Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19732 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. III, 23/07/2019, (ud. 15/02/2019, dep. 23/07/2019), n.19732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8558/2016 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS)

in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono rappresentati e

difesi per legge;

– ricorrenti –

contro

B.G., D.R., P.U.,

S.G., BRAMBILLA BAS MARCO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 291/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 25/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/02/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I dottori P.C.U., S.C.U., B.B.M., B.G. e D.G.convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Genova, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero della salute, il Ministero dell’economia, il Ministero dell’istruzione e l’Università degli studi di Genova e – assumendo di essere tutti laureati in medicina e di aver frequentato, negli anni 1983-1991, alcuni corsi di specializzazione, conseguendo i relativi diplomi – chiesero che le Amministrazioni convenute fossero condannate al pagamento nei loro confronti, a titolo di adeguata remunerazione, di una somma determinata in via principale in lire 21.500.000 e in via subordinata in quella di Euro 6.713,93.

Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, eccependo, tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto, e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

Il Tribunale, dichiarato il difetto di legittimazione passiva della sola Università, rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dai medici soccombenti e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 25 febbraio 2015, in parziale riforma di quella impugnata, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle seguenti somme: Euro 20.141,82 in favore di P.C.U.; Euro 26.855,76 ciascuno in favore di S.G. e B.G.; Euro 33.569,70 ciascuno in favore di D.R. e B.B.M.; il tutto con gli interessi legali dal 19 febbraio 2009 al saldo, con compensazione delle spese anche del giudizio di appello.

Ha osservato la Corte territoriale che, nel caso di specie, la prestazione economica alla quale i medici avevano diritto non poteva essere quella fissata dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, non avendo detta norma un’efficacia retroattiva, ed era, invece, quella di cui alla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11. Il relativo diritto non era prescritto, posto che la domanda era stata inoltrata in data 19 febbraio 2009 cioè comunque entro il decennio decorrente dal 27 ottobre 1999, in base ai criteri fissati da un’ormai pacifica giurisprudenza di legittimità. A ciascuno dei medici appellanti doveva, pertanto, essere riconosciuto il diritto a ricevere la somma di Euro 6.713,94 per ciascun anno di frequenza ai corsi di specializzazione, pervenendo così alle somme suindicate, dato che i corsi erano stati di durata triennale, quadriennale e quinquennale. Sulle somme liquidate dovevano poi essere riconosciuti gli interessi legali a far data dal giorno della domanda giudiziale (19 febbraio 2009).

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova propongono ricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero della salute, il Ministero dell’economia e il Ministero dell’istruzione, con unico atto affidato a due motivi.

I medici intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso, originariamente trattato dalla Sesta Sezione Civile di questa Corte, è stato da questa rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 22 maggio 2017, n. 12860.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 117 Cost., comma 1, nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE.

Osservano i ricorrenti che la Dott.ssa D. si era immatricolata al primo anno del corso di specializzazione in data 1 novembre 1982, come risulta dalla sentenza impugnata. Ne consegue che la medesima non avrebbe diritto ad alcun risarcimento del danno per la ritardata trasposizione della normativa comunitaria, posto che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che quel diritto esiste solo per coloro i quali hanno preso parte ai corsi di specializzazione nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991. Si tratterebbe, nella specie, di un elemento costitutivo della fattispecie che, in quanto tale, il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio, non implicando tale questione alcun accertamento di fatto.

1.1. Giova premettere che questa Corte, con una serie di recenti provvedimenti ai quali va data ulteriore continuità in sede odierna (v., tra gli altri, le ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27471, 17 gennaio 2019, nn. 1053, 1056 e 1065), ha affrontato la stessa questione oggetto del motivo qui in esame.

Si tratta, com’è noto, di stabilire se sussista o meno il diritto alla percezione degli emolumenti fissati dalla legge – in particolare dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 (Lire 13 milioni all’anno per il periodo che va dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991) – per i c.d. medici specializzandi a cavallo, cioè quei medici che hanno frequentato e positivamente concluso uno dei corsi di specializzazione riconosciuti in sede Europea cominciando nel 1982 e terminando in data ovviamente successiva al 1 gennaio 1983. Problema, questo, già affrontato in sede di legittimità, con una giurisprudenza che ha conosciuto un interno dissenso; ciò in quanto, pacifica essendo l’impossibilità di configurare un inadempimento del legislatore nazionale prima del termine del 31 dicembre 1982 (fissato dall’art. 16 della direttiva 82/76/CEE), sussistevano dubbi circa la posizione dei medici il cui corso si collocava, come nel caso in esame, a cavallo di quella data, per i quali alcune pronunce hanno negato il diritto alla percezione della somma suindicata ed altre l’hanno, invece, riconosciuto.

Tale dissenso (cfr., sul punto, per tutte, le sentenze 10 luglio 2013, n. 17067, e 22 maggio 2015, n. 10612) ha dato luogo alla rimessione della questione alle Sezioni Unite le quali, con ordinanza interlocutoria 21 novembre 2016, n. 23581, hanno rimesso la relativa questione interpretativa alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultima, con la sentenza 24 gennaio 2018 (nelle cause riunite C-616/16 e C-617/16) ha stabilito che l’art. 2, paragrafo 1, lettera c), l’art. 3, paragrafi 1 e 2, nonchè l’allegato della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, devono essere interpretati nel senso che una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato suddetto, per la formazione a tempo pieno e a tempo ridotto dei medici specialisti iniziata nel corso dell’anno 1982 e proseguita fino all’anno 1990 deve essere corrisposta per il periodo di tale formazione a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla conclusione della formazione stessa.

Da ciò consegue che, alla luce dell’interpretazione proveniente dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, coloro i quali hanno intrapreso il corso di specializzazione nell’anno 1982 e l’hanno terminato, a seconda della durata legale, tre, quattro o cinque anni dopo, hanno diritto agli emolumenti di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, ma solo a decorrere dal 1 gennaio 1983. Le Sezioni Unite di questa Corte, tornando ad occuparsi della materia con le sentenze 18 luglio 2018, n. 19107, e 31 luglio 2018, n. 20348, hanno interpretato il dictum della Corte Europea affermando che “occorre commisurare il risarcimento stesso (per la mancata percezione di una retribuzione adeguata) non all’intero periodo di durata del primo anno accademico di corso, bensì alla frazione temporale di esso successiva alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva (31 dicembre 1982), a partire dalla quale si è verificato l’inadempimento”.

In definitiva, quindi, le posizioni dei medici specializzandi a cavallo vanno distinte in tre categorie: 1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione; 2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983; 3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del corso.

Rileva il Collegio che, sulla base di tale orientamento che costituisce diritto vivente, il motivo di ricorso dell’Avvocatura dello Stato potrebbe, in astratto, essere fondato in relazione alla posizione della dottoressa D., per la quale la sentenza ha dato atto che l’iscrizione al primo anno del corso di specializzazione ebbe luogo in data 1 novembre 1982. Tale fondatezza potrebbe sussistere – si ripete, solo in astratto – a condizione che vi fosse la prova che ella avesse realmente percepito emolumenti già nel corso dell’anno 1982.

1.2. Ritiene però la Corte che il motivo sia privo di fondamento.

Ed infatti l’Avvocatura dello Stato ricorrente avrebbe dovuto – a fronte di tale giurisprudenza che si è andata maturando negli ultimi mesi, e soprattutto alla luce delle due sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte intervenute nel 2018 e in precedenza indicate – prendere posizione più chiaramente su questo punto. Avrebbe dovuto, cioè, chiarire se effettivamente la dottoressa D. avesse o meno percepito emolumenti nel limitato periodo di tempo che va dal 1 novembre 1982 al 31 dicembre 1982. Ma la parte ricorrente, che ha impostato il motivo di ricorso in termini generali, non ha nemmeno depositato memoria per specificare il punto in questione. D’altra parte, ben potrebbe essersi verificato che, compiuta l’iscrizione nel novembre 1982, il corso sia cominciato nei mesi successivi e, quindi, che il diritto alla percezione della remunerazione si sia perfezionato, in realtà, solo in data successiva al 1 gennaio 1983.

Ne consegue che la genericità della censura impone, in presenza di un mutato quadro giurisprudenziale, il rigetto del motivo in esame.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 117 Cost., comma 1, nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE.

Osservano i ricorrenti che la specializzazione in patologia generale conseguita dalle dottoresse B.G. e D.R. non farebbe parte di quelle riconosciute da due o più Paesi membri dell’Unione Europea; tale specializzazione, non rientrando negli elenchi di quelle comuni a tutti gli Stati membri, non consentirebbe alle menzionate dottoresse di aver diritto ad alcuna prestazione economica. La circostanza, riconosciuta dalla sentenza impugnata, sarebbe comunque rilevabile d’ufficio, trattandosi di un elemento costitutivo della domanda risarcitoria.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La questione della ricomprensione della specializzazione conseguita dottoresse B.G. e D.R. nell’ambito di quelle riconosciute come comuni dalle direttive dell’Unione Europea (v. il D.M. 31 ottobre 1991) non è stata esaminata dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, ma il ricorso non specifica se tale questione fu posta o meno in quella sede. Deve pertanto affermarsi che, poichè il controllo sulla sussistenza o meno del requisito qui in discussione richiede un accertamento di fatto precluso in sede di legittimità, la doglianza è inammissibile per la sua novità, non avendo il ricorrente in alcun modo dimostrato di aver sollevato il problema davanti al Tribunale ed alla Corte d’appello (v. la sentenza 15 novembre 2016, n. 23199).

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Non si dispone l’obbligo di pagamento del doppio contributo a carico delle Amministrazioni ricorrenti, in considerazione della loro natura di parti pubbliche.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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