Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19718 del 22/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 22/09/2020), n.19718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35006-2018 proposto da:

I.V., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONINO NOVELLO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTIRO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 212/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il giorno 30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in atti si impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catania, attinta dal ricorrente ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, e art. 702-quater c.p.c., ha confermato il pronunciato diniego in primo grado delle misure di protezione internazionale ed umanitaria e se ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5, avendo il ricorrente, diversamente da quanto argomentato) dal decidente del grado, fornito un racconto del tutto circostanziato e verosimile delle vicende sofferte, a fronte del quale la circostanza che non fosse stata fornita alcuna prova dell’inerzia delle autorità governative era stata valorizzata dalla decisione in violazione del dovere di cooperazione istruttoria e del principio di attenuazione dell’onere probatorio vigenti in materia; 2) della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo il decidente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria sulla scorta di un esame non sufficientemente adeguato delle circostanze documentanti lo stato di diffusione di atti di violenza incontrollati; 3) della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, avendo il decidente del pari denegato il riconoscimento della protezione umanitaria quantunque alla luce delle circostanze già allegate ai fini del conseguimento delle altre misure se ne dovessero ritenere sussistenti tutti i presupposti.

Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Va previamente dichiarata la procedibilità del ricorso, poichè a fronte del mancato deposito di esso nel termine dell’art. 369 c.p.c., comma 1, è ravvisabile, in relazione a quanto documentato dal ricorrente, l’errore scusabile in cui il medesimo è incorso, non essendogli invero imputabile l’erronea restituzione del plico inviato ai fini in discorso con spedizione tempestiva e con esatta indicazione della Cancelleria della Corte di Cassazione come destinataria.

3. Il primo motivo, sfrondato della violazione processuale che non ha fondamento alcuno, è, per il resto, affetto da pregiudiziale inammissibilità non cogliendo la sua declinazione la ratio decidendi del provvedimento impugnato ed interloquendo, per contro, su un profilo di giudizio non decisivo.

Mentre, per vero, il motivo lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria e del principio dell’onere della prova attenuato per non aver il giudicante approfondito i profili inerenti la condotta delle autorità governative, inerti e tolleranti di fronte alle azioni di “terroristi o gruppi sociali e violenti”, la decisione impugnata si è data cura al contrario di chiarire, riconducendo la vicenda in questione nel perimetro processuale di un apprezzamento di fatto, che “la circostanza secondo cui lo zio del ricorrente è stato violento nei suoi confronti ed avrebbe ucciso il fratello per impossessarsi del patrimonio di famiglia costituisce un fatto, per quanto grave e spiacevole, del tutto privato e non vale pertanto in alcun modo a provare il rischio per il richiedente di subire quel danno grave derivante dal ritorno nel proprio paese di origine”.

Ne discende che, stante la natura privatistica della vicenda narrata, la violazione lamentata del dovere di cooperazione istruttoria, pur se astrattamente apprezzabile, non è però idonea a condurre a diverse conclusioni non essendo ravvisabile nella condotta del famigliare nè la sussistenza di atti persecutori, rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, nè l’esposizione al rischio di un danno grave richiesto ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, non risultando essere stata neppure allegata specificatamente dal ricorrente una condotta omissiva delle autorità nigeriane nei confronti di simili condotte private.

4. Il secondo motivo, al netto, come il primo, della violazione processuale – è del pari inammissibile poichè, pur allegando una pretesa violazione di legge – peraltro capitolata al di fuori di ogni canone vigente ai fini della sua deducibilità quale errore cassatorio -, lamenta in verità una doglianza puramente motivazionale non più perseguibile in questa sede ed ostenta, più in generale, un dissenso valutativo che, del pari, non può trovare qui seguito alcuno.

5. Il terzo motivo – scrutinabile anche laddove involge la valutazione di questioni di diritto intertemporale alla stregua del diritto vigente al tempo della domanda come di recente statuito dalle SS.UU. di questa Corte a composizione del contrasto insorto circa gli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito) in legge, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, art. 1, comma 1, sui giudizi pendenti (Cass., Sez. U, 13/11/2019 nn. 29459, 29460 e 29461) -, al netto anch’esso come i precedenti della violazione processuale, è inammissibile.

Esso, in quanto omette di allegare in tale direzione specifici elementi di valutazione – non essendo di per sè conferenti quelli dedotti a fondamento delle altre misure richieste – non si accorda infatti con lo statuto di concedibilità della misura, che postula, secondo l’insegnamento stabilmente invalso nella giurisprudenza di questa Corte – ed ora confermato dai citati arresti delle SS.131i. – una “valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass., Sez. I, 23/02/2018, n. 4455).

6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

7. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo ove dovuto.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

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