Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1972 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 24/01/2022), n.1972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11498-2020 proposto da:

IMMOBILIARE DANTE SOCIETA’ AGRICOLA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO NAPOLITANO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA MILITERNO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2105/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 12/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Immobiliare Dante società agricola s.p.a. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ravenna, che aveva rigettato il ricorso della medesima contribuente avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro ed ipotecaria con il quale l’Agenzia delle entrate aveva riqualificato come cessione d’azienda una serie di diversi contratti (come si legge nella sentenza “quattro contratti di vendita di conclusi nel 2011 con tale B.G., di titoli PAC, trattori, macchinari ed attrezzature agricole, di comodato di terreni e pertinenze ed infine di vendita dei medesimi beni già oggetto di comodato”) tra la stessa s.r.l. ed un terzo, ritenendoli collegati e sottoponendo l’operazione complessiva, così riqualificata, all’imposizione in misura proporzionale.

L’Amministrazione si è costituita con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c., assumendo l’assenza di una motivazione effettiva della decisione impugnata in ordine alla configurabilità di una cessione negoziale realizzata attraverso i negozi in questione, anche ove dovessero in ipotesi ritenersi tra loro collegati.

2. Con il secondo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, così come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), in ragione dell’interpretazione autentica di cui alla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084.

Assume infatti la ricorrente che per effetto di tale complesso normativo, costituente ius superveniens ignorato dalla CTR, pur se invocato dalla contribuente appellante nella memoria conclusiva depositata in secondo grado, sarebbe inapplicabile l’imposta di registro in misura proporzionale a singoli atti i quali, secondo l’Ufficio, unitaria mente considerati, avrebbero presentato natura di cessione di ramo d’azienda, avendo attribuito l’Amministrazione rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della contestata cessione, ad elementi extratestuali, rivenuti nei diversi atti in oggetto, sul presupposto di un loro collegamento negoziale o, comunque, di una loro preordinazione alla realizzazione di un risultato economico unitario.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e dell’art. 2555 c.c. e ss., assumendo che in ogni caso la volontà delle parti nel caso di specie era quella di porre in essere, con il contratto di compravendita di fondo rustico con soprastanti fabbricati, presentato per la registrazione, esclusivamente la compravendita di un terreno agricolo.

4. Con il quarto motivo la contribuente – in via espressamente subordinata (ovvero ove questa Corte “ritenga di superare i precedenti tre motivi”) – deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 194 del 2009, art. 2, comma 4-bis, convertito nella L. 25 del 2010, la legge D.P.R. n. 131 del 1986, e dell’art. 2555 c.c. e ss., assumendo che in ogni caso, ove pure dovesse riqualificarsi la serie di atti in questione in termini di una complessiva ed unitaria fattispecie di cessione d’azienda agricola, sarebbe comunque applicabile la menzionata fattispecie legale agevolativa di cui alla rubrica del mezzo, invocata dalla contribuente già nel merito, ma negata dalla CTR sul presupposto, erroneo secondo la ricorrente, che essa non comprenderebbe anche il trasferimento di un’azienda agricola.

5. Appare opportuno anticipare la trattazione del secondo motivo, per la sua potenziale capacità assorbente degli altri tre (i quali censurano la decisione impugnata ove pure fosse in ipotesi legittima la contestata considerazione complessiva ed unitaria, ai fini impositivi che qui rilevano, della serie di atti negoziali in questione). Il secondo motivo è fondato.

Infatti il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella versione in origine applicabile ratione temporis, stabiliva che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Nell’interpretazione giurisprudenziale di tale disposizione prevaleva l’orientamento costante secondo cui, nella lettura degli atti registrati, dovesse prevalere la sostanza della loro natura funzionale e dei loro effetti giuridici, piuttosto che il loro titolo, derivante dal relativo tipo negoziale, e la loro forma (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).

Isolate, invece, sono rimaste quelle pronunce nelle quali si è detto che l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti al contratto, non potesse travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile, salva la prova, da parte sua, sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici (cfr. Cass., ord., 15 gennaio 2020, n. 722; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2954).

Con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, è stato così modificato: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Questa Corte, nell’interpretare la nuova formulazione della norma, ha ritenuto che essa abbia ristretto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (Cass. ord. 23 settembre 2019, n. 23549).

Successivamente, la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ha disposto che “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1″.

Pertanto il legislatore, a fronte di un’interpretazione giurisprudenziale che escludeva che la novella di cui alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), avesse effetto retroattivo (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2207), ha esplicitato, con l’interpretazione autentica offerta dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, l’intenzione di attribuire efficacia retroattiva alla nuova versione del ridetto il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (cfr. Cass. ord. 23/09/2019, n. 23549).

Investita da questa Corte, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, sollevata in relazione agli artt. 3 e 53 Cost..

Con la successiva sentenza n. 39 del 16 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost..

Il giudice delle leggi ha osservato che il legislatore ” ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico” (Corte Cost. sent. n. 158 del 2020). Ed ha aggiunto che un’ interpretazione dell’art. 20, che fosse basata sulla nozione di causa reale “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale” (Corte Cost. sent. n. 158 del 2020), sebbene pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea.

Fermo restando, comunque, che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possano rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (né, comunque, potrebbe in ipotesi riqualificarsi l’atto impositivo come emesso in ragione di disposizioni antielusive, ove non contenga anche la contestazione della violazione di queste ultime, pena un inammissibile allargamento del thema decidendum a presupposti di fatto e di diritto non contestati con l’atto impugnato: così Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9065 del 01/04/2021, in motivazione).

All’esito dell’intervento della Corte costituzionale, è stato quindi affermato che “In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, cui, ai sensi della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, va riconosciuta efficacia retroattiva (norme ritenute esenti da profili di illegittimità dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con sentenze n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021), deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9065 del 01/04/2021, cit.).

Ed è stato ritenuto che “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 – nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo la L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intrinseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 10688 del 22/04/2021).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (così come interpretato alla luce della norma di interpretazione autentica introdotta con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a); delle predette pronunce della Corte Costituzionale; e del richiamato orientamento conseguente di questa Corte) poiché ha erroneamente ritenuto applicabile l’imposta di registro, in misura proporzionale, a singoli atti i quali, secondo l’Ufficio, collegati ed unitariamente considerati, presentavano natura di cessione d’azienda, attribuendo l’Amministrazione rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della contestata cessione, ad elementi extratestuali, rivenuti nei diversi atti in oggetto, sul presupposto di un loro collegamento negoziale o, comunque, di una loro preordinazione alla realizzazione di un risultato economico unitario.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo perché, effettuati i necessari accertamenti e decisa ogni questione rimasta assorbita nel merito, provveda applicando i predetti principi.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi.

PQM

Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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