Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19734 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. III, 27/09/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 27/09/2011), n.19734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ALLIANZ S.P.A. (OMISSIS), in persona dei procuratori speciali

d.ssa G.A. e Dr. C.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato

SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE CARSO 77, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVO

EDOARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOTTA

ACHILLE giusta procura speciale del CONSOLATO GENERALE D’ITALIA A

CASABLANCA 30/6/2009, N. REGISTRO 66.486; GINO S.P.A. (OMISSIS),

in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore Sig.ra V.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. G. BELLI 39, presso lo studio

dell’avvocato LEMBO ALESSANDRO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VIGNA GIANCARLO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 221/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO –

SEZIONE 3^ CIVILE, emessa il 16/1/2009, depositata il 12/2/2009,

R.G.N. 234/2008 + 247/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato RAO ROSARIO (per delega dell’Avv. GIORGIO

SPADAFORA);

udito l’Avvocato GRADARA RITA (per delega dell’Avv. ALESSANDRO

LEMBO);

udito l’Avvocato EDOARDO PONTECORVO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Cuneo la compagnia di assicurazioni RAS (oggi Allianz s.p.a.), S.M. espose (dopo aver sporto rituale denuncia di furto ai carabinieri) che ignoti ladri si erano impossessati, nottetempo, della sua autovettura, assicurata presso la compagnia convenuta, alla quale, in accoglimento di una richiesta telefonica rivolta al proprio difensore, aveva spedito a mezzo corriere le chiavi dell’autovettura in duplice copia (recanti il medesimo numero identificativo), soltanto una delle quali, peraltro, era risultata corrispondere all’auto rubata (l’altra appartenendo ad altra autovettura commercializzata in Germania e mai entrata in Italia), onde il diniego della assicuratrice di corrispondergli il richiesto indennizzo.

Intervenuta volontariamente in causa, la s.p.a. Gino, in qualità di concessionaria e venditrice dell’auto al S., sulla premessa di essere ancora creditrice nei confronti di quest’ultimo della somma di circa 42 mila Euro, chiese a sua volta che, accertata la validità ed efficacia della clausola di vincolo a suo favore della polizza assicurativa, la RAS fosse condannata a versarle direttamente la somma dovuta. Il giudice di primo grado respinse entrambe le domande.

La corte di appello di Torino, investita delle impugnazioni proposte dalla Gino s.p.a. e dal S., le accolse integralmente, rigettando quella incidentale proposta dalla Allianz.

La sentenza è stata impugnata da quest’ultima con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi e illustrato da memoria.

Resistono con controricorso, ciascuno corredato da memoria, tanto il S. quanto la Gino s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con i1 primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1697 e 1900 c.c.. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica la corte suprema se, ai sensi degli artt. 1697 e 1900 c.c., grava sul soggetto assicurato la dimostrazione degli elementi necessari a far sorgere il diritto all’indennizzo e, specificamente, la dimostrazione di possedere ancora, dopo il furto, le chiavi dell’autoveicolo rubato e, con riferimento alla regiudicanda, dica se è illegittima la decisione della corte di appello di Torino che ha accolto la domanda di indennizzo dell’assicurato per non avere la società assicuratrice ottemperato all’onere di fornire la prova dei fatti ostativi all’accoglimento della domanda, e cioè che una delle chiavi consegnata a detta società dall’assicurato non fosse quella del veicolo rubato.

La doglianza è infondata.

Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello, che ha, contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente, fatto buongoverno dei principi in tema di riparto dell’onere probatorio tra assicuratore ed assicurato in punto di applicazione della norma di cui all’art. 1900 c.c., principi d’altro canto più volte affermati da questa corte regolatrice (Cass. 7242/05 e plurimis) in forza dei quali è compito dell’assicuratore provare la causa impeditiva o estintiva del diritto all’indennizzo.

Rientra poi nelle valutazioni di fatto riservate al giudice di merito la riconduzione all’una o all’altra parte degli oneri de quibus in funzione delle singole, specifiche, precipue (e nella specie certamente singolari e inusuali) circostanze del processo, onde la ricostruzione della vicenda della doppia chiave, esente da vizi logico-giuridici, si sottrae tout court al vaglio di legittimità di questa corte regolatrice.

Con il secondo motivo, si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo – che trova il suo momento di sintesi nella indicazione,.

come fatto controverso, dell’accertamento compiuto dalla Daimler Chysler di cui alla lettera del 12.4.2005, specificandosi all’uopo che la motivazione sul punto appare inidonea a giustificare la decisione nella parte in cui si è escluso che detta lettera costituisca prova sufficiente a ritenere che una delle chiavi/telecomando consegnate dal S. non fosse quella del veicolo rubato – è a sua volta infondato. Con esso, difatti, si richiede alla corte di merito, sotto il simulacro del lamentato (quanto indimostrato) vizio motivazionale, non altro che un mero riesame delle vicende di causa, invocando un’attività di revisio facti istituzionalmente preclusa al giudice di legittimità. La doglianza si risolve, difatti, nella sua più intima essenza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di circostanze definitivamente accertate in sede di merito, dacchè la ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, indulge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze del processo così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle emergenze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare (come compiutamente accaduto nella specie, con particolare riguardo alla circostanza delle materiale impossibilità, per il S., di procurarsi e disporre di una chiave appartenente ad un’autovettura commercializzata in Germani e mai introdotta in Italia) le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di Legittimità.

Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito:

Dica la corte suprema se, ai sensi degli artt. 112 e 167 c.p.c., può ritenersi che il convenuto non abbia specificamente contestato i presupposti della domanda ove abbia dedotto la sussistenza di fatti ostativi all’accoglimento della domanda stessa; con particolare riferimento alla regiudicanda, dica se è illegittima la decisione della corte di appello di Torino che ha affermato che la difesa della società convenuta non era osservante dell’obbligo di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, laddove la società convenuta stessa aveva dedotto la sussistenza di “aspetti incerti” nella vicenda relativa al furto, specificamente deducendo che una delle chiavi consegnate non era quella del veicolo rubato. La censura non ha giuridico fondamento.

Non sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poichè nessuna censura e nessun conseguente principio di diritto vengono, rispettivamente, svolta e richiesto a questa corte con riferimento alle vicende per le quali è ancora processo.

Non sotto il profilo del difetto di motivazione perchè, senza ripetere in proposito quanto già evidenziato in sede di analisi del motivo che precede, la stessa affermazione della Alliainz, secondo cui il furto dell’auto “presentava delle incertezze” non può dirsi integrare gli estremi della contestazione specifica delle affermazioni di controparte, onde la ritenuta (e condivisa) legittimità dell’atteggiamento processuale del S. quanto alle contestazioni a sua volte mosse alla compagnia assicuratrice (non senza considerare, così integrandosi la motivazione della sentenza impugnata, che, pur a voler ritenere, in via di mera ipotesi astratta, insufficienti le contestazioni sollevate dal proprietario dell’autovettura con riferimento alle affermazioni di controparte, ciò non gioverebbe comunque all’odierna ricorrente, gravata – senza averlo punto assolto dell’onere probatorio correttamente individuato nei suoi contenuti dal giudice d’appello). Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di ciascuno dei controricorrenti, che si liquidano in complessivi Euro 8600, di cui Euro 200 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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