Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19715 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 21/09/2020), n.19715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30454-2018 proposto da:

P.E., R.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MAGNA GRECIA 84, presso lo studio dell’avvocato MARIA DONATA

TORTORICI, che li rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE LEPORACE;

– controricorrente –

contro

PR.GA., AI.CA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1266/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.L., P.E. e R.F. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Cosenza, A.D., Pr.Ga. e Ai.Ca., chiedendo che fosse riconosciuto il loro diritto di riscatto agrario, quali proprietari coltivatori diretti di fondo confinante, in relazione ad un terreno che la A. aveva acquistato dai proprietari Pr. ed Ai. senza che gliene fosse data notizia ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione.

Si costituirono in giudizio i convenutili quali chiesero il rigetto della domanda, contestando l’esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’esercizio del riscatto. La A. propose anche domanda riconvenzionale nei confronti dei venditori per il rimborso della somma di Euro 100.000 a titolo di miglioramenti apportati al fondo.

Espletata una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda in favore di R.L. e di P.E., dichiarò sussistente il diritto di riscatto e trasferì in favore degli attori la proprietà del fondo in questione, dietro condizione di pagamento del prezzo, rigettando la domanda di R.F. per difetto di legittimazione attiva.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla A. e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 22 giugno 2018, ha accolto l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda di riscatto ed ha condannato gli originari attori al pagamento delle spese del doppio grado.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che il diritto di riscatto agrario è sottoposto alle condizioni di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, le quali devono tutte coesistere e devono essere provate da chi agisce per il riconoscimento dello stesso. In tale materia trova applicazione, anche prima della modifica di cui all’art. 115 c.p.c., il principio di non contestazione, il quale, però, va coordinato con quello di allegazione. Nella specie, gli attori avevano allegato nell’atto di citazione di essere proprietari e coltivatori diretti di un fondo confinante con quello oggetto del riscatto, di aver coltivato il loro fondo con forza lavoro propria e di non aver venduto terreni nel biennio precedente. Nulla avevano detto, però, in ordine agli ulteriori requisiti di legge, in particolare in ordine al possesso della forza lavoro adeguata; di talchè i convenuti, in assenza di un’effettiva allegazione, non avevano potuto neppure esercitare il loro diritto di contestazione. Conseguiva da ciò che gli attori avrebbero dovuto dimostrare anche l’esistenza di tale requisito e, non avendolo fatto, la domanda doveva essere rigettata per mancanza di prova.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorrono R.L. e P.E. con unico atto affidato a due motivi. Resiste A.D. con controricorso.

Pr.Ga. e Ai.Ca. non hanno svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Sostengono i ricorrenti che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto nella giusta considerazione la documentazione da loro prodotta, proveniente dalla Regione Calabria, Assessorato dell’agricoltura e foreste, dalla quale risultava che il nucleo familiare dei riscattanti aveva una capacità di lavoro non inferiore al terzo di quella normalmente occorrente per la coltivazione dei terreni in questione. Tale documento, di fondamentale importanza e correttamente considerato dal Tribunale, non era stato invece valutato dalla Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 167 c.p.c..

I ricorrenti osservano di avere depositato una “copiosa documentazione” idonea a fornire una prova piena di tutti i requisiti indicati dalla legge per l’esercizio del riscatto. I convenuti, quindi, avrebbero dovuto contestare in modo adeguato l’esistenza di tali requisiti; in difetto di tale contestazione, essi erano da ritenere dimostrati, per cui la domanda avrebbe dovuto essere accolta.

3. I due motivi, benchè tra loro diversi, possono essere trattati congiuntamente e, oltre a presentare evidenti profili di inammissibilità, sono comunque privi di fondamento.

3.1. Rileva innanzitutto il Collegio, in ordine al primo motivo, che la censura, come correttamente eccepito nel controricorso, è inammissibile in quanto prospettata con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6). I ricorrenti, infatti, richiamano una certificazione proveniente dalla Regione Calabria, asseritamente datata 22 settembre 1998, dalla quale risulterebbe la prova del requisito che la Corte d’appello ha ritenuto mancante; ma di tale documento non si dice nè dove, nè come o quando esso sia stato messo a disposizione di questa Corte.

Nè può essere trascurato il fatto che l’atto di compravendita in favore della A. è del 28 novembre 2001 e che la presente causa è stata introdotta nel 2002, per cui quella certificazione non potrebbe che riferirsi alla situazione esistente in quella data (22 settembre 1998) e, come tale, non sarebbe in grado di descrivere la situazione del fondo nel momento di inizio della causa, ai fini del possesso del requisito della forza lavoro adeguata.

3.2. Quanto, invece, alla lamentata violazione dell’art. 167 c.p.c., il Collegio rileva che la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che il principio di non contestazione trova applicazione anche nei giudizi di riscatto agrario, per cui, se la sussistenza di alcuni dei requisiti di legge non è contestata, la circostanza non deve più essere oggetto di prova (sentenze 9 marzo 2012, n. 3727, 20 agosto 2015, n. 17009, e 17 giugno 2016, n. 12517). Tale principio, però, deve essere coordinato con quello di allegazione, per cui a fronte di una generica indicazione, da parte del retraente, del possesso dei requisiti di legge per il riscatto, anche il convenuto potrà limitarsi ad una generica contestazione, rimanendo in tal modo l’onere della prova integralmente a carico dell’attore (v. la sentenza 19 ottobre 2016, n. 21075, ribadita e ulteriormente specificata dalla successiva ordinanza 10 maggio 2018, n. 11252).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha osservato – con un’affermazione che, in effetti, non è stata contestata – che gli attori nulla avevano allegato in ordine alla sussistenza delle ulteriori condizioni soggettive e oggettive previste dalla legge, “in particolare in merito al possesso della forza lavorativa adeguata”. Ne consegue che, in assenza di ogni indicazione da parte degli attori, la parte convenuta non è stata messa in condizione di compiere alcuna contestazione (come correttamente rilevato dalla Corte di merito); ovvero, richiamando la suindicata ordinanza n. 11252 del 2018, il Collegio rileva che se l’allegazione dell’attore è generica e la contestazione del convenuto è altrettanto generica, “d’attore ha l’onere di provare i fatti allegati”.

Nessuna violazione del principio di non contestazione, pertanto, è ravvisabile nella sentenza impugnata.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

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