Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19735 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – rel. Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23575/2007 proposto da:

B.R. in qualità di legale rappresentante della Soc.

BAR.CO.SAR S.r.l., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA

MARGHERITA 290, presso lo studio dell’avvocato MANCINI GUIDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCIALIS MASSIMILIANO, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAGLIARI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA ARENULA 21, presso lo studio dell’avvocato

LESTI QUINZIO BELARDINI ISABELLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato FARCI GENZIANA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

SERVIZIO TRIBUTI COMUNE DI CAGLIARI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2007 della COMM.TRIB.REG. di CAGLIARI,

depositata il 12/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2010 dal Presidente e Relatore MARCO PIVETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIANCASPRO NICOLA per delega Avv.

MARCIALIS, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO WLADIMIRO, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Cagliari notificò il 6 settembre 2005 alla BAR.CO.SAR s.r.l. tre avvisi di accertamento, prot. Nn. (OMISSIS) per il pagamento della complessiva somma di Euro 22.843,44 per omessa dichiarazione ICI nel 1999 relativamente a 19 immobili; Euro 19.891,77 per insufficiente versamento nel 2000; Euro 1.652,65 per omessa rappresentazione nei termini della prescritta comunicazione in relazione a 16 dei suddetti immobili; Euro 5,60 per spese di notifica.

La società intimata propose opposizione con atto depositato il 5 dicembre 2005, deducendo – come si legge nella sentenza di secondo grado – che i fabbricati in questione l’11.12.1998 erano stati dichiarati all’ufficio del catasto di Cagliari “come fabbricati in corso di costruzione” e pertanto non ancora assoggettati ad ICI. L’imposta, inoltre avrebbe dovuto essere applicata solo fino a alla data della vendita. L’avviso di accertamento conteneva poi altri errori ed in particolare, relativamente all’anno 1999: “per il fabbricato sub 2 era stato indicato un possesso di mesi 1 anzichè di mesi 8; per il fabbricato sub 4 la rendita catastale era stata calcolata applicando le percentuali di rivalutazione previste per i terreni agricoli; per il fabbricato sub 11 la rendita di L. 3.780.000 era stata convertita in Euro 1.951,21 anzichè in Euro 1952,21; per il fabbricato sub 18 era stata indicata una rendita di Euro 1952,21 anzichè di Euro 2060.66. Per lo stesso anno 1999, inoltre, era stata scomputata solo l’ICI versata in acconto (Euro 319,17) ma non quella versata (come da ricevuta allegata) a saldo pari a Euro 389,92”.

Relativamente all’anno 2000: per i fabbricati sub 4 e sub 11 erano stati commessi gli stessi errori evidenziati per l’anno 1999.

Dunque, l’ICI dovuta era soltanto quella prevista per i mesi di possesso dei tre fabbricati venduti nel 1999 e di quelli (6) venduti nel 2000 nonchè quella relativa all’area già posseduta dedotta la parte di essa occupata dai fabbricati nel frattempo ultimati e venduti. Conseguentemente, erano illegittimi anche le sanzioni e interessi applicati.

Con riferimento al terzo avviso impugnato concernente l’applicazione della sanzione di Euro 1.652,64 per omessa comunicazione di variazione nel 2000 per 16 fabbricati, la stessa non poteva riguardare i fabbricati non ancora ultimati nello stesso anno e come tali inesistenti ai fini dell’imposta. A tali fini dovevano rilevare solo i sei fabbricati venduti.

Il Comune di Cagliari si costituiva in giudizio e, quanto agli errori denunziati con riferimento all’anno 1999, riconosceva quelli riferiti al fabbricato sub 2 (mesi di possesso 8 e non 1), al fabbricato sub 4 (codificato per errore come terreno agricolo), al fabbricato sub 11 (di rendita di Euro 1952,21 e non di Euro 1951,21) e al fabbricato sub 18 (di rendita Euro 2060,66 e non di Euro 1952,21). Riconosceva essere stato effettuato anche il secondo versamento di Euro 389,92.

Per l’anno 2000 riconosceva anche che il possesso del fabbricato sub 6 era stato erroneamente calcolato in 6 mesi anzichè in 5 come per il fabbricato sub 5. Stante ciò, dal raffronto tra gli errori a favore e quelli a sfavore della contribuente sarebbe dovuta conseguire una rettifica in peius degli avvisi che, però, non sarebbe più possibile perchè ormai decaduti i termini di accertamento per anni (OMISSIS). La pretesa tributaria, conseguentemente doveva rimanere invariata rispetto a quella contestata.

La Commissione tributaria provinciale, con sentenza depositata il 25.7.2006, accoglieva “il ricorso per quanto atteneva alla richiesta di tassazione dei fabbricati in base al periodo di possesso” rigettandolo per il resto e compensando le spese.

Con atto spedito il 21.11.2006, la BAR.CO.SAR s.r.l. propose appello deducendo che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto dovuta l’imposta in questione fin dall’11.12.1998 anzichè dalla data di ultimazione dei fabbricati di riferimento. “Fin dall’11.12.1998 sarebbe stata sì predisposta, con procedura DOCFA, l’apposita dichiarazione, ma con la precisazione che i fabbricati erano ancora in corso di costruzione. Pertanto, l’imposta era dovuta – come per legge, dalla loro ultimazione o, se precedente, dalla loro utilizzazione e fino alla alienazione. La causale “Ultimazione lavori” risultante dalla dichiarazione DOCFA dell’11.12.1998 sarebbe stata come tale indicata per mero errore, come evincibile da apposita dichiarazione, in atti, rilasciata dal direttore dei lavori ing. C.”. L’appellante ribadiva poi quanto già prospettato nel ricorso introduttivo.

Costituendosi in giudizio, il Comune ha chiesto che fosse confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto il ricorso in opposizione limitatamente alla correzione del periodo di possesso, con conseguente rettifica degli avvisi onde depurarli dai soli errori a sfavore del contribuente e quindi: per l’anno 1999 correzione con inserimento del versamento Euro 389,92 (non contabilizzato) La somma dovuta risultava quindi pari a Euro 22.271,66 anzichè Euro 22.843,44, Per l’anno 2000: l’immobile sub 6) era stato erroneamente calcolato per 6 mesi anzichè per 5 mesi.

La somma dovuta risultava quindi pari a Euro 19.783,17 anzichè Euro 19.891,77. Per il resto l’appello doveva essere respinto: la tesi della società, peraltro introdotta solo in appello, secondo cui l’indicazione di avvenuta ultimazione dei lavori contenuta nella denuncia DOCFA del novembre 1998 era dovuta ad un errore materiale dell’operatore, oltre nuova, era inattendibile stante la notevole diversità delle procedure previste per la presentazione delle dichiarazioni riguardanti gli immobili ancora in corso di costruzione e quelli già ultimati, avuto riguardo soprattutto, quanto a questi ultimi, agli elementi previsti per l’attribuzione della categoria e della classe ed al fatto che la relativa dichiarazione, oltre che specificatamente dettagliata, va firmata oltre che dal tecnico incaricato della redazione anche dal committente ed apposto in essa il timbro di quest’ultimo.

Con sentenza depositata il 12 marzo 2007, la Commissione tributaria regionale ha osservato che la dichiarazione di ultimazione dei lavori all’11 dicembre 1998 costituiva una prova di tale data di ultimazione che la contribuente non era riuscita a vincere con la deduzione, peraltro, tardiva, che si trattava di un mero errore materiale.

Ciò, oltre che per la tardività delle prospettazione, anche in ragione della normativa disciplinante la materia e, in particolare, al D.M. n. 701 del 1994 con cui è stata introdotta per l’accatastamento degli immobili la procedura c.d. DOCFA il cui art. 1, commi 1, 2, 3, e 4, così recita: “Le dichiarazioni per l’accertamento delle unità immobiliari urbane di nuova costruzione … e le dichiarazioni di variazione dello stato dei beni … sono sottoscritte da uno dei soggetti che ha la titolarità di diritti reali sui beni denunciati e dal tecnico redattore degli atti grafici di cui sia prevista l’allegazione e contengono dati e notizie tali da consentire l’iscrizione in catasto con attribuzione di rendita catastale, senza visita di sopralluogo. Il dichiarante propone anche l’attribuzione della categoria, classe e relativa rendita catastale, per le unità a destinazione ordinaria; l’attribuzione della categoria e della rendita, per le unità a destinazione speciale o particolare …. Tale rendita rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni…

alla determinazione della rendita catastale definitiva. E’ facoltà dell’amministrazione finanziaria di verificare, ai sensi del D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, art. 4, comma 21,…. le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni… ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto”. “Gli atti di aggiornamento geometrico … e le denunce di variazione … sono redatti conformemente ai modelli e alle procedure vigenti o in uso alla data di presentazione degli atti stessi. Le denunce di variazione sono redatte in conformità al modello 26 A, riportato nell’allegato B”.

Tale essendo stata la procedura di accatastamento in esame e in assenza di elementi atti a suffragare la tesi di parte, sembra, invero, arduo ritenere che l’operatore all’uopo incaricato (che doveva essere ed è stato un tecnico a ciò abilitato) possa aver erroneamente indicato che trattavasi di fabbricati ultimati anzichè di fabbricati non ancora ultimati. Soprattutto tenuto conto che per l’attribuzione a tali beni della categoria (che individua nell’ambito di ogni zona censuaria, gli immobili con la stessa destinazione d’uso) e della classe (che individua il diverso livello di capacità di reddito nell’ambito di una categoria e rappresenta il grado di pregio e di qualità dell’immobile) di appartenenza, quali dalla stessa parte indicate, non poteva non presuppone l’esatta conoscenza da parte dello stesso di tutti i dati all’uopo previsti e da cui conseguentemente, non poteva non derivare la consapevolezza che si versava appunto in una fattispecie di ultimazione di fabbricati e non di non ultimazione degli stessi. In ogni caso, (…) appare ugualmente singolare che, a fronte della pretesa presentazione della dichiarazione di accatastamento dei fabbricati quando questi non erano stati ancora ultimati, non sia corrisposta, non appena ultimati, una altrettanto sollecita presentazione della dichiarazione di variazione.

La Commissione riteneva quindi che i fabbricati in questione fossero stati accatastati a tutti gli effetti a far data dall’11.12.1998 e che pertanto era infondata la censura riguardante la non ultimazione delle costruzioni. L’appello doveva quindi essere respinto, fatte salve le precisazioni che la sentenza specificava analiticamente in riferimento agli errori di calcolo e alle altre deduzioni correttive formulate dall’appellante.

Conclusivamente, mentre l’avviso di accertamento riferito all’anno (OMISSIS) doveva intendersi rettificato nel senso che dall’imposta accertata doveva essere decurtato anche l’importo del secondo versamento di Euro 389,92, quello riferito all’anno 2000 doveva intendersi rettificato nel senso che, come già disposto dai primi giudici, il periodo di possesso riguardante il fabbricato sub 6 doveva essere considerato di mesi 5 e non di mesi 6 e, l’avviso n. OOE/7769, nel senso che la sanzione con lo stesso irrogata deve intendersi determinata in Euro 619,74 e non in Euro 1652,64.

L’appello doveva essere quindi accolto soltanto entro tali limiti, mentre per il resto andava respinto. Anche l’eccepito difetto di motivazione, infatti, oltre che manifestamente infondato non era stato supportato da motivi specifici.

Contro tale pronunzia, la BAR.CO.SAR s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione.

Il Comune di Cagliari ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 3 Cost., del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 2, 5, 10 e 14. Violazione delle norme sulle prove documentali, Travisamento dei fatti, carenza di attività istruttoria, carenza di motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Il conclusivo quesito di diritto è così formulato:

1) se il termine di cui al D.M. n. 701 del 1994, art. 1, comma 3, debba considerarsi ordinatorio;

2) se dal carattere ordinatorio del termine di cui al D.M. n. 701 del 1994, art. 1, comma 3, discenda la non definitività della dichiarazione DOCFA decorsi 12 mesi dalla sua presentazione;

3) se dalla non definitività della dichiarazione DOCFA decori 12 mesi dalla presentazione discenda la possibilità per il contribuente di provare l’erroneità della dichiarazione ovvero di rettificare la stessa;

4) se può ritenersi provato, per effetto della dichiarazione del direttore dei lavori, e del difetto di istruttoria da parte dell’Ufficio tributi, che i fabbricati di Barcosar sono stati ultimati alle date di cui al punto 9) dei motivi di appello, ritrascritti al punto 8) della premessa in fatto di questo ricorso;

5) se per effetto dell’accertamento delle diverse date di ultimazione dei lavori, debbano essere annullati e/o rettificati: l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) ICI 2000; l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) ICI 1999; l’avv. contest. n. OOE/7.769 ICI 2000;

6) se possa essere o meno considerato tardiva l’argomentazione dell’errore materiale nell’accatastamento, posto che anche in primo grado il contribuente aveva parlato di errore materiale;

7) se, in via subordinata, non accogliendosi le motivazioni dedotte col presente ricorso, la complessità della materia e l’ingiustizia della situazione per il ricorrente non legittimino l’annullamento delle sanzioni.

In definitiva la ricorrente contesta la debenza dell’ICI in relazione ad un periodo nel quale, a suo dire, le costruzioni non erano state ancora ultimate. La diversa indicazione scritta nella dichiarazione DOCFA era stata frutto di errore materiale e farlo valere non poteva essere impedito dalla scadenza del termine annuale di cui al D.M. richiamato.

Il motivo è tutto basato sul presupposto che la sentenza impugnata abbia ritenuto inammissibile per tardività la rettifica dell’erronea indicazione di ultimazione dei lavori e la censura è essenzialmente basata sulla contestazione della definitività di tale dichiarazione e dell’impossibilità di rettificarla trascorsi 12 mesi.

La ratio decidendi della sentenza impugnata è peraltro diversa e ciò rende inammissibile il motivo, tale dovendosi considerare la censura che non investe le ragioni della decisione come enunciate dalla sentenza impugnata.

Nella specie la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che effettivamente i lavori fossero stati ultimati a dicembre del 1998 perchè così era stato dichiarato dal contribuente con una dichiarazione che, secondo le motivate valutazioni della Commissione, non poteva essere frutto di disattenzione o lapsus. La c.d. decadenza non era stata considerata per tale, ma solo quale uno degli indici di inattendibilità della tesi dell’errore materiale.

Parimenti inammissibile è la parte del motivo che viene riprodotto al n. 4 del quesito sopra trascritto: alla Corte di Cassazione non può essere chiesto se essa ritiene provato un fatto che il giudice di merito ha ritenuto non provato e sulla base degli stessi elementi di prova che il giudice del merito ha motivatamente ritenuto inattendibili e comunque insufficienti. Infine anche la domanda di annullamento delle sanzioni non può essere presa in esame perchè non risulta – e non è stato dedotto – che sia stata proposta davanti al giudice del merito.

L’inammissibilità dell’unico motivo determina l’inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 2.300 per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre a contributi unificati, spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

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