Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19721 del 08/08/2017

Cassazione civile, sez. VI, 08/08/2017, (ud. 20/06/2017, dep.08/08/2017),  n. 19721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

T.I., rappr. e dif. dall’avv. Stefania Tescaroli, elett.

dom. presso lo studio dell’avv. Michele Damiani, in Roma, via Antoni

Mordini n. 14, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

R.C., rappr. e dif. dall’avv. Mauro Manfren, elett. dom.

presso il suo studio, in Venezia, Sestiere di Cannaregio 5783, come

da procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Venezia 3.4.2015, n. 878/2015

in R.G. 1962/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 20 giugno 2017 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

viste la memoria del ricorrente;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. T.I. impugna la sentenza App. Venezia 3.4.2015 n. 878/2015, con cui è stato respinto il proprio appello avverso la sentenza Trib. Venezia 4.7.2014 n.1478, per la parte in cui essa aveva confermato le condizioni della separazione giudiziale (risalente al 2006) con riguardo alla ripartizione paritaria delle spese straordinarie di sostentamento per la figlia, maggiorenne, non autosufficiente e residente nella casa coniugale (già in locazione alla coppia) e all’obbligo di assegno divorzile a favore della ex moglie per 1.500 Euro mensili (già ridotto dagli originari 2.000 Euro); con la stessa sentenza veniva altresì rigettato l’appello incidentale della R., che aveva chiesto fosse ripristinata la prima misura dell’assegno in suo favore;

2. la corte ha rilevato che entrambe le parti non avevano collaborato, in sede di attività delegata in primo grado al c.t.u., nella individuazione e messa a disposizione della documentazione fiscale, bancaria e societaria idonea a meglio sorreggere la ricostruzione più anaiitica dei rispettivi redditi attuali, da pregumere per entrambi maggiori di quelli emersi (ma non provati nelle loro entità e modalità di conseguimento), nonchè degli oneri gravanti per le sistemazioni abitative, ciò integrando una condotta processuale cui imputare ogni eventuale limite dell’elaborato peritale ed il conseguente rigetto dei gravami;

3. con quattro motivi T. deduce l’omessa pronuncia sull’eccezione con cui veniva contestato il mancato ordine alla R. (e alla società di cui era socia) di produrre i documenti reddituali, la violazione dell’obbligo di disporre, in caso di insufficienza delle fonti, nuova c.t.u. o integrazione della precedente, il vizio di motivazione sui redditi della appellata e le osservazioni alla c.t.u.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo e il secondo motivo sono inammissibili, applicandosi alla censura – peraltro del tutto generica, nè specificativa della esistenza e della concludenza della pretesa documentazione oggetto di mancato ingresso in giudizio, quanto al primo motivo e priva di riferimenti normativi, quanto al secondo – il principio per cui “la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge” (Cass. 21603/2013); invero ed inoltre “il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (…) per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione.” (Cass. 6715/2013, 13716/2016);

2. il terzo e il quarto motivo sono a propria volta inammissibili avendo la corte dato specificamente atto della inutilizzabilità – in sede di rigetto delle domande – di circostanze ulteriori ed esterne a quelle, relative alle condizioni patrimoniali e reddituali dei coniugi e da questi fornite o consentite all’accesso tramite la c.t.u., stante la chiara riprovazione di non collaborazione di entrambe le parti alla base del riscontro di impossibilità, per quelle stesse circostanze, di pervenire a maggior precisione, dunque potendosi invocare il principio per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. s.u. 8053/2014);

3. nè la corte di merito ha mancato di indicare gli elementi positivi del proprio motivato convincimento in ordine ai presupposti del diritto all’assegno di mantenimento divorzile, anche scrutinati alla luce di Cass. 11504/2017, poichè in capo alla Righetti esplicita è stata la ricostruzione di una condizione economica complessivamente “più dimessa” di quella dell’ex coniuge, ma soprattutto incisa, sotto il profilo della indipendenza economica stessa, da fattori quali le “peggiorate condizioni fisiche”, la “età” e le “energie non più giovanili”, giustificanti a loro volta altresì la confermata misura di contribuzione;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e la condanna alle spese è statuita secondo la regola della soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità in favore di ciascun controricorrente, liquidate in Euro 5.100 (di cui 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2017

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