei confronti delle proprie controllate, ma non può certo dare
luogo alla reclamata detrazione ai sensi dell’art.19 dpr.n.633/1972 che, per converso, presuppone il

13.7 Ed infatti, sulla base degli elementi di fatto ormai acclarati inconfutabilmente dalla CTR e non
messi in discussione dalla parte ricorrente- la quale non ha formulato alcun vizio alla stregua
dell’art.360 comma I n.5 c.p.c. prospettando, invece, in ricorso elementi fattuali in parte non
risultanti dalla decisione impugnata quale l’avviso di spedizione- la società controllante, nel
sostituirsi alle controllate, non aveva titolo a corrispondere i diritti di confine e l’IVA
all’importazione, non risultando la titolare della licenza di importazione.
13.8 Per tale motivo, non pare potersi riconoscere la detrazione dell’IVA corrisposta dalla società
Allcomm, se si considera che detto diritto presuppone, proprio alla stregua dell’art.18 comma 1
lett.b) della sesta direttiva CEE – riprodotto dall’art.178 lett.d) della dir.2006/112/CEE, “il possesso
di una documento che lo indichi quale destinatario o importatore”.
13.9 Orbene, una volta che è risultato pacifico che le licenze di importazione erano intestate alle
società controllate e non alla società controllante, deve ritenersi insussistente il diritto alla
detrazione.
13.10 D’altra parte, tale conclusione appare vieppiù plausibile nel caso di specie, se si considera che
nulla è dato sapere in ordine all’eventuale diritto a detrazione di cui avrebbero potuto godere le
società controllanti le quali, a dire dell’Ufficio, non essendo titolari di partita IVA, non avrebbero
potuto scontare l’IVA pagata all’atto dell’importazione, dovendosi comportare come meri
consumatori finali.
13.11 A tali conclusioni non sembrano ostare le sentenze della Corte di Giustizia richiamate dalla
parte ricorrente —sent.Ecotrade, Nidara Bv, Uszodaepito- rese in contesti diversi da quelli che
hanno caratterizzato l’odierno procedimento nel quale non è in discussione l’esistenza di un mero
errore di carattere formale, come puntualmente evidenziato dal giudice di appello, quanto
l’esistenza stessa del diritto alla detrazione da parte di soggetto diverso dal titolare della licenza di
importazione.
13.12 Parimenti irrilevante sembra il richiamo al principio di neutralità dell’IVA valendo le
medesime considerazioni appena esposte.

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regolare pagamento dell’imposta da parte di chi agisce in detrazione.

13.13 Devesi infatti ritenere che la volontaria utilizzazione di documentazione afferente ad
un’importazione compiuta dalla società controllata da parte della controllante in difformità alla
disciplina e degli obblighi nascenti dalla normativa comunitaria ed interna esclude la situazione di
buona fede in capo alla controllante, impedendole di avvalersi del principio della tutela del terzo di
buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia CE,
sentenza 6 luglio 2009, in cause riunite C-439/04 e C-440/04).(v.Cass.n.5912/2010).

controllante in favore della controllate, se è vero che “il diritto alla detrazione non sorge comunque
per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura,
richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’IVA corrisposta al
soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto
potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso
di inerenza.”-Cass. n. 735 del 19/01/2010,
13.15 Né le prospettazioni difensive esposte dallo Steccherini nel ricorso a proposito
dell’operatività del sistema dell’IVA di gruppo esistente in Inghilterra sulla base della disciplina
introdotta dall’art.4 della sesta direttiva CEE appare convincente
13.16 Ed invero, appare opportuno precisare che la tematica della c.d. IVA di gruppo —dopo che
nel 1967 la seconda direttiva IVA aveva per la prima volta introdotto tale istituto nel diritto
dell’Unione consentendo, al punto 2 dell’allegato A, agli Stati membri di considerare come un
unico soggetto passivo soggetti passivi distinti che soddisfacevano i presupposti ivi elencatitrovava la sua disciplina nell’art.4 paragrafo 4, secondo comma della sesta direttiva CEE- rilevante
ai fini della presente controversia- secondo il quale “ogni Stato membro ha la facoltà di
considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che siano
giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed
organizzativi”.
13.17 Detta disciplina è stata ribadita ed in parte integrata dall’art.11 della dir.2006/112 CEEsecondo cui “Previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto (in
seguito denominato “comitato IVA”), ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto
passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente
indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”che ha pure introdotto un par.2 inteso a reprimere i possibili effetti elusivi ed evasivi connessi al
regime di IVA di gruppo-.
13.18 Ma occorre chiarire che tale regime costituisce per i singoli Stati membri un’opzione
facoltativa, ben scolpita dall’utilizzazione delle espressioni può nell’art.4 della sesta direttiva cit. ed
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13.14 Difetterebbe, ancora, il requisito della inerenza rispetto al pagamento effettuato dalla

ha la facoltà nell’art.11 dir.112/2006/CEE, che può essere scelta da uno Stato membro secondo

modalità che vanno previamente messe a conoscenza del comitato IVA.
13.19 Ora, sulla portata di detta disciplina proprio questa Corte (ord.n. 5503/2007) ha sollecitato
alla Corte di giustizia una richiesta di chiarimenti relativa alla portata del ricordato art.4, alla quale
è seguita la sentenza resa dalla Corte di Giustizia del 22 maggio 2008 nel procedimento C – 162/07,
Ampliscientifìca.

CEE”…può trovare applicazione solamente in seguito a consultazione del comitato consultivo
IVA”, e dava atto che rispetto al decreto del 1979 [di cui si dirà appresso al puntoll)n.d.r. J , la
Repubblica italiana non aveva proceduto a tale consultazione. Nella stessa occasione il giudice di
Lussemburgo precisava che “… l’attuazione del regime previsto dall’art. 4, n. 4, secondo comma,
della sesta direttiva implica che la normativa nazionale adottata sul fondamento di tale disposizione
autorizzi i soggetti, segnatamente le società, caratterizzati da vincoli di carattere finanziario,
economico e organizzativo, a non essere più considerati quali soggetti passivi distinti ai fini
dell’IVA per essere considerati quale unico soggetto passivo.” Ma era sempre la Corte di Giustizia
a dimostrare che non esiste, all’interno del medesimo art.4 n.4 un obbligo degli Stati ad attuare il
regime in tema di IVA di gruppo, laddove chiariva che solo “…qualora uno Stato membro applichi
tale disposizione, il soggetto o i soggetti giuridicamente dipendenti ai sensi della disposizione
medesima non possono essere considerati soggetti passivi ai sensi dell’art. 4, n. 1, della sesta
direttiva”.
13.21 In definitiva, a giudizio della Corte di Giustizia, in tanto l’assimilazione ad un soggetto
passivo unico esclude che detti soggetti giuridicamente dipendenti continuino a presentare
separatamente dichiarazioni IVA e continuino ad essere individuati, tanto all’interno quanto
all’esterno del loro gruppo, quali soggetti passivi, in quanto i singoli Stati membri abbiano deciso di
seguire la procedura di attuazione in tema di IVA di gruppo prevista dall’art.4 cit.
13.22 Tale pronunzia ha dunque reso palese il fatto che la disciplina comunitaria prevista dall’art.4
cit. non è di immediata efficacia negli ordinamenti dei singoli Paesi membri dell’Unione.
13.23 Il che val quanto dire che ciascun ordinamento nazionale poteva adottare una disciplina
compatibile con l’art.4, seguendo le indicazioni contenute nella stessa disposizione. E proprio a
conferma di quanto testè affermato non vi è solo il fatto che, al luglio 2009, erano stati solo 15
Paesi ad introdurre una disciplina sull’IVA di gruppo secondo le indicazioni contemplate dall’art.4
della sesta direttiva CEE e dall’art.11 della dir.CE n.112/2006 che ne ha mutuato il contenuto, ma
anche il fatto che sono ben conosciute dalle istituzioni comunitarie” …le notevoli differenze fra i

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13.20 Con tale sentenza la Corte di Lussemburgo chiariva che l’art.4 n.4 della sesta direttiva

diversi regimi di IVA di gruppo attuati negli Stati membri”—v.Comunicazione del Parlamento
europeo del 2 luglio 2009 (COM 2009-325), p.1-.
13.24 Ciò non significa, all’evidenza, che la disciplina di attuazione prescelta da un singolo Stato
potesse trovare applicazione in un ordinamento giuridico diverso da quello in cui la normativa è
stata attuata.
13.25 Quando, infatti, la disciplina comunitaria lascia ai singoli Stati un certo margine di

generalmente la veste formale della direttiva comunitaria- la normativa di trasposizione di un
singolo Paese non è certo destinata ad operare al di fuori dei confini territoriali, ammettendo lo
stesso legislatore che i diversi (possibili) meccanismi di trasposizione potranno offrire meccanismi
protettivi non omogenei nei singoli ordinamenti nazionali, a patto che gli stessi siano coordinati e
conformi alle indicazioni minime fissate a livello comunitario.
13.26 In tali ipotesi, in altri termini, è lo stesso legislatore UE, in una prospettiva che è al contempo
rivolta a fissare delle regole “minime” di armonizzazione salvaguardando le discipline interne
spesso caratterizzate da notevole disarmonia, a trovare un punto di equilibrio fra regime
comunitario e regime interno teso a realizzare non un’uniformazione totale quanto un sistema
armonizzato che consente diversità di regimi in talune materie.
13.27 Questo è, dunque, il caso della c.d. IVA di Gruppo che in tanto consente ai singoli Stati di
adottare una disciplina in deroga alle regole precettive contemplate a livello comunitario in materia
di soggettività passiva ai fini IVA, in quanto siano rispettati i meccanismi voluti dallo stesso
legislatore, appunto imperniati sulla consultazione preliminare con il comitato consultivo
dell’imposta sul valore aggiunto.
13.28 Tali argomenti consentono, anzitutto, di evidenziare l’ erroneità della prospettiva esposta dalla
parte ricorrente ove sembra prospettare che la disciplina britannica in tema di Iva di gruppo potesse
operare per le operazioni di importazioni compiute dalla società capogruppo in Italia, risultando
dette operazioni soggette alla disciplina interna in materia di IVA.
13.29 D’altra parte, nessun rilievo poteva giocare l’art.73 dpr n.633/1972.
13.30 Ed invero, non potevano dirsi sussistenti nel caso di specie i presupposti per l’operatività del
peculiare meccanismo introdotto dall’art.73 dpr n.633/1973 – come modificato dal D.P.R. del 29
gennaio 1979, n. 24- a cui tenore “Il Ministro delle finanze può disporre con propri decreti,
stabilendo le relative modalità, che le dichiarazioni delle società controllate siano presentate
dall’ente o società controllante all’ufficio del proprio domicilio fiscale e che i versamenti di cui agli
articoli 27, 30 e 33 siano fatti all’ufficio stesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente
o società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze detraibili…”.
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apprezzamento in ordine alle modalità di attuazione di una disposizione UE -che assume

13.31 Ed infatti, l’ultimo comma del ricordato art.73 cit. attribuisce al Ministro delle finanze il
potere di emanare decreti, i quali stabiliscono le modalità con cui le dichiarazioni delle società
controllate possono essere presentate dall’ente o società controllante “per l’ammontare complessivo
dovuto dall’ente o società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze
detraibili”. Lo stesso comma stabilisce, nella sua ultima parte, che “Si considera controllata la
società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’anno solare

13.32 Orbene, il D.M. 13 dicembre 1979 (in GU n. 344 del 19 dicembre 1979)-come modificato dal
D.M. 18 dicembre 1989- emanato in attuazione della norma richiamata, ha riprodotto la definizione
di società controllata contenuta nella norma di legge ed ha disciplinato le modalità di versamento e
di dichiarazione delle società controllanti e controllate, consentendo alla società controllante di
agire, entro determinati limiti, in nome delle società controllate. Tale disciplina secondaria ha poi
precisato non solo (art.3) che dalla dichiarazione della società controllante, «sottoscritta anche dai
rappresentanti delle società controllate, devono risultare (…) il numero di partita IVA delle società
controllate nonché l’Ufficio [IVA] competente per ciascuna di esse, ma anche(art.5) che “l’ente o
società controllante che si avvale della facoltà prevista dal presente decreto deve presentare
all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto del proprio domicilio fiscale anche le dichiarazioni
annuali delle società controllate, le quali, sottoscritte anche dal rappresentante dell’ente o società
controllante, devono essere presentate, con i relativi allegati, a cura delle società controllate, anche
all’ufficio IVA competente nei confronti di ciascuna di esse. Nelle dichiarazioni delle società
controllate deve essere indicato, con il relativo numero di partita IVA, l’ente o società controllante.”
13.33 Ora è ben chiaro che tale disciplina interna, sia essa o meno stata resa in attuazione dell’art.4
della sesta direttiva CEE, non abilita in alcun modo, ad onta di quanto ritenuto dalla CTR, la
società controllante a beneficiare della detrazione dell’IVA all’importazione che la società
controllata avrebbe dovuto corrispondere in forza delle licenze all’importazione, non avendo
eliminato l’autonomia giuridica fra i soggetti facenti parte del gruppo ai fini degli obblighi
scaturenti dalla disciplina in tema di IVA.
13.34 Questa Corte (sent.n.6105/2009) ha del resto ritenuto che l’art.73 comma 3 d.p.r.633/1972
non può essere considerato un recepimento del modello comunitario —”…se si ritenesse la
disciplina dettata col d.m. del 13 dicembre 1979 una trasposizione dell’art. 4, comma 1, n. 4 della
sesta direttiva, tale normativa non potrebbe trovare applicazione. Si tratterebbe, infatti, di un
diritto (e cioè quello di espletare le formalità in materia di i.v.a. con i diritti conseguenti, e
soprattutto quello di detrazione, da parte dì un soggetto diverso dell’ordinario debitore d’imposta)
che non potrebbe fondarsi sulla norma della direttiva, giacché questa non è di immediata
10

precedente”.

tSENTF D,
AI SENS I

ZONE

7′. 7 C

N. 131F

‘)

AMAapplicazione, essendo condizionata al previo interpello del comitato consultivo i.v.a.. In tale
ipotesi, infatti, trattandosi dell’esercizio di un diritto, non si verificherebbe alcun aggravamento
degli obblighi fiscali del contribuente (quale potrebbe verificarsi nel caso di un contrasto tra
disciplina nazionale e norma di una direttiva incondizionata), e la disciplina nazionale non
potrebbe trovare applicazione”- . E nella medesima occasione, oltre a dare atto che l’Italia non ha

sperimentato il preventivo ricorso alla consultazione preventiva presso il comitato IVA- come
previsto dal già ricordato art.4 cit.- si è pure ritenuto che “il regime in contestazione non costituisce
una misura di trasposizione della direttiva, non dando vita ad una vicenda giuridica nella quale la
società controllata perde totalmente la sua qualità di soggetto passivo d’imposta.”

13.35 In questa direzione milita, per altro verso, la circolare 28 febbraio 1986, n. 16/360711, a cui
tenore la normativa interna (art.73 dpr n.633/1972) non si è uniformata al principio fondamentale
della direttiva secondo il quale “il riconoscimento giuridico e fiscale della unitarietà del soggetto
passivo in presenza di soggetti giuridicamente indipendenti, ma vincolati tra loro da rapporti
economici e organizzativi..”, essendo stato tale principio “…recepito in termini molto ristretti e con
contenuto di carattere procedurale, cioè mantenendo sempre l’autonomia giuridica e fiscale delle
società interessate […]”.
14. Il ricorso va pertanto rigettato.
15. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in
euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
CosMeciso il 9 aprile 2013 in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile.
Il ,vons.rel.
Il Presidente

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