Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19734 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – rel. Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17338-2007 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MACCIOTTA GIANFRANCO con studio in CAGLIARI VIA

SONNINO 99 (avviso postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAGLIARI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 38/2006 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 18/04/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2010 dal Presidente e Relatore MARCO PIVETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’inammissibilità.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Cagliari notificò il 23 ottobre 2003 al sig. G. G. un avviso di liquidazione per 3.392, 28 Euro a titolo di ICI per il 1998, di cui Euro 2.221,06 per maggiore imposta, Euro 666,32 per sanzioni, Euro 499,74 per interessi ed Euro 5,16 per spese di notifica.

L’intimato propose opposizione con atto depositato il giorno 8 dicembre 2003, deducendo – come si legge nella sentenza di secondo grado – in primo luogo, di aver pagato l’imposta dovuta sulla base della dichiarazione e che la maggior pretesa del Comune dipendeva dalla errata trascrizione del valore della rendita di un immobile sito in (OMISSIS) indicata in Euro 9.804,42 anzichè in Euro 2.509,98. In secondo luogo deduceva la nullità dell’avviso per mancanza di motivazione e per omessa indicazione dei dati previsti dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, commi 1 e 2, lett. a), b) e c). Se l’atto non era frutto di errore allora lo stesso avrebbe dovuto configurarsi come atto di accertamento e non di liquidazione e sarebbe stato quindi nullo per difetto dei prescritti requisiti formali. Il contribuente deduceva inoltre che l’immobile cui l’imposta si riferiva era iscritto al catasto in categoria D/8 come fabbricato a destinazione speciale o particolare, sicchè eventuali modificazioni della rendita catastale avrebbero dovuto essergli notificate, con effetto dal giorno della notifica ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 34 comma 3.

La Commissione tributaria provinciale, con sentenza depositata il 1 aprile 2004, dichiarò inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione passiva del Comune.

Il contribuente propose appello alla Commissione tributaria regionale facendo valere, a quanto si legge nella sentenza qui impugnata, la legittimazione passiva del Comune e quindi la piena ammissibilità del ricorso introduttivo, di cui riproponeva le ragioni di merito.

Costituendosi nel giudizio di secondo grado il Comune di Cagliari chiese, in parziale accoglimento dell’appello, “l’applicazione delle sanzioni e degli interessi fosse limitata alla differenza tra l’imposta versata e quella dovuta sulla base di quanto dichiarato dal ricorrente, escludendo invece sanzioni ed interessi per la differenza di imposta dovuta a seguito dell’attribuzione della maggiore rendita catastale” (successivamente il comune ha preso atto dell’ulteriore versamento documentato dal contribuente). Per il resto, il Comune precisò tre punti: a) che sulla base della dichiarazione presentata e dei tre immobili in essa indicati l’ICI dovuta per il 1998, tenuto conto delle rendite catastali indicate e dell’aliquota del 4,5 per mille prevista, era di Euro 1.106,65 di cui sarebbe stato effettuato un solo versamento di Euro 608,90. Sulla differenza di Euro 497,75 non versata doveva pertanto applicarsi la sanzione del 30% e gli interessi ex lege; b) per l’immobile iscritto in categoria D/8, il Comune riferiva che detto immobile aveva in origine una rendita di L. 20.600 che, a seguito di variazione del reddito ex D.M. 20 gennaio 1990, sarebbe divenuta di L. 45.320.000 (pari a Euro 23.405,83) al 4.3.1992; non appariva chiaro il motivo per cui era stata indicata una rendita nettamente inferiore di Euro 2.509,84. A seguito di revisione rettificativa adottata in via di autotutela dall’Agenzia del territorio con atto del 20.10.2000 n. 199647.1/2000, in atti dal 24.11.2000, la rendita iniziale di Euro 23.405,83 era stata rettificata in Euro 9.804,42 e tale rideterminazione, proprio per il suo carattere rettificativo, aveva efficacia retroattiva. La rendita di Euro 9.804,4 era stata notificata, sulla base degli atti catastali, con prot. n. 244911/2000 per cui le eventuali contestazioni andavano rivolte alla detta Agenzia e non al Comune di Cagliari; il Comune abbandonava la pretesa al pagamento di interessi e sanzioni per il maggiore importo derivante dalla rettifica, in conformità alla linea seguita per l’imposta relativa al 1999; c) le regole particolari concernenti gli immobili di cat. D/8 relativamente alla variazione-modificazione delle rendite catastali, ai sensi dell’art. 5, comma 3, riguardavano soltanto gli immobili di cat. D non iscritti in catasto interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, mentre per gli altri casi si applicavano le regole generali stabilite dallo stessi citato art. 5, commi 2 e 4.

Il Comune contestava infine la sussistenza delle affermate violazioni della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dell’art. 7 dello stato del contribuente.

Il contribuente replicò eccependo preliminarmente la tardività e quindi l’inammissibilità delle difese avverse e la non corrispondenza al vero dei documenti prodotti dal Comune; che da questi ultimi risultava omesso il versamento di L. 964.000 (Euro 497,86) pur essendo documentato il totale versamento di quanto dovuto per i 1998 e cioè Euro 1.106,77; che la rendita catastale alla data del 1.1.1998 non era di L. 18.894.000 nè di L. 45.320.000 ma di L. 20.600 “in seguito a variazione del 15.1.1989”; che la rendita di L. 45.320.000 era stata attribuita in sede di variazione mai notificata;

che contro questa variazione era stato proposto ricorso alla CTP di Cagliari che l’aveva deciso con sentenza n. 156/02/2001. depositata 3 7.2.2001 di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere su richiesta dell’ufficio il quale aveva precisato di avere modificato la rendita indicata nel ricorso; che neppure questa rendita le era stata mai notificata; che stante il nuovo tenore della L. n. 342 del 2000, art. 74 di quello del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 del comportamento dell’ufficio nei procedimento indicato e della sentenza di definizione di tale procedimento doveva dedursene che alla data (della sentenza) 17.2.2001 la rendita di L. 45.320.000 doveva considerarsi annullata con consequenziale reviviscenza della rendita di L. 20.600; che la nuova rendita, variata con atto del 20.10.2000 in autotutela, ex art. 74 citato sarebbe dovuta diventare efficace solo dalla data della notifica; che pertanto per la determinazione dell’ICI/1998 non poteva ritenersi utilizzabile la rendita di L. 18.984.000 attribuita solo il 20.10.2000 nè quella di L. 45.320.000.

La Commissione tributaria regionale acquisì documentazione dalla Agenzia del territorio che – a quanto riferisce la sentenza qui impugnata – constano: a) della domanda del 20 ottobre 2000 con cui il contribuente aveva chiesto all’ufficio del territorio di Cagliari la rideterminazione in autotutela della rendita di L. 45.320.000 perchè calcolata erroneamente; b) della ricevuta di ricezione in data 2 gennaio 2001 della notifica delle determinazione della rendita in L. 18.884.000; e) della visura storica catastale.

La Commissione quindi con sentenza depositata il 16 aprile 2006, dichiarata l’illegittimià della pronunzia di inammissibilità adottata dalla Commissione tributaria provinciale e respinte le eccezioni di inammissibilità della costituzione e delle produzioni del Comune nel giudizio di secondo grado, accolse l’appello in conformità alle ammissioni del Comune – con riferimento alla somma di Euro 497,75 oltre ad interessi e sanzioni, nonchè con riferimento agli interessi e alle sanzioni relative al maggior importo dovuto a seguito della rettifica della rendita catastale.

Sul merito principale di quest’ultima voce della domanda fiscale la sentenza accolse le ragioni dell’Ufficio e riferì che all’immobile in questione, di cat. D/8. era stata attribuita nel 1989 una rendita di L. 20.600 aumentata successivamente ai sensi del D.M. 20 gennaio 1990 a L. 45.320.000 (Euro 23.405,83) che era la rendita in atto dai 4.3.1992. Il contribuente in data 20.10.2000 aveva avanzato richiesta di rideterminazione in via di autotutela di tale rendita e aveva quindi ribadito tale domanda anche con ricorso alla Commissione tributaria provinciale. Quest’ultima aveva pronunziato sentenza n. 156/02/2001 ormai irrevocabile di cessazione della materia del contendere su conforme richiesta dell’Ufficio, che aveva riferito a tal fine di aver annullato in via di autotutela la rendita di L. 45.320.000 contestata dal contribuente e l’aveva sostituita con quella di L. 18.984.000.

La Commissione tributaria provinciale, nel contesto della sentenza suddetta – poichè il ricorrente chiedeva che si accertasse comunque la eccessività della rendita calcolata dall’ufficio in autotutela – aveva affermato che questa poteva essere impugnata eventualmente all’atto della sua notifica (che secondo il Comune e l’ufficio del territorio sarebbe già avvenuta ma non secondo il contribuente) e che “non aveva effetto retroattivo”.

La sentenza qui impugnata da atto dell’acquisizione dell’avviso di ricevimento, avvenuto il 2.1.2001, della notifica n. 244911/2000 relativa alla rendita di L. 18.984.000.

Ciò premesso in fatto, la Commissione tributaria regionale ha rilevato che la questione fondamentale era quella se la rendita di L. 18.984.000, rideterminata in autotutela (il cui esercizio era stato sollecitato dallo stesso contribuente) esercitata di seguito all’accertamento dell’errore commesso nella determinazione della stessa in L. 45.320.000, dovesse avere efficacia dalla stessa data di attribuzione della rendita sostituita ovvero dalla data di notifica (2.1.2001). Sui punto la sentenza afferma che a detta rendita “doveva riconoscersi validità retroattiva, trattandosi non di attribuzione di nuova rendita, ma di rettifica di rendita. Di rendita, cioè, che.

sostituendone altra perchè erroneamente calcolata, non può che prenderne a tutti gli effetti il posto fin dal momento della attribuzione di quella sostituita, il contribuente aveva certamente il diritto di contestare anche la congruità della rendita di L. 18.984.000 quando la stessa gli era stata, notificata il 2.1.2001, ma non lo aveva fatto e, di conseguenza, la stessa era divenuta definitiva e, quindi, applicabile anche per il 1998.

Contro tale pronunzia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione. Il Comune di Cagliati non ha partecipato al giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ. per omessa pronunzia ovvero in subordine carenza della motivazione.

Il motivo afferma che il contribuente aveva eccepito l’infondatezza dell’avviso di liquidazione perchè l’avviso affermava che la rettifica era stata determinata da una verifica sulla dichiarazione presentata e sui versamenti effettuati, mentre dal raffronto tra i dati della dichiarazione e i versamenti effettuati non emergeva alcuna discrepanza tra quanto dovuto e quanto effettivamente versato.

E su ciò la sentenza impugnata nulla aveva detto.

inoltre era stato dedotto che se non si trattava di rettifica ma di nuovo accertamento allora esso era nullo per carenza dei requisiti formali e sostanziali di un atto accertativo.

Entrambi i motivi sono inammissibili. Per quanto riguarda il primo profilo la questione è comunque superata dall’accoglimento parziale dell’appello. Per quanto riguarda il secondo profilo.

l’inammissibilità deriva dal difetto di autosufficienza in quanto non è precisato il contenuto specifico dell’eccezione che si assume non decisa (nè il tenore della motivazione dell’avviso).

Ma, in via preliminare e assorbente, i due motivi sono inammissibili per carente formulazione dei relativi quesiti ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. posto i quesiti stessi non riproducono la richiesta di soluzione di una specificata questione giuridica ma si limitano a richiedere che la Corte voglia statuire se la sentenza impugnata “debba ritenersi nulla per violazione delle norme di cui all’art. 112 c.p.c. e/o art. 277 cod. proc. civ. applicabili al caso di specie in virtù del richiamo operato da D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 e art. 35, comma 3) o quanto meno, in subordine, viziata da omessa motivazione su un punto fondamentale e decisivo per il giudizio”.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3. Al riguardo si afferma: a) che l’avviso di liquidazione mancava di alcuni elementi richiesti tassativamente dalla norma; b) che la sentenza impugnata aveva illegittimamente affermato al riguardo che tali elementi non erano richiesti a pena di nullità.

Il motivo e inammissibile per evidente difetto di autosufficienza perchè non specifica di quali elementi è stata e viene denunziata la mancanza e perchè attribuisce alla semenza impugnata un contenuto diverso da quello che essa ha.

In via preliminare e assorbente il motivo è comunque anch’esso inammissibile per carente formulazione del quesito. che è del seguente tenore: “statuire se la stessa debba essere cassata per violazione o falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 all’art. 12 preleggi e/o all’art. 111 Cost.”.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2909 cod. civ., del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 23 e del D.Lgs. n. 304 de 1992, art. 5, comma 2.

Il motivo è manifestamente infondato nel merito, per le ragioni esposte nella semenza impugnata. Comunque l’invocazione del giudicato è fuori luogo posto che la sentenza richiamata è una sentenza di cessazione della materia del contendere.

Il motivo è comunque ed in via preliminare ed assorbente inammissibile per carente formulazione del quesito, il cui tenore segue lo stesso modulo adottato per i precedenti motivi.

Lo stesso deve dirsi per tutti i motivi successivi (quinto, sesto e settimo), peraltro inammissibili anche sotto altri autonomi profili:

il quinto – che deduce la violazione della L. n. 679 del 1969, art. 3 e dell’art. 2697 cod. civ., – in quanto non specifica quali siano i fatti in ordine ai quali la prova – sarebbe carente; il sesto – che deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ., o carenza e contraddittorietà della motivazione o violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 1, – perchè non specifica che nel giudizio di merito sia stata espressamente e specificamente contestata la conformità delle copie agli originali e comunque non è commisurato a quanto detto al riguardo dalla sentenza impugnata; il settimo – che deduce la violazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3, – perchè non è commisurato alla ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata e all’interpretazione del fatto e del diritto da essa accolta.

L’inammissibilità di tutti i motivi determina l’inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

– dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

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