Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19731 del 25/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19731 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 5168-2016 proposto da:
LIGUORI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato
FRANCO RAIMONDO BOCCIA, rappresentato e difeso
dall’avvocato NICOLETTA DE ROSA giusta delega in atti;
– ricorrente 2018
1045

contro

SINISCALCHI CENTRO S.R.L., in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio
dell’avvocato STEFANIA VERALDI, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 25/07/2018

dall’avvocato LORENZO IOELE giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1508/2015 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 23/12/2015 R.G.N. 648/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’accoglimento del terzo motivo rigettagli altri;
udito l’Avvocato BOZZI CARLO per delega verbale
Avvocato DE ROSA NICOLETTA.

udienza del 13/03/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO

e
R.G. n. 5168/2016

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 23 dicembre 2015,
nell’ambito di un procedimento

ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la

pronuncia di primo grado che aveva respinto l’opposizione di Antonio Liguori volta

lui intimato in data 12.3.2013 dalla Siniscalchi Centro Srl.
La Corte territoriale, con il primo giudice, ha accertato “che è stato effettivo ed
imponente l’abbattimento dei ricavi che ha indotto all’effettiva soppressione del
reparto codifica, realizzato in un momento di reale difficoltà aziendale”, con il
conseguente licenziamento dei tre lavoratori addetti al reparto, tra cui il Liguori.
Secondo la Corte “ben poteva la parte datoriale, per la dedotta più economica
gestione dell’impresa a seguito di un protratto periodo di crisi di risultati e di
difficoltà di mercato, ridimensionare l’organico, redistribuendo le mansioni in
precedenza assegnate al ricorrente al personale residuo, oppure ricorrendo, per
tempi assolutamente limitati, a risorse esterne (ingaggiate per via interinale o
con contratti a termine)”; si aggiunge che “anche il ricorso al lavoro straordinario
si spiega in questa ottica, atteso che il maggiore esborso per le maggiorazioni
salariali dovute ai lavoratori impiegati in extra time sono senz’altro inferiori ai
costi per il mantenimento di una unità di personale assunta a tempo
indeterminato”.
Quanto al mancato repechage, la Corte campana ha rilevato che “non risulta
contestato quanto dedotto dalla resistente in ordine alla circostanza che i posti
lasciati liberi a seguito del licenziamento dei tre addetti al reparto codifica, in
linea con le esigenze aziendali di contenimento dei costi, non sono stati destinati
a copertura con nuovo personale assunto a tempo indeterminato, ma compensati
ricorrendo ad una riorganizzazione delle risorse interne, ovvero ricorrendo ad
assunzioni stagionali per specifici periodi di punta”; ha poi evidenziato che
“l’impresa in questa fase di giudizio ha dimostrato, senza che controparte
fornisse adeguata prova contraria, che le mansioni richieste dal Liguori sono, allo
stato, integralmente occupate da altro personale”.
%

1

a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo a

R.G. n. 5168/2016

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Antonio Liguori con 3
motivi. Ha resistito la società con controricorso.

Ragioni della decisione

c.p.c., in relazione all’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art.
115 e 116 c.p.c.; art. 18 I. n. 300 del 1970″, sostenendo l’illegittimità del
licenziamento

“per

violazione

dell’obbligo

di

repechage

atteso

che

successivamente al licenziamento l’azienda ha proceduto ad assumere forza
lavoro con continuità e con ripetuti contratti di somministrazione”.
Con il secondo motivo si denuncia “violazione art. 3 I. n. 604 del 1966, art.
2697 c.c., art. 18 I. n. 300 del 1970 (art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5 c.p.c.)”,
sostenendo l’illegittimità del recesso datoriale “per violazione dell’obbligo di
repechage atteso che la società, dopo il recesso, ha proceduto ad assumere con
contratti di somministrazione recanti causali non rispondenti alle reali mansioni
poi espletate dai somministrati e finanche per mansioni per le quali il Liguori
aveva dichiarato disponibilità”.

2. I motivi, congiuntamente scrutinabili per connessione, non possono trovare
accogli mento.
Oltre all’inammissibilità derivante dalla promiscua deduzione di vizi di violazione
di legge sostanziale e processuale, unitamente alla violazione dell’art. 360, co. 1,
n. 5, c.p.c., nella sostanza parte ricorrente propone una rivalutazione della
ricostruzione della vicenda storica e del materiale probatorio preclusa dalla
riformulazione della disposizione da ultimo citata, così come rigorosamente
interpretata dalle SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, delle cui prescrizioni la
difesa del Liguori non tiene alcun conto.
In particolare non viene adeguatamente censurato l’accertamento in fatto
compiuto dal giudice del merito secondo cui la società avrebbe fatto ricorso,
successivamente al licenziamento, a risorse esterne “(ingaggiate per via
interinale o con contratti a termine) … per tempi assolutamente limitati”, con

2

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione art. 360, co. 1, n. 4,

R.G. n. 5168/2016

condotta evidentemente non omologabile all’assunzione a tempo indeterminato
di nuovo personale al posto del quale il Liguori avrebbe potuto essere utilizzato.

3. Con il terzo mezzo si denuncia “violazione art. 3 I. n. 604 del 1966, art. 2103
c.c., art. 2697 c.c., art. 18 I. n. 300 del 1970”, assumendo “l’illegittimità del
repechage, sebbene vi fosse la

disponibilità ad un demansionamento anche

part time

ed anche

indipendentemente dallo stesso, non ha dimostrato l’assolvimento dell’onere”.
Si sostiene che “contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello
salernitana non deve essere il lavoratore a dimostrare di aver offerto la sua
disponibilità a svolgere mansioni inferiori ma spetta al datore di lavoro
prospettare al dipendente la possibilità di un impiego in mansioni di livello
inferiore ed è solo il mancato consenso all’offerta che rende legittimo il
licenziamento”.
Anche tale motivo non può trovare accoglimento in quanto, con accertamento
di fatto non suscettibile di rivalutazione in questa sede, la Corte di Appello ha
verificato che non si era proceduto a nuove assunzioni a tempo indeterminato
rispetto a posti lasciati vacanti, ricorrendo piuttosto “ad una riorganizzazione
delle risorse interne, ovvero … ad assunzioni stagionali per specifici periodi di
punta”; ha poi ritenuto, rispetto alla possibilità di adibizione a mansioni inferiori,
che l’impresa avesse dimostrato “che le mansioni richieste dal Liguori sono, allo
stato, integralmente occupate da altro personale”.
Si tratta di accertamento in fatto preclusivo di ogni ulteriore indagine, rispetto
al quale la questione dell’offerta o meno da parte del datore di lavoro di impiego
in mansioni inferiori non assume valore dirimente, in quanto è sufficiente che la
società abbia provato che non vi erano posti in cui ricollocare il licenziando,
neanche in mansioni inferiori.

4. Conclusivamente il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato come da
delibera del locale Consiglio dell’Ordine del 26 febbraio 2016 non è tenuto al

3

licenziamento per violazione dell’obbligo di

R.G. n. 5168/2016

versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art.
13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (cfr. Cass. n. 18523 del
2014).

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali al

15%

ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 marzo 2018

P.Q.M.

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