Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19731 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19731 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: GRECO ANTONIO

standardizzato
parametri

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AIESSANDRI RADIA, rappresentata e difesa dall’avv. Elena Stella e

dall’avv. Giorgio Falini presso il quale è elettivamente
domiciliata in Roma al viale Gorizia n. 25/C;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello
Stato, presso la quale è domiciliata in Roma in via dei
Portoghesi n. 12;
– contraricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Piemonte n. 35/30/07, depositata il 24 settembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14 marzo 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Giorgio Felini per la ricorrente e l’avvocato
dello Stato Giancarlo Caselli per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Vincenzo Gambardella, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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Data pubblicazione: 28/08/2013

SVOLGDIENTO DEL PROCESSO

Paola Alessandri, avvocato, ricorre con due motivi nei
confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale
del Piemonte che, rigettandone l’appello, nel giudizio introdotto
con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, ai fini
dell’IPPEF, dell’IVA e dell’IRAP per l’anno 1999, con il quale,
in applicazione dei parametri previsti dall’art. 3, comma 184,
della legge 28 dicembre 1995, n. 549, all’esito dell’instaurato
dalla contribuente, veniva determinato un maggior reddito,
confermava la legittimità dell’atto impositivo impugnato.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MOTIVI MIA DECISIONE
Il

primo motivo, con il quale la ricorrente denuncia

“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto decisivo e violazione degli artt. 132, n. 4) – 161-162
c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, 4, 5 c.p.c. per avere il
Giudice d’appello ritenuta sufficientemente motivata la sentenza
n. 67/25/06 della Commissione tributaria provinciale di Torino”,
si conclude con il quesito “se la sentenza emessa dalla
Commissione tributaria di primo grado che ometta nelle
motivazioni di prendere in esame uno dei motivi della
impugnazione dell’accertamento tributario e si limiti a
considerazioni del tutto discrezionali costituisca motivo di
nullità della sentenza a norma degli artt. 132, n. 4, e 161-162
c.p.c. con conseguente nullità della sentenza stessa”.
Il motivo non è conforme alle prescrizioni fissate
dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a pena di inammissibilità, non
essendo la sua illustrazione accompagnata, per quel che attiene
alla denuncia del vizio di motivazione, dalla chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero dalle ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione; e, per quel che concerne i
lamentati vizi di violazione di legge, da un quesito di diritto
adeguato. Il quesito di diritto, “dovendo assolvere alla funzione
di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso
specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non

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contraddittorio, tenuto conto delle giustificazioni avanzate

può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato
nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di
poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene
compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne
consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di
accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o
della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo”
Nel caso di specie, il riferimento ad “uno dei motivi
dell’impug nazione” – che non sarebbe stato preso in esame
dovendolo invece essere – è del tutto generico, corre del resto
quello alle “considerazioni del tutto discrezionali” che il
giudice d’appello avrebbe svolto incorrendo nel vizio dedotto.
Con il secondo motivo, denunciando “omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio e violazione del d.P.R. 29/09/1973 n. 600 artt.
39 e 54 – d.l. 30/08/1993, n. 331 art. 62 sexies convertito in 1.
20/10/1993, n. 427 e artt. 2727 e 2729 c.c.”, la ricorrente
assume che gli accertamenti fiscali che si fondino sui soli
strumenti presuntivi senza il riscontro di irregolarità contabili
o incongruenze e senza che vengano indicati espressamente gli
elementi di scostamento costituirebbero violazioni delle norme in
rubrica.
Il motivo è infondato.
La procedura di accertamento tributario standardizzato
mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore
costituisce, come affermato da questa Corte, “un sistema di
presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza
non è

ex lege

determinata dallo scostamento del reddito

dichiarato rispetto agli

standards in sé considerati – meri

strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della
normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio
da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento,
con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di
provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la
sussistenza di condizioni che ne giustificano l’esclusione
dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli stancàrds

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(Cass. n. 3530 del 2012).

o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di
tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento
non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere
integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto
dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state
disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito
del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità
dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente
concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la
controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è
vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento
amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il
ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto
all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando
inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo
suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare
l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli
“standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il
contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale
invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la
mancata risposta all’invito” (Cass. sez. un., 18 dicembre 2009,
n. 26635). E si è inoltre chiarito come “la procedura di
accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione
dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema
unitario che non si colloca all’interno della procedura di
accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, na la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei
risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i
contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce
l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova
contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria,
l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione
per la legittima attivazione della procedura standardizzata”
(Cass., sez. un., n. 26635 del 2009 cit.; Cass. n. 23096 del
2012).
A

tali principi il giudice di appello si è attenuto, dando

conto, in particolare, che in esito al contraddittorio instaurato

4

valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso

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con la contribuente, l’ufficio aveva operato una sensibile
riduzione dei maggiori compensi professionali accertati, tenendo
“conto anche dei fattori presuntivi rappresentati dagli anni di
esercizio della libera professione forense e dell’avviamento
dello studio professionale, prima condotto assieme col padre e
successivamente ereditato”; ed ha ritenuto che l’accertamento
impugnato non fosse frutto di mera ed acritica applicazione di
parametri o studi di settore, ma fosse stato elaborato e

ricorrente. A tale conclusione è giunto compiendo un’analitica
disamina, articolato in cinque punti, delle richieste accolte e
di quelle disattese, formulate nella fase del contraddittorio.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la contribuente al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in euro 3.000, oltre alle spese prenotate a
debito.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2013.

concretato tenendo conto della reale capacità contributiva della

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