Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19729 del 23/07/2019

Cassazione civile sez. III, 23/07/2019, (ud. 15/02/2019, dep. 23/07/2019), n.19729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29455/2014 proposto da:

S.M., SA.GA., R.M., C.M.P.,

D.A., CA.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

LIBIA 157, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BORRELLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONELLA PUSTORINO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.M., S.M., SA.GA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE LIBIA 167, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI BORRELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONELLA

PUSTORINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO UNIVERSITA’ RICERCA

SCIENTIFICA TECNOLOGICA, MINISTERO SALUTE MINISTERO ECONOMIA FINANZE

(OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO UNIVERSITA’ RICERCA

SCIENTIFICA TECNOLOGICA in persona del Ministro pro tempore,

MINISTERO SALUTE in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO

ECONOMIA FINANZE (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono rappresentati e

difesi per legge;

– ricorrenti incidentali –

contro

SA.GA., S.M., R.M., D.A.,

CA.MA., C.M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 459/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 16/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/02/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I dottori C.M.P., Ca.Ma., D.A., R.M., S.M. e Sa.Ga. convennero in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero dell’economia e quello della salute davanti al Tribunale di Messina e, assumendo di aver regolarmente frequentato le scuole di specializzazione nel periodo 1982-1990, conseguendo i relativi diplomi, chiesero che fosse riconosciuto l’inadempimento dello Stato italiano in ordine al recepimento delle direttive comunitarie regolatrici delle scuole di specializzazione, con condanna al risarcimento dei relativi danni.

Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, eccependo, tra l’altro, la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda in accoglimento dell’eccezione di prescrizione, compensando le spese di lite.

2. La sentenza è stata impugnata dai medici soccombenti e la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 16 giugno 2014, ha accolto il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha condannato tutte le Amministrazioni, in solido, al pagamento di una somma in favore di ciascuno dei medici, con gli interessi legali dalla data della domanda, ha confermato la compensazione delle spese relativamente al giudizio di primo grado e ha posto a carico degli appellati le spese del giudizio di secondo grado.

Ha osservato la Corte territoriale che la prescrizione non era nella specie decorsa, perchè tutti i medici avevano inviato nel luglio 2001 atti stragiudiziali con efficacia interruttiva.

Nel merito, la sentenza ha rilevato che gli appellanti avevano diritto alla percezione di una somma in relazione ai periodi di frequenza dei corsi di specializzazione successivi alla data del 31 dicembre 1982; il relativo importo, però, non poteva essere quello fissato dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, ma doveva essere quello di Euro 6.713,94 per ogni anno del corso di specializzazione, così fissato dalla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11. Quanto agli accessori, la Corte messinese ha negato il diritto alla rivalutazione, trattandosi di un debito di valuta, mentre gli interessi dovevano essere riconosciuti dalla data della domanda.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propongono ricorso principale i dottori C.M.P., Ca.Ma., D.M., R.M., S.M. e Sa.Ga., con unico atto affidato a due motivi.

Resistono la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero dell’economia e quello della salute con un unico controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.

I ricorrenti principali resistono con controricorso al ricorso incidentale ed hanno anche presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 1219 e 1224 c.c..

Osservano i ricorrenti che la sentenza impugnata avrebbe del tutto omesso ogni esame del contenuto degli atti stragiudiziali di costituzione in mora da loro inviati nel 2001. Dopo aver riportato integralmente il contenuto dei medesimi, i ricorrenti evidenziano che la Corte d’appello ha fatto decorrere gli interessi legali sulla somma di cui alla condanna soltanto dalla data della domanda giudiziale, senza considerare che essi sarebbero dovuti decorrere dalla data della messa in mora, che era anteriore. Si tratterebbe di omissione grave e rilevante ai fini della liquidazione dell’esatta somma dovuta.

1.1. Il motivo è fondato.

Osserva il Collegio che la sentenza impugnata contiene un evidente lapsus perchè, dopo aver rilevato che gli appellanti avevano inoltrato atti stragiudiziali idonei ai fini dell’interruzione della prescrizione nel luglio 2001, ha poi inopinatamente fatto decorrere gli interessi sulle somme liquidate dalla data della domanda giudiziale. E’ evidente, invece, che l’atto interruttivo della prescrizione è da intendere, secondo il dettato della sentenza in esame, come atto di costituzione in mora (art. 1219 c.c., comma 1 e art. 2943 c.c., comma 3), per cui gli interessi legali sulla somma liquidata in sentenza dovevano essere fatti decorrere dalle date di ricezione degli atti interruttivi della prescrizione richiamati dalla Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per mancanza di motivazione in ordine alla negazione del diritto alla rivalutazione monetaria sulla somma di cui alla sentenza di condanna.

2.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha respinto analoga richiesta citando la sentenza di questa Corte 9 febbraio 2012, n. 1917. Non può dirsi, pertanto, che la pronuncia impugnata sia priva di motivazione. Tale richiamo è corretto, perchè la sentenza n. 1917 ha affermato proprio ciò che la Corte d’appello ha rettamente inteso, e cioè che, in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con cui ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11. A seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale, secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c., gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale. Tale principio è stato ribadito costantemente dalla giurisprudenza successiva.

Deriva da esso che la trasformazione del debito di valore in debito di valuta fa sì che il maggior danno conseguente alla svalutazione possa essere riconosciuto soltanto se sia allegato e provato; l’esistenza di un atto di messa in mora dà diritto alla decorrenza degli interessi da quella data (come sì è detto a proposito del primo motivo) ma non determina, come vorrebbero gli odierni ricorrenti, anche il diritto alla rivalutazione, che deve essere oggetto di una diversa ed ulteriore prova (art. 1224 c.c., comma 2) che i ricorrenti neppure sostengono di aver fornito (v. in argomento le ordinanze 6 novembre 2014, n. 23635, e 9 luglio 2015, n. 14376).

Ricorso incidentale.

3. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE.

Sostengono le Amministrazioni ricorrenti che i dottori R. e Sa. si sono immatricolati ai rispettivi corsi di specializzazione nell’anno 1982 Ne consegue che gli stessi non avrebbero diritto ad alcuna remunerazione, perchè l’inadempimento dello Stato italiano in relazione all’attuazione delle suindicate direttive si è compiuto soltanto in data 1 gennaio 1983, per cui l’immatricolazione avvenuta in una data precedente precluderebbe il diritto alla remunerazione in relazione all’intero periodo di specializzazione.

3.1. Giova premettere che questa Corte, con una serie di recenti provvedimenti ai quali va data ulteriore continuità in sede odierna (v., tra gli altri, le ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27471, 17 gennaio 2019, nn. 1053, 1056 e 1065), ha affrontato la stessa questione oggetto del motivo qui in esame.

Si tratta, com’è noto, di stabilire se sussista o meno il diritto alla percezione degli emolumenti fissati dalla legge – in particolare dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 (Lire 13 milioni all’anno per il periodo che va dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991) – per i c.d. medici specializzandi a cavallo, cioè quei medici che hanno frequentato e positivamente concluso uno dei corsi di specializzazione riconosciuti in sede Europea cominciando nel 1982 e terminando in data ovviamente successiva al 1 gennaio 1983. Problema, questo, già affrontato in sede di legittimità, con una giurisprudenza che ha conosciuto un interno dissenso; cìò in quanto, pacifica essendo l’impossibilità di configurare un inadempimento del legislatore nazionale prima del termine del 31 dicembre 1982 (fissato dall’art. 16 della direttiva 82/76/CEE), sussistevano dubbi circa la posizione dei medici il cui corso si collocava, come nel caso in esame, a cavallo di quella data, per i quali alcune pronunce hanno negato il diritto alla percezione della somma suindicata ed altre l’hanno, invece, riconosciuto.

Tale dissenso (cfr., sul punto, per tutte, le sentenze 10 luglio 2013, n. 17067, e 22 maggio 2015, n. 10612) ha dato luogo alla rimessione della questione alle Sezioni Unite le quali, con ordinanza interlocutoria 21 novembre 2016, n. 23581, hanno rimesso la relativa questione interpretativa alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultima, con la sentenza 24 gennaio 2018 (nelle cause riunite C-616/16 e C-617/16) ha stabilito che l’art. 2, paragrafo 1, lettera c), l’art. 3, paragrafi 1 e 2, nonchè l’allegato della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, devono essere interpretati nel senso che una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato suddetto, per la formazione a tempo pieno e a tempo ridotto dei medici specialisti iniziata nel corso dell’anno 1982 e proseguita fino all’anno 1990 deve essere corrisposta per il periodo di tale formazione a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla conclusione della formazione stessa.

Da ciò consegue che, alla luce dell’interpretazione proveniente dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, coloro i quali hanno intrapreso il corso di specializzazione nell’anno 1982 e l’hanno terminato, a seconda della durata legale, tre, quattro o cinque anni dopo, hanno diritto agli emolumenti di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, ma solo a decorrere dal 1 gennaio 1983. Le Sezioni Unite di questa Corte, tornando ad occuparsi della materia con le sentenze 18 luglio 2018, n. 19107, e 31 luglio 2018, n. 20348, hanno interpretato il dictum della Corte Europea affermando che “occorre commisurare il risarcimento stesso (per la mancata percezione di una retribuzione adeguata) non all’intero periodo di durata del primo anno accademico di corso, bensì alla frazione temporale di esso successiva alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva (31 dicembre 1982), a partire dalla quale si è verificato l’inadempimento”.

In definitiva, quindi, le posizioni dei medici specializzandi a cavallo vanno distinte in tre categorie: 1) quelli che hanno iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (data di entrata in vigore della direttiva 82 del 1976), i quali non hanno diritto ad alcuna remunerazione; 2) quelli che hanno iniziato la specializzazione nel corso dell’anno 1982, i quali hanno diritto alla remunerazione a partire dal 1 gennaio 1983; 3) quelli che hanno iniziato la specializzazione dopo il 1 gennaio 1983, i quali hanno diritto alla remunerazione per l’intera durata del corso.

3.2. Sulla base di tale orientamento, il motivo di ricorso qui in esame potrebbe, in astratto, essere fondato in relazione alle posizioni dei dottori R. e Sa., per i quali la sentenza dà atto che l’iscrizione al primo anno del corso di specializzazione ebbe luogo nell’anno accademico 19821983 (per la Dott.ssa R., peraltro, in relazione al solo corso in anestesiologia e rianimazione). Tale fondatezza potrebbe sussistere – si ripete, solo in astratto – a condizione che vi fosse la prova che essi avessero maturato il diritto alla percezione degli emolumenti già nel corso dell’anno 1982.

Ritiene però il Collegio che il motivo sia privo di fondamento.

La sentenza in esame, infatti, benchè pronunciata in un momento nel quale il quadro giurisprudenziale era diverso da quello odierno, ha esplicitato con chiarezza che il diritto alla percezione degli importi fissati dalla legge sussisteva per i medici che avevano frequentato il corso di specializzazione “dopo il 31 dicembre 1982”. Fatta tale premessa, la Corte d’appello ha liquidato in favore dei singoli appellanti le somme a ciascuno dovute. Deve quindi ritenersi, per ragioni di coerenza, che l’effettivo inizio dei corsi, con conseguente diritto alla percezione degli emolumenti, abbia avuto luogo dal 1 gennaio 1983.

A fronte di tale quadro, il motivo di ricorso dell’Avvocatura dello Stato è, invece, del tutto generico; esso si limita a sostenere che non spetterebbe il compenso per i medici che hanno cominciato il corso nel 1982, ma nulla dice sul problema che si è spiegato poc’anzi, cioè se i dottori R. e Sa. abbiano maturato parte dei loro emolumenti già nel 1982. A fronte delle puntuali contestazioni compiute dai dottori suindicati nel controricorso al ricorso incidentale, la difesa erariale nulla ha specificato o aggiunto, non avendo neppure depositato una memoria idonea a chiarire l’aspetto in questione.

Ritiene pertanto la Corte che il motivo sia infondato.

4. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE.

Sostengono le Amministrazioni ricorrenti che la dottoressa R. si è specializzata in radiodiagnostica, mentre la dottoressa S. in neuropatologia. Queste due specializzazioni non sarebbero ricomprese tra quelle riconosciute da due o più Paesi dell’Unione Europea e, come tali, non darebbero diritto ad alcuna remunerazione. Tale circostanza di fatto, secondo i ricorrenti, è pacifica e comunque, trattandosi di un elemento costitutivo della domanda risarcitoria, il giudice l’avrebbe dovuto tenere presente, rigettando la relativa domanda.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La questione della ricomprensione della specializzazione conseguita dai Dott. R. e S. nell’ambito di quelle riconosciute come comuni dalle direttive dell’Unione Europea (v. il D.M. 31 ottobre 1991) non è stata esaminata dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, ma il ricorso non specifica se essa fu posta o meno in quella sede. Deve pertanto affermarsi che, poichè il controllo sulla sussistenza o meno del requisito qui in discussione richiede un accertamento di fatto precluso in sede di legittimità, la doglianza è inammissibile per la sua novità, non avendo il ricorrente in alcun modo dimostrato di aver sollevato il problema davanti al Tribunale ed alla Corte d’appello (v. la sentenza 15 novembre 2016, n. 23199).

Conclusioni.

5. In conclusione, è accolto il primo motivo del ricorso principale, mentre sono rigettati il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata è cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, disponendo che sulle somme indicate nella lettera a) del dispositivo della sentenza in esame decorrano gli interessi legali, in favore dei ricorrenti, dalle seguenti date: 31 luglio 2001 quanto ai ricorrenti C., Ca., D. e Sa., e 28 novembre 2003 quanto ai ricorrenti R. e S..

In considerazione dell’accoglimento, sia pure parziale, del ricorso principale e del rigetto integrale di quello incidentale, le spese del giudizio di cassazione vanno poste a carico delle Amministrazioni ricorrenti incidentali, con liquidazione ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, così come quelle del giudizio di appello; in relazione a queste ultime, deve essere confermata la liquidazione a suo tempo compiuta dalla Corte d’appello di Messina.

Non va posto a carico delle Amministrazioni ricorrenti incidentali l’obbligo di versamento del doppio del contributo unificato, attesa la natura di parti pubbliche delle medesime.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, dispone che sulle somme indicate nella lett. a) del dispositivo della sentenza impugnata decorrano gli interessi legali, in favore dei ricorrenti principali, dalle seguenti date: 31 luglio 2001 quanto ai ricorrenti C., Ca., D. e Sa., e 28 novembre 2003 quanto ai ricorrenti R. e S..

Condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, il Ministero dell’economia e quello della salute, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di appello così come già liquidate dalla Corte d’appello e del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.400, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2019

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