Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19740 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2010, (ud. 21/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Consorzio LE.CO.LE., elett.te dom.to in Roma, Largo Somalia 67,

presso lo studio dell’avvocato Rita Gradara, dalla quale è

rappresentato e difeso, unitamente all’avvocato, Tesauro Francesco

per procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso cui domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/41/07 della Commissione tributaria

regionale di Napoli, emessa il 9 novembre 2007, depositata il 16

novembre 2007, R.G. 45/07;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 21 maggio 2010

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Francesco Tesauro per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del sesto

motivo e il rigetto degli altri motivi del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di verifica fiscale per il periodo 1998-2000, eseguita dal Comando del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Campania e di trasmissione del verbale di constatazione relativo alla presentazione infedele della dichiarazione IRAP e all’inadempimento al disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 nella contabilizzazione di costi e ricavi, ai fini della dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle Entrate di Napoli notificava al Consorzio LE.CO.LE. un avviso di accertamento per l’anno 1999. Con tale avviso contestava: a) l’omessa dichiarazione di componenti positive di reddito relative a corrispettivi da contratto pari a L. 6.953.171.976, b) la contabilizzazione di costi relativi ad esercizi precedenti ammontanti a L. 876.377.149 per la progettazione di piani di fattibilità approvati entro il 31 dicembre 1998 e di costi non inerenti (L. 38.540.000) o fiscalmente indeducibili (L. 18.844.915).

L’Agenzia delle Entrate accertava, in conseguenza di tali errate contabilizzazioni, il mancato versamento, per l’anno 1999, di 1.428.084,41 Euro a titolo di IRPEG e di 173.113,77 Euro a titolo di IRAP a cui dovevano aggiungersi 400.434,70 Euro per interessi, spese di notifica e sanzioni.

Il Consorzio proponeva opposizione all’atto di accertamento deducendo di svolgere attività di organizzazione ed esecuzione di corsi di formazione professionale finanziati da Enti pubblici, a seguito di partecipazione a bandi di concorso, e di avere certezza solo successivamente, e spesso nell’anno successivo, dell’ammontare dei ricavi effettivi derivanti dalla prestazione dei servizi. Riteneva pertanto di aver agito correttamente rispettando non solo il disposto del citato art. 75 ma anche della circolare ministeriale n. 36 del 22 settembre 1982 che stabiliva, per le opere e i servizi derivanti da contratti di appalto, somministrazione e simili, aventi durata pluriennale, se di durata inferiore ai dodici mesi, il trattamento come variazione delle rimanenze ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 59, comma 5.

Si costituiva il Comune e ribadiva la erroneità della dichiarazione dei ricavi in rapporto ai costi sostenuti nell’esercizio. Contestava inoltre la iscrizione dei costi nell’esercizio 1999 in quanto riferibili all’anno precedente.

La C.T.P. accoglieva il ricorso.

Tale decisione è stata riformata dalla C.T.R. che ha ritenuto non rispondente al dettato normativo l’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 proposta dal Consorzio e recepita dai giudici di primo grado. Secondo la C.T.R. il metodo adottato dal Consorzio di attribuire i corrispettivi in funzione dei costi sostenuti nell’esercizio contrasta in maniera evidente con i principi di certezza e determinabilità dell’atto contabile. Al contrario, a giudizio della C.T.R., l’art. 75 individua in maniera chiara e non equivocabile i criteri in base ai quali devono essere imputati i costi e i corrispettivi delle prestazioni in relazione al tipo di contratto, alla certezza di quando il fatto fiscale si è verificato e alla determinabilità dello stesso e ciò proprio al fine di evitare metodologie di imputazione scelte autonomamente dal dichiarante. In conformità a questi criteri – ha rilevato la CTR – la circolare ministeriale n. 36/9/1918 del 22 settembre 1982 distingue tra contratti a carattere periodico e a carattere continuativo. Per questi ultimi i corrispettivi costituiscono sempre ricavi in quanto dovuti alle scadenze pattuite, indipendentemente dal fatto che sia avvenuta o meno la liquidazione. Per i primi, invece, è previsto che i corrispettivi costituiscano ricavi solo se liquidati in via definitiva, concorrendo, altrimenti, alla determinazione delle rimanenze. Nella specie doveva essere seguito quest’ultimo criterio in considerazione della natura di contratti periodici, con esecuzione a cavallo di due o più periodi di imposta, dei contratti eseguiti dal Consorzio e in considerazione della mancanza di una liquidazione definitiva dei corrispettivi.

Ricorre per cassazione il Consorzio affidandosi a sei motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si deduce la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia concernente la sussistenza dei requisiti di certezza e oggettiva determinabilità dei ricavi, ripresi a tassazione (duplicata) nel 1999.

Il Consorzio ricorrente sottopone, ciononostante, alla Corte il seguente quesito di diritto: qualora nel processo tributario si controverta su un avviso di accertamento che preveda la tassazione, come ricavi di competenza di un dato anno (nella specie 1999), di componenti positive di reddito, che il contribuente asserisce essere di competenza di anni precedenti (nella specie 1998 o anni precedenti), ai quali sono stati imputati dal contribuente, per essersi, già in anni precedenti, verificati i presupposti di certezza e oggettiva determinabilità di cui all’art. 75, comma 1, cit. T.U.I.R. (applicabile ratione temporis), se il giudice tributario sia tenuto a motivare circa la sussistenza o insussistenza dei presupposti di fatto, dedotti dal contribuente, che – secondo il contribuente medesimo – hanno reso tassabili i ricavi di cui si tratta in anni anteriori al periodo di imposta ritenuto dall’Ufficio come il periodo in cui i ricavi sono divenuti certi e determinabili oggettivamente. La sentenza che difetta in assoluto di motivazione su tali fatti è nulla ex art. 360 c.p.c., n. 4 ovvero, in subordine, viziata da motivazione omessa o, in ulteriore subordine, insufficiente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è infondato in quanto, come si è sinteticamente esposto, in precedenza, la sentenza della C.T.R. motiva specificamente sul punto indicato dalla società ricorrente e parte da una ricostruzione dei fatti esauriente e non in contrasto con quella prospettata in questa sede dalla società ricorrente.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 1 cit. T.U.I.R., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in tema di certezza e oggettiva determinabilità dei ricavi.

Il Consorzio ricorrente richiede alla Corte l’applicazione del seguente principio di diritto: dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 1, si desume che le componenti positive del reddito debbono essere conteggiate come ricavi nell’esercizio nel quale è svolta l’attività di esecuzione contrattuale che costituisce la fonte del credito del contribuente relativo a un corrispettivo, di cui il contratto costituisca il titolo giuridico e fornisca i criteri di oggettiva determinabilità; e non già – come ritenuto dal giudice a quo – nell’anno successivo (nella specie, 1999) in cui il debitore liquidi e riconosca il suo debito in modo definitivo, pur se il debitore sia una pubblica amministrazione; in particolare, il corrispettivo per prestazioni di servizi, di cui sia certo l’an, ed oggettivamente determinabile il quantum nel periodo di esecuzione del contratto in relazione ai costi sostenuti, deve essere imputato come ricavo a tale periodo, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 75, comma 1, e non conteggiato tra le rimanenze, ex art. 59 D.P.R. n. 917/1986.

Il motivo è infondato. La tesi del Consorzio è in palese contrasto con il principio di certezza e determinabilità dell’evento fiscalmente rilevante. L’applicazione di tale principio, cui si riferisce l’art. 75, comma 1, cit. T.U.I.R., comporta infatti nella specie che, ai fini fiscali, è necessario che si compia definitivamente l’iter procedimentale che porta l’Amministrazione a riconoscere e liquidare al Consorzio il corrispettivo per l’attività di formazione svolta. Ed è con riferimento a tale atto di riconoscimento definitivo del credito del Consorzio, conseguente alla verifica finale da parte dell’Amministrazione finanziatrice, che deve individuarsi l’anno fiscale cui attribuire il corrispettivo conseguito. E’ invece irrilevante la determinabilità dei costi della prestazione già al momento della sua effettuazione così come la corrispondenza fra costi e ammontare del corrispettivo liquidabile dall’amministrazione. Nel caso in esame tali prestazioni sono state effettuate nell’anno precedente a quello della verifica finale da parte della p.a. Ciò comporta che il Consorzio non avrebbe dovuto dichiarare il credito come se fosse maturato nel 1998 perchè in quell’epoca l’amministrazione non aveva ancora compiuto il suo iter di verifica delle prestazioni e dei costi nè aveva, ancora, di conseguenza, riconosciuto il diritto del CFR Consorzio al pagamento delle prestazioni eseguite e proceduto alla loro liquidazione e al loro pagamento.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Difetto di corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Il Consorzio ricorrente propone alla Corte il seguente quesito di diritto: se vi sia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., nel caso in cui, avendo l’Amministrazione appellante richiesto al giudice di appello la riforma della sentenza tributaria di primo grado adducendo, come “motivo specifico dell’impugnazione” (D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53), la violazione del principio di competenza di cui all’art. 75, comma 1, cit. T.U.I.R., il giudice accolga il gravame in base all’art. 59, comma 5, cit. T.U.I.R., pur avendo l’appellante espressamente escluso che la sua pretesa, come manifestata nell’avviso di accertamento, tragga fondamento dalle norme in tema di rimanenze, di cui all’art. 59, comma 5, cit.

T.U.I.R..

Il motivo è infondato. Non vi è stata infatti violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato perchè l’Amministrazione finanziaria e la C.T.R. hanno, rispettivamente, richiesto di interpretare e interpretato la fattispecie in esame alla luce dell’art. 75 inteso come fonte di un generale principio di competenza. L’errore di valutazione della C.T.R. è consistito nel richiamare la circolare ministeriale del 22 settembre 1982 (36/9/1918) in tema di contratti a carattere periodico e continuativo dato che tale disciplina non a che vedere con il caso in esame in cui invece rileva il carattere amministrativo della valutazione della pubblica amministrazione che trova la sua ragione d’essere nel carattere di finanziamento che il corrispettivo riconosciuto al Consorzio riveste.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39, 42 e 67 e degli artt. 86 e 127 cit. T.U.I.R., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il Consorzio ricorrente propone alla Corte il seguente quesito di diritto: se sia legittimo, come nella specie ritenuto dal giudice a quo, un avviso di accertamento che rettifichi la dichiarazione dei redditi di un’impresa, riprendendo a tassazione, a causa di un ritenuto errore contabile, corrispettivi già contabilizzati in un dato anno (1998 o anni precedenti), come ricavi, ma da contabilizzare invece – secondo il giudice a quo – come rimanenze finali, ex art. 59, comma 5, cit. T.U.I.R., pur se, seguendo la metodologia delle rimanenze, ex art. 59, cit. T.U.I.R., non sarebbe emerso nell’anno successivo (1998), – ritenuto dall’Ufficio impositore anno di competenza dei ricavi ex art. 75, comma 1, cit. T.U.I.R., un risultato fiscale diverso da quello dichiarato, in quanto detti ricavi sarebbero stati controbilanciati dai costi correlativi, transitati in detto periodo come rimanenze iniziali, ex art. 59, comma 6, cit. T.U.I.R., applicabile ratione temporis; se un siffatto avviso di accertamento violi il divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto, sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e dall’art. 127, cit. T.U.I.R..

Il motivo è infondato alla luce della correzione della motivazione della C.T.R. testè enunciata. E’ fuorviante infatti, come si è detto, valutare il caso in esame nell’ottica della metodologia delle rimanenze. Nè può ritenersi che l’avviso di accertamento presupponga una interpretazione normativa in contrasto con il divieto di doppia imposizione o ponga in essere tale situazione di fatto nell’ipotesi in cui il contribuente ha proceduto a dichiarare in precedenza i corrispettivi da percepire per essere già determinabili i costi delle prestazioni fornite. Quanto al primo profilo quello che rileva ai fini fiscali è la conclusione del procedimento amministrativo di riconoscimento e liquidazione del credito spettante al prestatore dei servizi. Quanto al secondo profilo concretamente occorso nel caso in esame va ribadito che il Consorzio potrà far valere il diritto al rimborso di quanto corrisposto a titolo di imposta a seguito dell’erronea dichiarazione del credito nell’anno fiscale non di competenza.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce la illegittimità costituzionale, in relazione alL’art. 53 Cost., delle norme sostanziali e formali, in tema di potestà d’imposizione, rilevanti nel presente giudizio, ove interpretate nel senso che consentirebbero la tassazione di componenti reddituali non effettive, per effetto di errori di mera rappresentazione contabile.

Il Consorzio ricorrente richiede alla Corte di enunciare il seguente principio di diritto: non è legittimo, contrariamente a quanto nella specie ritenuto dal giudice a quo, un avviso di accertamento che rettifichi la dichiarazione dei redditi di impresa, riprendendo a tassazione, a causa di un ritenuto errore di rappresentazione contabile, corrispettivi già contabilizzati in anni precedenti (1998 e precedenti) come ricavi, ma da contabilizzare invece in tali anni – secondo il giudice a quo – come rimanenze finali, ex art. 59, comma 5, cit. T.U.I.R., pur se, seguendo la metodologia delle rimanenze, ex art. 59, cit. T.U.I.R., additata dal giudice a quo, non sarebbe emerso, nell’anno successivo (1999) un risultato effettivo, reddituale e fiscale, diverso da quello dichiarato, in quanto detti ricavi sarebbero stati controbilanciati nell’anno in contestazione dai costi correlativi, allocati in detto periodo come rimanenze iniziali, ex art. 59, comma 6, cit. T.U.I.R..

L’esame del presente motivo appare assorbito dalle considerazioni svolte per illustrare il giudizio di infondatezza dei precedenti motivi.

Con il sesto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e, in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto assoluto di motivazione in ordine alla deducibilità di costi relativi a progetti approvati entro il 31 dicembre 1998, ma svolti nel 1999.

Il Consorzio ricorrente chiede alla Corte di pronunciarsi sul seguente quesito di diritto: nel caso in cui il giudice tributario è chiamato a decidere la questione se i costi, sostenuti da un soggetto che organizza e esegue corsi di formazione professionale finanziati da enti pubblici, ed inerenti a progettazione di piani di fattibilità, relativi a progetti già approvati al 31 dicembre di un dato anno (nella specie, 1998), ma inerenti a corsi svolti nell’anno successivo (1999), debbano essere dedotti nell’anno di approvazione dei corsi (1998), o nell’anno successivo (1999), in cui sono stati svolti i corsi e conseguiti i relativi ricavi, ottemperando al principio di correlazione dei costi ai ricavi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, (T.U.I.R.), si chiede se sia nulla ex art. 360 c.p.c., n. 4, o per difetto assoluto di motivazione, o, in subordine, viziata per omessa, o, in ulteriore subordine, per insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza che si limiti affermare che la rettifica della dichiarazione è conforme al dato normativo, senza alcuna indicazione del motivo di asserita conformità e senza alcuna motivazione circa le deduzioni delle parti.

Anche quest’ultimo motivo di ricorso è infondato in quanto i costi portati erroneamente in deduzione nel 1999, relativi a spese di progettazione, erano stati sostenuti dal Consorzio e approvati dalla pubblica amministrazione nell’anno precedente. E’ quindi del tutto irrilevante che i corsi siano stati effettuati nel 1999 perchè, a mente dell’art. 75 cit. T.U.I.R., ciò che rileva, ai fini dell’individuazione dell’anno fiscale di competenza, è il momento della acquisita certezza circa l’esistenza e la determinabilità oggettiva dei costi.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Consorzio ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 9.200, di cui 9.000 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

 

 

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