Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1972 del 29/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 29/01/2020), n.1972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21920/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

Schweigkofler Gmbh – Srl, con l’avv. Peter Platter, nel domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Manzi, in Roma, alla via

Federico Confalonieri, n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di II

grado di Bolzano, Sez. 1 n. 34/01/15 depositata in data 26/02/2015 e

non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria.

Fatto

RILEVATO

All’esito di verifica fiscale nei confronti della Schweigkofler Gmbh – srl, gerente attività di costruzioni edili, per gli anni di imposta 2004-2008 seguivano avvisi di accertamento per interposizione fittizia di manodopera, dei quali erano impugnati quelli per l’anno 2005 e 2006, ove il collegio di prossimità rigettava in toto il primo e accoglieva parzialmente il secondo, cui seguiva appello del contribuente.

Preme rilevare in questa sede che le altre pendenze venivano chiuse in diverse forme transattive previste dall’ordinamento, compreso l’accertamento relativo al 2005. Residuava dunque pendente il solo appello del contribuente sull’annualità 2006, per la quale veniva proposta istanza di autotutela da parte del privato, rigettata dall’Ufficio sul fondamentale argomento della tardività dell’appello e del sostanziale giudicato sulla sentenza di primo grado, per una certa parte anche favorevole al contribuente.

Impugna il diniego di autotutela la società citata, esitando un rigetto dal giudice di prossimità che ritiene trattarsi di duplicazione di questione, in allora pendente in appello. Tale pronuncia era gravata dalla contribuente, nel mentre veniva pronunciata la tardività dell’appello sull’avviso di accertamento 2006 (per il quale era stata richiesta e rifiutata l’autotutela), sancendo quindi il formale passaggio in giudicato della relativa sentenza di primo grado. Non di meno, il giudice d’appello ha fulminato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto corretto il diniego di autotutela, argomentando da una pronuncia della Terza Sezione di questa Corte che l’autotutela sia attività vincolata e che non potesse essere negata solo sul fatto di un asserito, ma all’epoca non ancora consacrato, passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che aveva in larga parte riconosciuto la legittimità dell’accertamento 2006, mentre avrebbe dovuto motivare diffusamente sul merito.

Avverso tale pronuncia ricorre l’Amministrazione finanziaria affidandosi ad unico motivo, cui replica con tempestivo controricorso la contribuente. In prossimità dell’udienza, la contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Con l’unico motivo di ricorso, la difesa erariale lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 2909 c.c., del D.L. n. 546 del 1994, art. 2 quater, del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, del D.L. n. 16 del 2012 e dei principi in materia di autotutela, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nella sostanza ci si duole che la CTP di II grado dovesse prendere atto dell’intervenuto giudicato e, in ogni caso, non potesse imporre all’Ufficio di accogliere o motivare diversamente l’autotutela, che è attività discrezionale. Diversamente opinando, si verrebbe a consentire al contribuente incorso in preclusioni e decadenze, di precostituirsi un nuovo termine a ricorrere chiedendo autotutela di un atto definitivo e poi impugnando il relativo diniego, portando così davanti al giudice una questione sostanziale la cui definizione era divenuta irretrattabile. Il che si traduce in un’inammissibile abuso del diritto a fini elusivi dei termini di legge, segnatamente processuali.

Più radicalmente e proprio in tema di processo tributario, già si è espressa questa Corte affermando come “Sul punto occorre ribadire che l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass. S.U., 3698/2009, Rv. 606565 – 01, Cass. n. 26458/2017, da ultimo Cass. n. 32281/2018).

Questo orientamento è stato rafforzato anche a seguito dell’intervento della Consulta. In realtà è noto che “Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili d’illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale, che giustificano l’esercizio di tale potere che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente” (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, ord. 04 aprile 2019, n. 9423; ord. 24 agosto 2018, n. 21146; si vedano anche Cass. sez. 6-5, ord. 17 maggio 2017, n. 12421; Cass. sez. 5, ord. 28 marzo 2016, n. 7616; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2015, n. 3442).

A tali principi, specifici dell’autotutela tributaria, non si è attenuta la CTP di II grado, sicchè il motivo è fondato.

In definitiva, il ricorso è fondato e dev’essere accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del grado di giudizio a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida Euro 7500/00, oltre a spese prenotate a debito. Doppio contributo se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 29 gennaio 2020

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