Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19737 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. III, 27/09/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INTESA SANPAOLO SPA (OMISSIS), società derivante dall’operazione

di fusione per incorporazione del Sanpaolo IMI SPA in banca Intesa

SPA, in persona dell’avvocato Roberto Rusciano elettivamente

domiciliato in Roma, LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio

MARTELLA DARIO, rappresentato e difeso SPARANO ERNESTO giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE PADOVA, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CIVITAVECCHIA 5, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA CIANNAVEI, rappresentato e difeso dagli avvocati

MONTOBBIO ALESSANDRA, MIZZONI VINCENZO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 464/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione 3^ Civile, emessa l’11/02/2008, depositata il 25/03/2008;

R.G.N. 284/2004.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato MARTELLA DARIO;

udito l’Avvocato MIZZONI VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il comune di Padova convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Treviso il Banco di Napoli s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 1.164.226.058 in qualità garante di un’obbligazione non adempiuta dalla società garantita.

Il convenuto eccepì la decadenza dell’ente locale dalla garanzia ex art. 1957 c.c..

Il giudice di primo grado accolse la domanda. La corte di appello di Venezia, qualificata la convenzione di garanzia oggetto della controversia come Garantievertrag e non come fideiussione, rigettò il gravame della banca, che oggi impugna la sentenza con ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi.

Resiste con controricorso, corredato da memoria.

illustrativa, il comune di Padova.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso (prima ancora che infondato nel merito) alla luce del recente dictum delle sezioni unite di questa corte che, con la sentenza 3947 del 2010, hanno definitivamente chiarito come l’inserimento, in un contratto di fideiussione, di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” valga di per sè a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale) è inammissibile in rito, per patente inidoneità dei quesiti di diritto formulati a conclusione dell’esposizione del primo motivo di doglianza (folio 13 e 14) e della “sintesi” relativa al secondo motivo (folio 19 e 20, erroneamente strutturata sotto forma di quesiti per di più multipli), inidoneità conseguente all’altrettanto patente violazione dei principi più volte enunciati da questa corte in subiecta materia. I quesiti di diritto sono difatti inammissibili per assoluta carenza dei requisiti essenziali richiesti da questa corte, con giurisprudenza ormai consolidata, quanto a forma e contenuto dei medesimi così come formulati a chiusura dell’esposizione delle doglianze sopra riportate. Questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata o frazionata) della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che: il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Sulla sintesi necessaria per l’esame del denunciato vizio di motivazione da parte della Corte, ancora le sezioni unite di questa corte hanno specificato (Cass. ss.uu. 20603/0) l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, (la Corte ha ritenuto che il motivo non fosse stato correttamente formulato in quanto, esattamente come nel caso che oggi occupa il collegio, la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 15200, di cui Euro 200 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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