Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19738 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19738 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 25252-2008 proposto da:
SOCIETA’ AGRICOLA ALLEVAMENTO BERTOCCHI DI BERTOCCHI
GIUSEPPE & C. SAS (già allevamento Bertocchi Giuseppe
e Simonetti Franca sas) in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio
dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, rappresentato e
difeso dall’avvocato D’ARRIGO DOMENICO giusta delega
in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

Data pubblicazione: 28/08/2013

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 68/2007 della

04/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato GUIDA che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Guardia di Finanza di Desenzano, con processo verbale di constatazione del 19.1.1999,
contestava alla società Allevamento Bertocchi G. e Simonetti Franca sas di Bertocchi G. e C.” —
successivamente, breviter, Bertocchi- il carattere simulato del contratto di soccida intercorso con la
Agriveneta di Scolaro Amarilis sas, ritenendo che la prima società era quindi tenuta alla
fatturazione delle prestazioni permutative ai sensi degli artt.1 l e 13 del DPR n.633/1972.
2. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società Bertocchi due

3. L’impugnazione proposta dalla società contribuente innanzi alla CTP di Brescia veniva rigettata.
4. La società contribuente proponeva quindi ricorso in appello innanzi alla CTR della Lombardiasez.Brescia- che, con sentenza depositata il 4 settembre 2007, confermava la decisione di primo
grado.
5. Secondo il giudice di appello, per quel che qui ancora rileva, il contratto di soccida stipulato dalla
società contribuente con la Agriveneta sas, prevedendo il conferimento degli alimenti da parte di
quest’ultima all’allevatore del bestiame doveva ritenersi simulato, risultando tale negozio in
contrasto con l’ art.29 dpr n.917/1986, a cui tenore si consideravano agricole le attivitàore di
allevamento di bestiame mediante mangimi ottenibili per un quarto dal terreno coltivato, non
potendo il soccidante fornire il mangime al soccidario. Infatti, nel contratto di soccida al
mantenimento dell’allevamento doveva provvedere necessariamente il soccidario senza che il
soccidante fornisca alcun mangime. Ragion per cui corretta era stato il comportamento
dell’amministrazione che aveva fondato la pretesa fiscale sul carattere pennutativo delle operazioni
compiute dalla società contribuente alla stregua degli artt.11 e 13 del dpr n.633/1972.
6. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha
resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
7. Con il primo motivo la società contribuente ha eccepito la violazione e falsa applicazione
dell’art.2909 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
Assume che sulla base del medesimo processo verbale di constatazione del 19 gennaio 1999
l’amministrazione aveva emesso distinti avvisi di accertamento relativi alla ripresa a tassazione di
imposte dirette e di IVA nei confronti della medesima società, precisando che l’avviso di rettifica
relativo all’anno 1996 — concernente il tributo IVA- come anche gli avvisi relativi agli anni
1995,1996,1997 e 1998, emessi con riguardo alle imposte dirette- erano stati annullati sempre dalla
CTP di Brescia con decisioni confermate in grado di appello dalla CTR della Lombardia —
sez.Brescia- in data 4 aprile 2005. Aggiunge che l’intervenuto passaggio in giudicato di due

avvisi di rettifica relativi all’IVA dovute per gli anni 1997 e 1998.

sentenze, che avevano escluso il carattere simulato del contratto di soccida imponeva di estendere
gli effetti dei due giudicati.
8. Con il secondo motivo la società ha dedotto, ai sensi dell’art.360 comma I n.3 c.p.c., la
violazione dell’art.2170 , in relazione all’art.34 dpr n.633/1972 ed agli artt.2135-2171,2178,2181
c.c. Lamenta che erroneamente il giudice di appello aveva considerato simulato il contratto di
soccida sull’unico presupposto che il soccidante forniva il mangime al soccidario, posto che la

dell’IVA, non potendosi escludere che le prestazioni offerte dal soccidante, inquadrandosi
comunque nell’ambito delle attività di allevamento del bestiame, rientrasse fra ,tty le attività
agricole per la quale vigeva il regime di non assoggettamento ad IVA.
8.1 D’altra parte, il ricordato art.29 nemmeno poteva dirsi integrare una deroga alla definizione di
impresa agricola fatta propria dall’art.2135 c.c.
9. Con il terzo motivo la società contribuente ha dedotto insufficiente motivazione della sentenza
impugnata, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., non risultando la sola circostanza relativa al
Ahl•conferimento del mangime da parte del soccidante on poteva dirsgsufficiente per ritenere il
carattere simulato del contratto.
10. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’infondatezza delle censure esposte dalla società
contribuente rilevando, quanto alla prima, che il giudicato relativo ad altri periodi di imposta non
elideva la possibilità di modificare la motivazione della sentenza alla stregua della giurisprudenza
formatasi in tema di abuso del diritto. Ragion per cui l’operazione posta in essere dalle due società
non poteva validamente opporsi all’amministrazione finanziaria in assenza di valide ragioni
economiche all’origine dell’anomalo utilizzo della strumento contrattuale, anche prescindendo dal
carattere simulato dell’operazione.
10.1 Parimenti erroneo doveva ritenersi il secondo motivo, posto che il conferimento del mangime
da parte del soccidante, unitamente alle ulteriori anomalie riscontrate in sede di verifica,
rappresentava un’incongruenza del rapporto di soccida idonea a collocare il contratto al di fuori del
campo dell’attività agricola.
1111 primo motivo è infondato.
11.1 Ed invero, l’eccezione di giudicato esterno o meglio di estensione della efficacia del giudicato
reso in diverso processo relativo a diverso anno di imposta non merita accoglimento per il rilievo,
decisivo, che entrambe le decisioni della CTR richiamate dalla società contribuente e ritualmente
prodotte nel presente grado di giudizio, pubblicate in data 4.4.2005, sono passate in giudicate in
epoca anteriore alla decisione della sentenza di appello resa in data 4.9.2007 senza che la parte

previsione di cui all’art.29 d.pr.n.917/86, evocata dalla CTR, non aveva alcun rilievo ai fini

abbia

proposto

la

relativa

eccezione

nel

giudizio

di

secondo

grado-

Cass.n.30780/201 I ;Cass.n.26041/2010.
12. Il secondo motivo è fondato.
12.1 Occorre premettere che il contratto di soccida, pur nelle diverse forme codicisticamente
disciplinate- soccida semplice, soccida parziaria, soccida con conferimento di pascolo- , rientra
nell’ambito dei contratti associativi con comunione di scopo ed ha come precipua ragione pratica

ex art. 2135 c.c.) volta all’allevamento e sfruttamento degli animali, al fine di

“ripartire

l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti ed utili che ne derivano” (artt. 2170 comma 1, 2178
e 2181 c.c.)-cfr.Cass..n.6555/1986-.
12.2 Orbene, la previsione, all’int o di un contratto di soccida semplice quale pare essere quello
concluso fra la società contribu te e la A veneta, di una pattuizione che garantiva al soccidario il
mangime corrisposto integralmen , • al : e ccidante non sembra introdurre nel contratto un elemento
capace di inficiare la funzione economico-sociale del tipo negoziale, normativamente correlata alla
ripartizione fra gli associati dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne
derivano(art.2170 comma 1 c.c.) semmai contribuendo a rappresentare la reale funzione pratica che
le parti hanno inteso perseguire attraverso l’utilizzo dello schema contrattuale della soccida,
modulato in relazione ai rapporti economici che le stesse parti intendevano regolare secondo i
rispettivi interessi attraverso la previsione che il magime fosse conferito dal soccidante.
12.3 La pattuizione di cui si è detto, in altri termini, non sembra alterare la ragione pratica del
contratto né si pone in attrito con la norma imperativa di cui all’art. 2178 comma 2 c.c., a cui tenore
è nullo il patto per il quale il soccidario deve sopportare nella perdita una parte maggiore di quella
spettantegli nel guadagno.
12.4 D’altra parte, in linea con le considerazioni appena espresse sembra essere la stessa possibilità,
contemplata all’interno dello schema tipico del contratto di soccida con conferimento del pascolo,
che il soccidante conferisca addirittura il terreno per il pascolo (art.2186 1^ comma c.c.), lasciando
così inferire che la pattuizione concernente il conferimento del mangime da parte del soccidante
non può certo risultare idonea a stravolgere lo schema contrattuale della soccida.
12.5 Sul punto, non sembra superfluo precisare che proprio la prestazione di mangime dal
soccidante al soccidario era già stata considerata come elemento non inficiante la natura del
contratto di soccida, tanto da essere qualificato ai fini fiscali come conferimento del
compartecipante al contratto associativo non assimilabile alla cessione di beni imponibili ai sensi
dell’art.2 comma 3 lett.b) DPR n.633/1972-cfr. Risoluzione del 07/12/1973 n. 504929 – Min.
Finanze – Tasse e Imposte Indirette sugli Affari-.

quella di realizzare un’attività economica in comune (inquadrabile nell’esercizio di attività agricola

12.6 Appare dunque evidente l’erroneità della decisione impugnata, la quale ha desunto il carattere
simulato del contratto di soccida dal contrasto con la normativa prevista dall’art.29 comma 2 lett.b)
dpr n.917/1986- TUIR- nella versione ratione temporis vigente, tenuto conto dell’art.3 c.5 L. 23
dicembre 1996, n. 662 -.
12.7 Ora, tale disposizione, concernente la determinazione del reddito agrario, non pare costituire
elemento idoneo a dimostrare,’ il carattere simulato del contratto di soccida. D’altra parte, in
questa direzione milita la circostanza che ai fini IVA l’art.34 dpr n.633/1972- che mutua la sua

produttore agricolo “colui che svolge la sua attività nell’ambito di un’azienda la quale esercita
l’attività di produzione enumerate nell’allegato A(II n.1) tra cui rientrano quelle di allevamento di
animali. Se a ciò si aggiunge che l’art.2135 c.c. include nel genus di imprenditore agricolo chi
esercita l’attività di allevamento di animali, appare vieppiù corretto ritenere irrilevanti ai fini IVA le
attività poste in essere dal soccidario.
12.8 Né la prospettiva, ventilata dall’Agenzia per la prima volta in sede di controricorso, in ordine
alla sussumibilità della vicenda nell’ambito di un comportamento elusivo rilevante come abuso del
diritto coglie nel segno.
12.9 Ed invero, è noto che integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione
economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e
giuridico, ponga quale elemento predominante ed assorbente della transazione lo scopo di ottenere
vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle
operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta.
(Cass. n. 1465/09; v. anche Cass. n. 8772 e 10257/08; Cass.n.20029/2010-.
12.10 Analogamente, si è ritenuto che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce
in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi
fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di
strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di
ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse alla mera aspettativa di quei
benefici. Ne consegue che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile
una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in
una redditività immediata dell’operazione medesima ma possono rispondere ad esigenze di natura
organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda-cfr.Cass.

n.

1372 del 21/01/2011;cfr.altresì, Cass. n. 10807 del 28/06/2012-.
12.11 E’ poi stato chiarito dalla giurisprudenza testè ricordata che la prova sia del disegno elusivo
sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati

origine dall’art.25 della sesta direttiva(ora sostituito dall’art.295 dir.2006/112/CEE)- qualifica come

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come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato
fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare
la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino
operazioni in quel modo strutturate.
12.12 Sulla base di tali considerazioni, incombe dunque sull’amministrazione l’onere di dimostrare
che l’operazione negoziale che si sia discostata dalla trama negoziale tipica fosse essenzialmente

economica.
12.13 Orbene, lo scostamento dal tracciato tipico del contratto di soccida nei termini riconosciuti
dal giudice di appello non risulta avere come conseguenza naturale l’individuazione dell’impiego
abusivo di una forma giuridica finalizzata ad un’operazione priva di reale contenuto economico
diverso dal risparmio di imposta né l’amministrazione ha fornito elementi idonei a ritenere esistente
tale finalità.
12.14 Il secondo motivo va pertanto accolto, con assorbimento del terzo motivo.
13. La sentenza impugnata va per l’effetto cassata e non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto
la causa può essere decisa nel merito ex art.384 c.p.c. con raccoglimento del ricorso della società
contribuente.
15. Ricorono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito mentre quelle del giudizio
di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia.
P.Q.M.
La Corte
Accoglie il secondo motivo di ricorso dichiarando inammissibile il primo motivo ed assorbito il
terzo.
Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso della società contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito condannando l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.200,00 per compensi, oltre curo 200,00 per
esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso nella camera di consiglio della v sezione civile il giorno 9 aprile 2013.

rivolta al conseguimento di un vantaggio fiscale e non avesse altra giustificazione di natura

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