Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1973 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

CMC Progetto s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona del

legale

rappresentante sig.ra A.G., rappresentata e difesa

per procura a margine de ricorso dall’Avvocato BRUGNOLI Graziano,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via Giovanni

Paisiello, 15;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/27/06 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 24 maggio 2006;

udita In relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Tommaso

Basile.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, letto il ricorso proposto dalla s.p.a. CMC Progetto, già Cagimar Finanziaria s.p.a. incorporante la s.p.a. Mondialpol Roma, per la cassazione della sentenza n. 61/27/06 del 24.5.2006 della Commissione tributaria regionale del Lazio che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento che contestava alla società Mondialpol Roma l’indebita detrazione dell’iva in relazione a fatture emesse per operazioni inesistenti nell’anno 1997;

letto il controricorso dell’Agenzia delle Entrate;

ritenuto che il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica, pertanto, il Supremo Collegio se l’avviso di accertamento a suo tempo impugnato sia stato o meno emesso in accordo con l’art. 54 cit., posto che la rettifica è avvenuta sulla scoria di un verbale dal contenuto esclusivamente presuntivo, Dica inoltre se nel corso del procedimento sia stato rispettato il principio dell’onere della prova imposto dall’art. 2697 c.c.”;

che il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica, dunque, il Supremo Collegio se l’avviso, oggetto di causa, sia stato a meno emesso in accordo con la norma citata e cioè sia stato emanato sulla scorta di presunzioni ammissibili, non contestate dai falli accertati”:

che il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, si conclude con il seguente quesito di diritto; “Dica, pertanto, il Supremo Collegio se, nel caso che ci occupa, l’art. 21 sia stato o meno violato, posto che la società ha emesso il documento contabile, facendo riferimento ad un contratto esibito ed acquisto agli atti dai verificatori”;

che il quarto motivo di ricorso lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione;

vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., dal Consigliere delegato Dott. Mario Bertuzzi, che ha così concluso:

– “i primi tre motivi sono inammissibili per essere i quesiti formulati eccessivamente generici, mancando in essi qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta dedotta in giudizio ed alle specifiche affermazioni della sentenza impugnata, nonchè apparendo le censure in essi indicate rivolte nei confronti dell’atto impositivo in luogo di investire la motivazione della decisione di secondo grado”:

– “in merito al tema dei requisiti di contenuto del quesito che il ricorrente ha l’onere di formulare ai sensi del l’art. 366 bis cod. proc. civ., questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il quesito di diritto consiste non già in un’affermazione di diritto astratta ed avulsa dal caso concreto, ma deve consistere in un interrogativo che deve necessariamente contenere, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto – rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato – di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione al fine di ottenere la pronuncia di cassazione, in modo da circoscrivere l’oggetto di quest’ultima nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito stesso (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; Cass. S.U. n. 20360 e n. 36 del 2007; Cass. n. 14682 del 2007)”;

– “il quarto motivo di ricorso che denunzia vizi di insufficienza e contraddittorietà di motivazione, è inammissibile in quanto formulato in modo non conforme alla prescrizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2, la quale, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20603 dell’1.10.2007 (poi ulteriormente confermato da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra le quali si segnalano le ordinanze n. 8897 del 2008 e n. 4309 del 2008), impone al ricorrente che denunzi il difetto di motivazione della decisione impugnata l’onere non solo di dedurre in modo specifico la relativa censura, indicando con precisione il fatto controverso su cui la motivazione sarebbe viziata, ma anche di formulare, al termine di essa, un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in modo da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua inammissibilità”;

rilevato che la relazione 6 stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti e che la parte ricorrente ha depositato memoria;

ritenuto che e argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo rispondenti sia a quanto risulta dall’esame degli atti di causa, che all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine agli adempimenti richiesti, a pena di inammissibilità, dalla disposizione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (ex multis: Cass. n. 8463 del 2009;

Cass. n. 7197 del 2009; Cass. S.U. n. 16528 del 2008);

che, in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, come liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e contributi di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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