Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19724 del 03/10/2016
Cassazione civile sez. II, 03/10/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 03/10/2016), n.19724
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2634/2012 proposto da:
C.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
V.LE DELLE MEDAGLIE D’ORO 201, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO SGADARI, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE
M1SCIAGNA;
– ricorrente –
contro
SAN PAOLO IMMOBILIARE DI V.M. & C. SAS,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA, 24, presso
lo studio MARCO GARDIN, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO
DI CAGNO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 953/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 02/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito l’Avvocato MEDORI Francesca, con delega depositata in udienza
dell’Avvocato MISCIAGNA Pasquale, difensore del ricorrente che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato DI CAGNO Alberto, difensore del resistente che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società S. Paolo Immobiliare di V.M. e C. s.a.s. agiva davanti al tribunale di Bari nei confronti di C.G., per sentirlo condannare al rilascio di una porzione – da costui abusivamente occupata di un fondo di cui essa attrice si assumeva proprietaria.
Il convenuto resisteva sostenendo che l’area in oggetto era stata detenuta dal suo suocero, B.F., il quale lo aveva destinato ad attività di autodemolizione; che tale attività, alla morte del predetto, era stata da lui continuata; che il terreno in questione era contiguo alla proprietà del B., il quale era convinto di esserne proprietario; che pertanto doveva ritenersi maturata l’usucapione.
Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza che veniva confermata in sede di gravame.
Secondo la corte di appello di Bari:
a) La proprietà della società attrice doveva ritenersi dimostrata senza necessità che la stessa offrisse la probatio diabolica; ciò in quanto il rigoroso regime probatorio previsto dall’art. 948 c.c., doveva considerarsi nella specie attenuato in forza del principio di non contestazione, dato che il convenuto non aveva contestato la prospettazione attorea secondo cui la S. Paolo Immobiliare era divenuta proprietaria del terreno de quo per averlo acquistato nel (OMISSIS) da chi ne era proprietario per averlo acquistato nel (OMISSIS), ma si era limitato ad eccepire di aver acquistato l’immobile a titolo originario, per usucapione conseguente ad un possesso iniziato in capo a suo suocero nel (OMISSIS). Il convenuto cioè, secondo la corte di appello, non aveva contestato l’acquisto della società attrice, bensì l’appartenenza attuale dei terreni de quibus alla stessa.
b) D’altra parte, non era provata una situazione qualificabile come di possesso legittimante l’acquisto per usucapione e, comunque, non sussistevano i presupposti dell’accessione del possesso invocata dal convenuto, atteso che il trasferimento dell’azienda – con la quale il B. avrebbe ceduto anche il possesso del terreno sul quale espletava l’attività di autodemolizione – non era avvenuta per iscritto, e, dunque, non esisteva un titolo di acquisto astrattamente valido ai fini del trasferimento della proprietà del terreno.
C.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Il primo motivo censura l’applicazione fatta dalla corte distrettuale dei principi in materia di attenuazione dell’onere probatorio a carico del rivendicante, assumendo che il convenuto aveva sempre contestato l’appartenenza del bene alla società attrice e ai suoi danti causa.
Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione circa la verifica dell’animus possidendi; il ricorrente argomenta che la corte distrettuale avrebbe escluso tale animus solo perchè il convenuto aveva patteggiato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., l’applicazione di una pena su richiesta per il delitto di occupazione abusiva, senza, tuttavia, considerare i contrastanti elementi probatori dimostrativi dell’esistenza di un possesso pacifico, pubblico e ultratrentennale, utile per la invocata usucapione.
Il terzo motivo denuncia la mancata o erronea valutazione delle circostanze riferite dai testi escussi, lamentando come la sentenza gravata non chiarisca perchè qualifichi come mera detenzione quella che era risultata rivestire il carattere di una situazione possessoria.
Il quarto motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza gravata in cui la stessa incorrerebbe laddove, pur rilevando l’inidoneità delle dichiarazione dei testi indotti dalla società attrice per supportare l’azione di rivendica dalla stessa proposta, omette di procedere al relativo esame in ragione della mancata prova del possesso dedotto dal convenuto.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., in cu la sentenza gravata sarebbe incorsa ritenendo ammissibile la produzione in appello di un nuovo documento (provvedimento di sequestro penale).
Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa accogliendo l’eccezione della mancanza di un titolo di acquisto astrattamente idoneo per fondare la accessione del possesso del sig. C. a quello del di lui suocero B.G., laddove tale eccezione sarebbe stata da giudicare inammissibile, in quando sollevata per la prima volta con la comparsa conclusionale del (OMISSIS), essendo incontroverso che il convenuto era subentrato al suocero nella titolarità dell’azienda.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Avviata alla trattazione camerale con relazione ex art. 380 bis c.p.c., la causa è stata discussa nell’adunanza di Camera di consiglio del 6.6.13 (per la quale solo la contro ricorrente aveva depositato memoria illustrativa) e, quindi, rimessa dal Collegio alla pubblica udienza.
Il ricorso è quindi stato discusso nuovamente alla pubblica udienza del 23.6.16, per la quale solo la controricorrente ha depositato una ulteriore memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo non può trovare accoglimento.
Esso si fonda sul duplice assunto che:
a) il ricorrente avrebbe “sempre contestato la proprietà del bene” in capo alla società attrice (pagina 14 del ricorso, secondo capoverso);
b) il principio per cui l’onere della prova della rivendica si attenua solo quando “le parti abbiano posto a base delle proprie pretese il medesimo titolo di acquisto dallo stesso dante causa” (pagina 13 del controricorso, penultimo capoverso).
Entrambi tali assunti risultano infondati.
La doglianza sub a) difetta di specificità, perchè qui non è in questione la generica contestazione della proprietà del bene in capo all’attrice, ma la contestazione della validità dell’atto di acquisto dell’attrice del (OMISSIS) o dell’atto di acquisto del dante causa dell’attrice del (OMISSIS) o del fatto che chi vendette al dante causa dell’attrice nel (OMISSIS) fosse proprietario del bene; e nel ricorso non si riferisce se, in quali termini ed in quali atti difensivi del giudizio di merito alcuna di tali specifiche contestazioni sia stata effettuata, cosicchè l’accertamento operato nella sentenza gravata del fatto processuale che il convenuto non contestò che il bene fosse in proprietà dei danti causa della società attrice non risulta validamente censurato nel ricorso per cassazione.
Neppure è fondata la doglianza sub b). Il principio di diritto invocato dei ricorrenti – secondo cui “il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa) posizione di possessore” (sentt. nn. 5472/2001 e 11555/2007) va coordinato con i principi in materia di non contestazione e di definizione del tema del decidere. Se, pertanto, l’onere della prova della rivendicazione non può ritenersi attenuato quando il convenuto possessore eccepisca di aver usucapito il bene per un possesso iniziato in epoca anteriore al titolo di acquisto invocato dall’attore, la situazione va valutata diversamente quando il convenuto possessore eccepisca di aver usucapito il bene per un possesso iniziato in epoca posteriore al titolo di acquisto invocato dall’attore; in tal caso infatti il tema della lite si risolve nell’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione da parte del convenuto, cosicchè l’onere probatorio che grava sull’attore in rivendica si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere (sentenze nn. 8806/2000, 12327/01, 5487/02, 13186/02, 22418/04, 7529/2006, 5161/2006, 20037/2010 e da ultimo, ancora, 8215/2016 di questa medesima Sezione).
La sentenza gravata, nel ritenere che l’acquisto del dante causa dell’attrice non fosse stato oggetto di specifica contestazione da parte del convenuto, ha non soltanto rilevato che nessuna specifica eccezione era stata sollevata riguardo al titolo di acquisto de quo ma anche evidenziato – a conferma della condotta processuale del convenuto – che il medesimo aveva al riguardo invocato, a sostegno dell’invocata usucapione, un possesso che doveva farsi risalire al (OMISSIS), ovvero successivo all’atto di acquisto del dante causa dell’attrice ((OMISSIS)). L’argomentazione giuridica della corte d’appello risulta quindi immune dal vizio di violazione di legge contestato il primo motivo.
Va ora esaminato il sesto motivo, con il quale è stata censurata la decisione nella parte in cui ha escluso la invocata accessione del possesso, avendo tale questione priorità logica rispetto all’esame degli altri motivi, come meglio si vedrà infra.
Il motivo è infondato.
Il riferimento del ricorrente all’art. 345 c.p.c., che ha a oggetto le eccezioni non rilevabili d’ufficio, è fuori luogo, posto che, avendo il convenuto dedotto a fondamento della invocata usucapione l’accessione nel possesso, invocando quello esercitato dal di lui suocero, il giudice doveva verificare d’ufficio se ne ricorressero o meno i presupposti (conf. Cass. 4964/10); al riguardo va ricordato che, in tema di accessione nel possesso di cui al secondo comma dell’art. 1146 c.c., affinchè operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene. Pertanto, appare fuori luogo discutere se fosse o meno controverso che il ricorrente era subentrato nell’azienda del suocero, l’oggetto del thema decidendum riguardando piuttosto la possibilità per il convenuto di unire al proprio il possesso del terreno goduto dal suocero. E correttamente è stata esclusa l’astratta idoneità del titolo per difetto della forma scritta prevista per gli immobili (art. 1350 c.c.) al quale fa riferimento l’art. 2556 c.c., comma 1, anche nel testo anteriore alla modifica del 1993. E, ciò, a prescindere dal rilievo che il difetto di forma impedisce di verificare quali fossero i beni facenti parti dell’azienda e, quindi, se tra tali beni fosse compresa la proprietà del terreno de quo.
Il sesto motivo va quindi rigettato e a tale rigetto consegue la declaratoria di inammissibilità, per carenza di interesse, degli altri motivi, con i quali si censurano le argomentazioni sulla cui base la corte distrettuale ha escluso che il convenuto avesse dato prova del proprio possesso.
Poichè, infatti, il possesso del B. non potrebbe essere invocato per fondare l’usucapione del C. e l’eventuale possesso del C. (il cui inizio viene indicato dal ricorrente nel 1985, cfr. pag. 21 del ricorso) non avrebbe raggiunto il ventennio al dì della domanda giudiziale, la motivazione con la quale la corte distrettuale ha escluso l’accessione del possesso va considerata una ratio decidendi di per sè autonomamente idonea a sorreggere la sentenza impugnata; cosicchè i motivi dal secondo al quinto, se anche si rivelassero fondati, non potrebbero comunque portare alla cassazione della sentenza; d’onde la loro inammissibilità (cfr. Cass. 16602/2005).
In definitiva il primo ed il sesto mezzo di gravame vanno respinti e gli altri dichiarati inammissibili.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida, in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2016