Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1972 del 25/01/2017
Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2017, (ud. 08/11/2016, dep.25/01/2017), n. 1972
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21553-2015 proposto da:
D.R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO
14, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PERSI, che la
rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
U.N.C.I. PESCA, UNIONE NAZIONALE COOPERATIVE ITALIANE DELLA PESCA E
ACQUACOLTURA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI, 44, presso lo
studio dell’avvocato ALESSANDRO PACE, che la rappresenta e difende
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
Direttore Centrale Entrate, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE
MATANO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18781/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA del 21/05/2014, depositata il 05/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Fabrizio Persi difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Giuseppe Matano difensore del controricorrente che
si riporta agli scritti.
Fatto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
D.R.S. propone ricorso per revocazione della sentenza della Cassazione n. 18781 del 2014 che, per quel che interessa, ha ritenuto infondata la domanda di condanna al pagamento dell’indennità di maternità prevista anche per le lavoratrici autonome sul rilievo che legittimato passivo non sarebbe il datore di lavoro ma l’Inps.
Sostiene la ricorrente che così facendo la Corte non si sarebbe avveduta che effettivamente tale domanda era stata sin dal primo grado proposta anche nei confronti dell’Istituto ed era stato denunciato come error in procedendo avendo la Corte territoriale omesso di pronunciarsi al riguardo.
Si sono costituiti sia l’U.N.C.I. Pesca – Unione Nazionale Cooperative Italiane della Pesca e Acquacoltura che l’Inps insistendo entrambe per l’inammissibilità del ricorso e sottolineando l’UNCI la propria carenza di legittimazione passiva mentre l’Inps ne ribadisce comunque l’infondatezza.
Tanto premesso il ricorso è inammissibile.
Va rilevato infatti che la sentenza di cui si chiede la revocazione è fondata su una duplice ratio decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la statuizione di rigetto del ricorso.
La Corte ha infatti accertato che il ricorso era stato redatto in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 3 riproducendo pedissequamente l’intero letterale contenuto degli atti processuali senza la necessaria selezione di quanto rilevante ai fini dei motivi di ricorso.
Per altro verso, poi, lo ha rigettato analizzando singolarmente le censure che ha ritenuto destituite di fondamento.
Ne consegue che l’affermazione, contenuta nella sentenza, che la domanda subordinata di condanna alla corresponsione dell’indennità di maternità in favore della ricorrente anche quale lavoratrice autonoma avrebbe dovuto essere proposta nei confronti dell’Inps unico legittimato passivamente – non costituisce comunque un errore decisivo ed essenziale che autorizzerebbe, in ipotesi, la revocazione della sentenza.
Il fatto che si assume erroneo (proposizione della domanda nei confronti del solo datore di lavoro e non anche dell’Inps) non costituisce, infatti, l’unico fondamento della decisione di cui oggi si chiede la revocazione atteso che il ricorso era stato comunque ritenuto inammissibile a cagione della sua predisposizione in violazione dei canoni dettati dall’art. 366 c.p.c., comma 3.
Come è noto infatti per aversi errore revocatorio è necessario che l’errato apprezzamento del fatto da parte del giudice deve costituire l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica della decisione, sicchè tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (v. Cass. s.u. n. 1666 del 2009 e tra le tante v. Cass n. 1325 del 2012 e ivi le richiamate nn. 9396 e 2425 del 2006 e n. 9505 del 2002). Ma tale condizione non può ritenersi realizzata in un caso in cui come nella specie – il ricorso prima ancora che infondato sia stato ritenuto inammissibile.
Per tutto quanto sopra considerato, ex art. 375 c.p.c., n. 5, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
L’avvenuta ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio lo esonera dal versamento del contributo unificato.
PQM
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di revocazione che si liquidano in Euro 3500,00 per compensi professionali oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori come per legge.
Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017