Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19715 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 22/07/2019), n.19715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10815-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZARIO

SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato PISTILLI MASSIMO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 351/2/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PERUGIA, depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO:

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della CTR dell’Umbria, di accoglimento dell’appello proposto dal contribuente B.F. avverso una pronuncia della CTP di Terni, di rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso il diniego di rimborso, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’IRPEF trattenuta sull’indennità versata al contribuente dal Ministero dell’istruzione, per avere quest’ultimo stipulato con il contribuente reiterati contratti di lavoro a tempo determinato in successione fra di loro per coprire esigenze lavorative non transitorie.

Diritto

CONSIDERATO:

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la ricorrente prospetta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente la CTR aveva escluso l’assoggettabilità a tassazione delle indennità risarcitorie percepite dalla contribuente in virtù di una sentenza del Tribunale di Viterbo sezione lavoro, atteso che tutte le indennità aventi causa o che comunque traevano origine dal rapporto di lavoro erano soggette a tassazione; ed era onere della contribuente provare che l’indennità percepita si riferisse a voci di risarcimento c.d. “puro”, siccome riconducibili a danni alla persona od alla personalità, ovvero rientrassero nell’ambito del danno non patrimoniale; al contrario, nella specie, la sentenza del Tribunale di Viterbo aveva avuto l’intento di riconoscere alla contribuente un risarcimento del danno da mancato guadagno, derivante dalla mancata stipula di un contratto a tempo indeterminato e dalla conseguente perdita del lavoro e della retribuzione;

che l’intimato si è costituito con controricorso;

che il motivo di ricorso in esame è infondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 23795 del 2010; Cass. n. 25080 del 2015; Cass. n. 25471 del 2018), in tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente, dall’esame del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6 comma 2, si ricava che, per negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro e, qualora ciò non venga positivamente escluso, che detta erogazione, in base ad un’approfondita disanima della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà in redditi sostituiti, ovvero nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od interruzione del rapporto di lavoro;

che, nella specie, la sentenza impugnata ha rilevato come l’indennità corrisposta al contribuente fosse inquadrabile nell’ambito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 e, stante il divieto nel pubblico impiego di trasformare un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato, configurasse un danno da perdita di chance, in quanto il lavoratore che aveva più volte subito un’illegittima apposizione di termini al suo rapporto di lavoro, con la stipula di reiterati contratti a termine, era rimasto ingiustamente confinato in una situazione d’incertezza e di precarietà, si che il risarcimento da lui ottenuto era da qualificare come derivante da perdita di chance, per essere stato egli privato della possibilità di sviluppi e progressioni nella sua attività professionale, siccome ingiustamente escluso dai concorsi per la progressione in carriera;

che pertanto il ricorso va respinto e la condanna alle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.000,00, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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