Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19717 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20414/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PILEGGI Antonio, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.M.;

– intimato –

sul ricorso 21649/2007 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALINA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PILEGGI ANTONIO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2486/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/07/2006 r.g.n. 10587/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PILEGGI ANTONIO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17 marzo 2006 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 6 febbraio 2003 ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra la Poste Italiane s.p.a. e T.M. con decorrenza 6 ottobre 1998 dichiarando che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da tale data.

La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando che le esigenze eccezionali che giustificherebbero l’apposizione del termine al rapporto di lavoro, devono comunque essere provate dal datore di lavoro, circostanza non avvenuta nella fattispecie in esame. La stessa Corte d’Appello ha poi riconosciuto le retribuzioni dovute al lavoratore dalla data in cui ha messo formalmente a disposizione le proprie energie lavorative individuata in quella della richiesta di convocazione del tentativo di conciliazione.

Propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza Poste Italiane articolandolo su due motivi.

Resiste con controricorso il T. chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per omessa formulazione dei quesiti di diritto, e comunque il suo rigetto in quanto infondato, e, svolgendo ricorso incidentale condizionato lamentando omessa motivazione su fatto decisivo della controversia e, in particolare, circa l’eccepita cessazione della pretesa efficacia dell’ipotesi individuata dalle parti collettive negli accordi del 25 settembre 1997, alla data del 30 aprile 1998, con conseguente nullità del termine apposto al contratto in questione anche sotto tale profilo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno riuniti perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 230 del 1962, alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed all’art. 1362 cod. civ., e segg., e contraddittoria pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia. In particolare si assume che detto accordo non conterrebbe alcuna limitazione temporale; che gli accordi ed i verbali intervenuti tra le parti successivamente al 25 settembre 1997 e sino al 18 gennaio 2001, non avevano natura negoziale ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto e della necessità di stipulare ulteriori contratti a termine; che i termini individuati negli accordi successivi a quello del 25 settembre 1997 non si riferiscono alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a termine ma alla durata delle assunzioni, una volta accertata la persistenza delle esigenze riorganizzati ve di cui all’accordo; che la posizione giuridica azionata nel giudizio potrebbe definirsi quale diritto quesito e quindi indisponibile da parte degli agenti contrattuali anche prima dell’accertamento giudiziale della sua esistenza.

Con il secondo motivo si lamenta che è stato disposto il pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data della messa in mora anzichè dalla data di ripresa del servizio in violazione del principio della corrispettività della prestazione.

Con il ricorso incidentale si assume che comunque l’efficacia del contratto collettivo che consente l’apposizione del termine ai contratti di lavoro, sarebbe comunque limitata al 30 aprile 1998, per cui il termine del contratto in questione sarebbe comunque illegittimo.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Sull’interpretazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, la giurisprudenza della Corte, a seguito dell’intervento delle Sezioni unite a composizione di contrasto di giurisprudenza (sentenza 2 marzo 2006, n. 4588), si è consolidata nel senso che le assunzioni disposte ai sensi della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla legge – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale -per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti. Nella fattispecie, l’accordo (integrativo del c.c.n.l.) 25.9.1997, secondo il contenuto della clausola pacifico tra le parti, autorizzava l’azienda postale alla stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine per le esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in relazione alla trasformazione giuridica dell’ente, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

In primo luogo, la formulazione letterale della disposizione contrattuale non contiene elementi idonei ad esprimere il riscontrato significato riduttivo, ne1 la sentenza del resto, ha compiuto alcun tentativo per individuarli. Ma è assorbente la considerazione che, come si desume agevolmente dal complesso delle considerazioni svolte in motivazione, il presupposto interpretativo, pur non esplicitato, è che soltanto così intesa la clausola collettiva sarebbe conforme a legge (art. 1367 c.c.).

Convincono di ciò i riferimenti alla necessaria temporaneità dell’autorizzazione all’impossibilità di ritenere vulnerato il rapporto tra regola (contratto a tempo indeterminato) ed eccezione (durata determinata). La sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art 1.

7. L’interpretazione dell’accordo è stata, perciò, condizionata dal pregiudizio che le parti stipulanti non avrebbero potuto esprimersi considerando le specificità di un settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, nella situazione attuale di affidamento ad un unico soggetto) – considerazioni, peraltro, che appaiono attinenti alla giustificazione dell’accordo, piuttosto che al suo contenuto precettivo – e autorizzando Poste Italiane S.p.A. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo.

Questo “pregiudizio”, erroneo alla stregua del principio di diritto sopra enunciato (vedi anche, con specifico riferimento all’accordo sindacale relativo a Poste Italiane S.P.A., Cass. n. 26678 e n. 26989 del 2005) spiega la mancanza di qualsiasi motivazione che giustifichi realmente l’interpretazione secondo cui l’accordo sindacale avrebbe autorizzato la stipulazione dei contratti di lavoro a termine solo nella sussistenza concreta di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze eccezionali richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni; al riguardo, elementi utili per l’interpretazione si sarebbero potuti ricavare dai successivi accordi sindacali sulla materia, esaminati in sentenza sotto il profilo della cessazione dell’efficacia dell’autorizzazione, a riprova del suo carattere eccezionale, ma, contraddittoriamente, non valutati per ricostruire in modo coerente l’intenzione delle parti quanto alla portata dell’autorizzazione stessa, proprio nel presupposto del suo carattere eccezionale.

Il secondo motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito di diritto proposto.

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 cod. civ., e segg.”.

Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque, anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v.

fra le altre Cass. 4-1-2001 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente indichi se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) sia stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15-2- 2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336). Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale manca del tutto il quesito) alcunchè di specifico viene poi indicato dalla ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16 maggio 2005 n. 10155, Cass. 20 giugno 2006 n. 14131, Cass. 10 agosto 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3 febbraio 1998 n. 1099).

Il ricorso incidentale è assorbito.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese in Euro 40,00, oltre ad Euro 2.500,00 per onorario, più spese generali, I.V.A. e C.P.A.. Distrazione in favore dell’avv. Roberto Rizzo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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