Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19715 del 03/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 03/10/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 03/10/2016), n.19715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7134/2012 proposto da:

P. P P. & C. SAS, (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in EMPOLI, VIA P. MASCAGNI 8, presso lo studio dell’avvocato FABIO

BECONCINI, che lo rappresenta e difende con procura speciale

notarile rep. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

BOTTONIFICIO PADANO SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato ROSA ALBA

GRASSO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 157/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 01/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato BECONCINI Fabio, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento delle difese esposte in atti;

udito l’Avvocato D’AGOSTINO Oronzo con delega dell’Avvocato GRASSO

Rosa Alba difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi alle

difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo e per il rigetto dei restanti motivi del ricorso principale e

per il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Bottonificio Padano spa, con lettera 5/6/2000, comunicò alla ditta P. P. P. & C. sas – propria agente per le regioni Toscana, Abruzzo, Marche, Molise ed Umbria – la limitazione alla sola Toscana dell’area assegnata per l’espletamento dell’attività di agenzia; con lettera del 29/6/2000 la ditta P. replicò alla preponente che, a termini dell’A.E.C., la comunicazione del (OMISSIS) doveva intendersi come preavviso di cessazione del rapporto ad iniziativa della mandante.

Il contenzioso successivamente sviluppatosi fra le parti venne risolto dal tribunale di Pistoia con il rigetto di tutte le domande giudizialmente proposte dall’agente nei confronti della preponente; la corte d’appello di Firenze, adita dall’agente, riformò parzialmente la sentenza di primo grado, adottando le seguenti decisioni:

a) dichiarò che il contratto di agenzia era cessato ad iniziativa della preponente; a fondamento di tale statuizione la corte fiorentina argomentò che:

nella specie fossero irrilevanti le divergenze sull’interpretazione dell’art. 2 A.E.C., che regola le conseguenze delle variazioni unilaterali del contratto ad iniziativa del preponente, giacchè la riduzione dell’ambito territoriale era stata così drastica non potersi qualificare come variazione di lieve entità; sarebbe stato quindi onere della preponente dimostrare che i proventi del lavoro svolto nella sola Toscana fossero talmente preponderanti rispetto a quelli imputabili alle altre quattro regioni da far valutare come trascurabile il territorio sottratto e, conseguentemente, di lieve entità la variazione;

l’esistenza di un accordo tra le parti in ordine alla variazione dell’area assegnata alla P. sas non poteva essere provata per testimoni, soggiacendo il contratto di agenzia al regime della forma scritta ad probationem non soltanto alla stregua del testo dell’art. 1742 c.c., introdotto dal D.Lgs. n. 303 del 1991, ma anche alla stregua della previgente disciplina collettiva, che già prevedeva la necessità della precisazione delle condizioni contrattuali (tra cui la definizione della zona assegnata all’agente) “per iscritto in un unico documento”;

b) giudicò ammissibile la domanda della P. sas di condanna della preponente al pagamento di provvigioni non contabilizzate (giudicata invece inammissibile dal tribunale perchè proposta tardivamente); tale domanda fu tuttavia accolta solo in relazione ai crediti maturati dalla P. sas nel periodo dal (OMISSIS), per complessivi Euro 3.951,30, mentre fu giudicata non provata l’esistenza dei crediti provvigionali non contabilizzati per gli anni anteriori al (OMISSIS);

c) confermò nel resto la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione tanto la ditta P., in via principale, quanto il Bottonificio Padano, in via incidentale.

Il ricorso della P. sas si articola su tre motivi.

Con il primo, riferito promiscuamente ai vizi di violazione di legge (art. 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 180 c.p.c.) si censura la statuizione con cui la corte d’appello ha rigettato la domanda dell’agente di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c..

Con il secondo e con il terzo motivo, entrambi riferiti al vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., la ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia, rispettivamente omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di indennità di preavviso (pur riconoscendo, in riforma della sentenza di primo grado, che il rapporto era cessato per iniziativa della proponente);

omesso di pronunciarsi sulla domanda di pagamento della somma di Euro 62.114,86 a titolo di provvigioni per ordini acquisiti dall’agente e non contabilizzati dalla proponente; in particolare nel motivo di ricorso si lamenta che la corte abbia limitato la propria pronuncia condannatoria alla somma di Euro 3.951,30, corrispondente alle provvigioni non contabilizzate, trascurando gli importi calcolati dal consulente in relazione alle provvigioni contabilizzate con una percentuale (del 3,5%), inferiore a quella pattuita per iscritto (del 7%).

Il Bottonificio Padano si è costituito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale su tre motivi e censurando la sentenza gravata, con i primi due motivi, per aver ritenuto che la riduzione dell’area oggetto del mandato di agenzia fosse qualificabile come recesso del proponente dal rapporto, senza considerare che:

1) la circostanza che la suddetta riduzione avesse modificato sensibilmente il contenuto economico del rapporto non sarebbe stata giudizialmente dimostrata (primo motivo);

2) il ritenuto divieto di provare per testi il fatto che la riduzione della zona oggetto del mandato fosse stata concordata tra le parti sarebbe stato insussistente, sia perchè il contratto era stato stipulato prima della modifica del testo dell’art. 1742 c.c., sia perchè, comunque, tale testo richiederebbe la prova scritta con riguardo all’esistenza, ma non con riguardo al contenuto, del contratto di agenzia.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale, infine, il Bottonificio censura la sentenza gravata per aver ritenuto ammissibile, riformando sul punto la sentenza di primo grado, la domanda dell’agente relativa al pagamento delle provvigioni non contabilizzate maturate sugli affari conclusi nella sua zona di esclusiva direttamente dalla proponente; domanda che, secondo il ricorrente incidentale, doveva ritenersi inammissibile, perchè non proposta nella citazione introduttiva ma soltanto in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 18.5.16, per la quale solo la ricorrente principale ha depositato una memoria illustrative ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso principale, riferito promiscuamente ai vizi di violazione di legge (art. 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 180 c.p.c.) si censura la statuizione con cui la corte d’appello ha rigettato la domanda dell’agente di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c.. Secondo la ricorrente la corte territoriale avrebbe violato le disposizioni sopra richiamate giudicando non provati i presupposti di cui dell’art. 1751 c.c., comma 2 e, in particolare, giudicando non dimostrato “che all’incremento delle provvigioni sia corrisposto l’incremento del portafoglio clienti e che dell’incremento degli affari la preponente stessa possa continuare a beneficiare”; ciò in quanto, si argomenta nel motivo di ricorso, la preponente non avrebbe contestato la sussistenza dei presupposti di fatto per il riconoscimento della liquidazione dell’indennità di fine rapporto cosicchè, per un verso, tali fatti dovevano ritenersi non contestati (donde la violazione dell’art. 115 c.p.c.) e, per altro verso, la sentenza risulterebbe viziata di ultrapetizione per essersi il giudice pronunciato su una eccezione non proposta dalla proponente (donde la violazione dell’art. 112 c.p.c.).

Il motivo va giudicata infondato, in quanto, come più volte affermato da questa Corte (da ultimo nella sentenza 3023/16), il principio di non contestazione, con conseguente “relevatio” dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione. Nella specie – premesso che, a mente dell’art. 1751 c.c., comma 2, il diritto all’indennità di risoluzione del rapporto presuppone che “l’agente abbia procurato nuovi clienti al proponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il proponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti” – il Collegio rileva che l’allegazione dei fatti costitutivi all’indennità di risoluzione operata nella citazione introduttiva, per come trascritta a pagina 23 del ricorso per cassazione, è assolutamente generica, limitandosi ad una riproduzione del testo dell’art. 1751 c.c., comma 2, corredata da espressioni meramente valutative come: “notevolmente incrementato”, “moltissimi nuovi clienti”.

L’allegazione in fatto di parte attrice non consentiva, quindi, un’applicazione del principio di non contestazione che la sollevasse dall’onere di provare i presupposti fattuali del diritto all’indennità di risoluzione del rapporto da lei vantato. La censura mossa nei confronti della sentenza gravata col primo mezzo di ricorso va pertanto giudicata infondata.

Con il secondo motivo del ricorso principale, riferito al vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., la ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di indennità di preavviso (pur riconoscendo, in riforma della sentenza di primo grado, che il rapporto era cessato per iniziativa della proponente).

Il motivo è fondato. In effetti la corte territoriale, pur attribuendo la cessazione del rapporto di agenzia all’iniziativa della mandante, non ha adottato alcuna statuizione sulla domanda di indennità di preavviso proposta dalla P. sas, ancorchè tale domanda risulti riportata nel punto C delle conclusioni della stessa P. sas trascritte nell’epigrafe della sentenza gravata.

Con il terzo motivo del ricorso principale, anch’esso riferito al vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., la ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda di pagamento della somma di Euro 62.114,86 a titolo di provvigioni per ordini acquisiti dall’agente e non contabilizzati dalla proponente; in particolare, nel motivo di ricorso si lamenta che la corte abbia limitato la propria pronuncia condannatoria alla somma di Euro 3.951,30, corrispondente alle provvigioni non contabilizzate, trascurando gli importi calcolati dal consulente in relazione alle provvigioni contabilizzate con una percentuale (del 3,5%), inferiore a quella pattuita per iscritto (del 7%). Il motivo è infondato perchè la corte fiorentina non ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna alle provvigioni maturate sugli affari promossi dall’agente, ma si è pronunciata determinando l’entità del credito riconosciuto nell’importo di Euro 3.951,30, invece che nell’importo di Euro 62.114,86 preteso dall’attrice. Non sussiste dunque alcuna omissione di pronuncia, ma una pronuncia che ha disatteso la domanda di parte attrice per la parte eccedente l’importo giudizialmente accertato. Il riferimento svolto nel mezzo di ricorso alle risultanze della c.t.u. asseritamente trascurate dalla corte territoriale potrebbe astrattamente rilevare nella prospettiva di una censura di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma risulta del tutto inidoneo a sostanziare una denuncia di nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4.

Il ricorso principale va dunque in definitiva accolto soltanto con riferimento al secondo motivo.

Passando all’esame del ricorso incidentale, il Collegio rileva quanto segue.

Con il primo motivo – riferito al vizio di violazione di legge (con riferimento all’art. 2, comma 3, AEC 16/11/88 ed all’art. 2697 c.c.) e al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, concernente l’accertamento dell’entità della variazione di zona – il ricorrente incidentale svolge una duplice censura.

Con la prima censura si deduce che la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sufficiente, per equiparare la variazione di zona ad un preavviso di recesso, il fatto che la variazione non fosse “di lieve entità”, laddove l’art. 2, comma 3, AEC 16/11/88 collegherebbe alla “non lieve entità” l’esonero del proponente dall’onere di comunicare la variazione di zona per iscritto, mentre, per l’equiparazione della variazione di zona alla cessazione del rapporto ad iniziativa del mandante, richiederebbe che la variazione sia “di entità tale da modificare sensibilmente il contenuto economico del rapporto”. La censura va disattesa, perchè l’argomentazione su cui si fonda è coerente con la disciplina dettata dall’AEC 20/3/02 (il cui articolo 2, quinto comma, recita: “Qualora l’agente o rappresentante comunichi, entro trenta giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante”), ma non con la disciplina dettata dall’AEC 16/11/88, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame. L’art. 2, comma 3, dell’AEC 16/11/88, dettando una disciplina applicabile a tutte le variazioni di zona – esclusi (soltanto) “i casi di lieve entità” – prevede: – la comunicazione scritta con preavviso (di durata variabile a seconda che si tratti o meno di agenti monomandatari);

– l’equiparazione della durata del preavviso a quella prevista per la risoluzione del rapporto, qualora la variazione di zona modifichi sensibilmente, o meno, il contenuto economico del rapporto;

– l’equiparazione della variazione di zona al preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza nel caso in cui l’agente o il rappresentante comunichi, entro 30 giorni, di non accettare le variazioni previste.

Nell’A.E.C. del 1988, dunque, il fatto che la variazione di zona modifichi sensibilmente il contenuto economico del rapporto rileva ai soli fini della durata del preavviso (che, in detta ipotesi, viene equiparata alla durata del preavviso per la risoluzione del rapporto), mentre l’equiparazione della variazione di zona al preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, nel caso in cui l’agente o il rappresentante comunichi entro 30 giorni di non accettare le variazioni, opera – come correttamente affermato nella sentenza gravata – per tutte le variazioni di zona di non lieve entità, anche quando le stesse non modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto.

Con la seconda censura del primo motivo del ricorso incidentale il Bottonificio Padano deduce che la corte d’appello avrebbe errato nel non svolgere alcuna verifica in ordine alla entità della modifica del contenuto economico del rapporto causata dalla variazione di zona, dando per scontato che si trattasse di una modifica di non lieve entità solo in ragione del numero delle regioni sottratte all’area del mandato.

Anche la seconda censura va disattesa giacchè – a fronte del giudizio di fatto del giudice di merito secondo cui la variazione di zona disposta dal preponente sarebbe stata di non lieve entità, in ragione del numero delle regioni sottratte alla zona affidata all’agente – sarebbe stato onere del ricorrente dedurre (e indicare dove avesse dedotto in sede di merito) gli elementi di fatto trascurati dalla sentenza gravata e idonei, se valutati, ad inficiare il ragionamento decisorio in tale sentenza sviluppato.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale – riferito al vizio di violazione di legge (con riferimento all’art. 1742 c.c., comma 2) – il Bottonificio Padano censura l’affermazione della corte distrettuale che ha ritenuto inammissibile la prova per testi di un accordo tra preponente ed agente sulla variazione di zona.

La doglianza si fonda su due rilievi.

Con il primo rilievo il ricorrente incidentale argomenta che il contratto di agenzia era stato stipulato prima dell’entrata in vigore del vigente testo dell’art. 1742 c.c., introdotto dal D.Lgs. n. 303 del 1991.

Il rilievo non è concludente, giacchè secondo il prevalente indirizzo di questa Corte – che ha superato il precedente citato dal ricorrente incidentale (sent. n. 196/98) ed a cui il Collegio ritiene di uniformarsi – il contratto di agenzia, pur se stipulato prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 1742 c.c., introdotta col D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, di attuazione della direttiva CEE n. 86/653, richiede la forma scritta perchè la stessa è prevista dalla contrattazione collettiva di settore; vedi, in termini, sent. n. 16377/04 e, in precedenza, sentt. nn. 4167/96 e 4540/97.

Con il secondo rilievo il ricorrente incidentale argomenta che l’art. 1742 c.c., ove ritenuto applicabile, richiederebbe la prova scritta con riguardo all’esistenza, ma non con riguardo al contenuto, del contratto di agenzia. Il rilievo è infondato. Premesso che, come sopra chiarito, la necessità della prova scritta discende, nella specie, dalla disciplina collettiva, il Collegio osserva che questa Corte ha già chiarito, con la sentenza n. 1824/13, che la forma del contratto di agenzia, essendo prevista da una fonte negoziale, deve ritenersi prescritta ad probationem, con la conseguenza che, in mancanza di essa, è valida l’esecuzione volontaria del contratto, la conferma di esso e la sua ricognizione volontaria, come pure la possibilità di ricorrere alla confessione ed al giuramento, dovendosi escludere unicamente la possibilità della prova testimoniale (salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento) e di quella per presunzioni. Ove, peraltro, risulti documentata per iscritto l’esistenza del contratto, è ammissibile il ricorso alla prova orale (o per prestazioni) al fine di dimostrare quale sia stata la comune intenzione della parte mediante un’interpretazione del contratto non limitata al senso strettamente letterale delle parole.

Nella specie, tuttavia, non si trattava provare per testi la comune intenzione delle parti per risolvere una questione interpretativa, ma di fornire la prova dell’esistenza di un patto modificativo dell’originaria assegnazione della zona; correttamente, quindi, la corte distrettuale ha escluso l’ammissibilità della prova per testi.

Anche il secondo motivo del ricorso incidentale va quindi rigettato, in relazione ad entrambi i rilievi in cui esso si articola.

Con il terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta l’errore in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa giudicando ammissibile la domanda relativa alle provvigioni per affari direttamente promossi dalla proponente (vedi pag. 48 del controricorso), ancorchè tale domanda fosse stata formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado.

Il motivo va giudicato inammissibile, in quanto esso travisa il contenuto della sentenza gravata; quest’ultima, come fatto palese al rigo 11 della terz’ultima pagina, ha pronunciato condanna al pagamento delle “provvigioni per ordini acquisiti dall’attuale appellante e non contabilizzati dalla prepotente”, senza emettere alcuna pronuncia di condanna della preponente al pagamento di provvigioni relative ad affari dalla stessa direttamente promossi.

In definitiva, il ricorso principale va accolto soltanto con riferimento al secondo motivo e il ricorso incidentale va interamente rigettato; la sentenza gravata va cassata con rinvio alla corte territoriale, che deciderà sulla domanda a cui si riferisce la censura di omessa pronuncia di cui al secondo motivo del ricorso principale.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale limitatamente al secondo motivo, respinge gli altri motivi del ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Firenze, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2016

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