Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1974 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.C., residente in (OMISSIS), rappresentato e difeso

per procura a margine del ricorso dall’Avvocato MASSIMO FRANCO,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Francesco

Scardaccione in Roma, piazza Paradiso n. 55;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/25/06 della Commissione tributaria

regionale della Puglia, Sezione distaccata di Foggia, depositata il

30 maggio 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Tommaso

Basile.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, letto il ricorso proposto C.C. per la cassazione della sentenza n. 66/25/06 del 30.5.2006 della Commissione tributaria regionale della Puglia Sezione distaccata di Foggia, che, previa riunione degli appelli, aveva confermato le pronunce di primo grado che avevano respinto i suoi ricorsi per l’annullamento degli avvisi che, a fini Iva, le contestava dal 1990 al 1994 l’omessa istituzione della contabilità obbligatoria e la mancata presentazione delle relative dichiarazioni annuali;

letto il controricorso dell’Agenzia delle Entrate;

vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., dal Consigliere delegato Dott. Mario Bertuzzi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, osservando che:

– “l’unico motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2195 cod. civ. e del D.P.R. n. 633 de 1972, art. 4, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione – Sezione Tributaria se il conseguimento di modesti redditi da lavoro svolti occasionalmente ed in assenza di organizzazione aziendale adeguata, siano soggetti o meno agli adempimenti stabiliti dal D.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto”. – “il motivo appare inammissibile in quanto il quesito pone una questione di diritto la cui stessa formulazione appare in contrasto con l’accertamento di fatto raggiunto dal giudice di merito, che nella sentenza impugnata ha affermato che la ricorrente non svolge un’attività occasionale bensì un’attività che ha i caratteri dell’imprenditorialità e come tale è disciplinata dall’art. 2082 cod. civ., con l’effetto che l’eventuale risposta affermativa al quesito non potrebbe comunque portare all’accoglimento del ricorso, stante il sopra riferito accertamento di fatto, non contestato nè censurabile in sede di legittimità”;

– “inammissibile è anche il denunziato vizio di motivazione, atteso che la relativa censura non appare formulata in modo non conforme alla prescrizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2, la quale, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20603 dell’1.10.2007 (poi ulteriormente confermato da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra le quali si segnalano le ordinanze n. 8897 del 2008 e n. 4309 del 2008), impone al ricorrente che denunzi il difetto di motivazione della decisione impugnata l’onere non solo di dedurre in modo specifico la relativa censura, indicando con precisione il fatto controverso su cui la motivazione sarebbe viziata, ma anche di formulare, al termine di essa, un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione de motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in modo da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua inammissibilità”;

rilevato che la relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti;

ritenuto che le argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo rispondenti sia a quanto risulta dall’esame degli atti di causa, che all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine agli adempimenti richiesti, a pena di inammissibilità, dalla disposizione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (ex multis: Cass. n. 8463 del 2009;

Cass. n. 7197 del 2009; Cass. S.U. n. 16528 del 2008) tenuto altresì conto che il ricorso non indica in modo specifico risultanze ed elementi di fatto che escluderebbero il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata e che sarebbero stati colpevolmente trascurati dal giudice di merito;

che, in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che si ravvisano giusti motivi, tenuto conto delle ragioni della decisione e dell’alternanza dell’esito del processo, di compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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