Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19714 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19714 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 8363-2008 proposto da:
SERIO GIOVANNI nq di socio della IM.TE.00 S.A.S. in
liquidazione, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
DEL VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato RANUZZI
LIVIA, rappresentato e difeso dall’avvocato QUERCIA
LUIGI giusta delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI BARI 1, MINISTERO
DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 6/2007 della COMM.TRIB.REG. di

Data pubblicazione: 28/08/2013

BARI, depositata il 05/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/02/2013 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 16-4-1997 proposto dinanzi alla

crP

di Bari, Serio Giovanni, in qualità di socio della IM.TE.00 CASA ed

ECONOMIA di Fanelli Andrea sas, impugnava l’avviso di accertamento n. 3242000655 notificato alla società il 17-21997, con il quale l’Ufficio Distrettuale delle ILDD. di Bari aveva rettificato la dichiarazione dei redditi presentati dalla
detta società per il periodo d’imposta 1991, ai fini IRPEF ed ILOR, determinando un reddito imponibile di lire
198.683.000 ed una maggiore imposta ILOR di lire 32.187.000, oltre sanzioni.

merito, deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, DPR 600/73 e contestava il coefficiente di
redditività (15% del totale del totale dei ricavi dichiarati e constatati) determinato dall’Ufficio in base a medie di
settore, ritenute astratte e vaghe.
Con sentenza 13/8/05 depositata 1’8-4-2005, l’adita CTP, in parziale accoglimento del ricorso, determinava in euro
24.487,29 il reddito della società.
Avverso detta decisione proponeva appello l’Ufficio e, preliminarmente, eccepiva la violazione degli artt. 2909 cc e
324 cpc; al riguardo faceva presente che sia la IMTECO sas sia gli altri soci Fanelli Andrea e Stella Angela avevano
proposto -nei confronti del predetto accertamento- distinti ricorsi dinanzi alla CTP di Bari, che, previa riunione, con
sentenza 180/8/98 del 4-12-1998, passata in giudicato, li aveva rigettati; nel merito l’Ufficio ribadiva la legittimità del
proprio operato.
Il contribuente eccepiva l’inammissibilità del giudicato, in quanto già intervenuto nel corso del giudizio di primo grado
e non oggetto di specifica eccezione dinanzi alla CTP; al riguardo, in particolare, rilevava che l’Ufficio, allorchè
nell’atto di appello aveva richiamato il detto giudicato, aveva inammissibilmente (ex artt. 57 e 58 d. Igs 546/92)
introdotto nuove eccezioni ed aveva fatto riferimento a nuove prove; evidenziava, inoltre, che la detta decisione
riguardava altre parti (società ed altri soci) ed altra imposta (ILOR della società) rispetto a quella oggetto del presente
giudizio (IRPEF del socio)
Con sentenza 6/9/2007, depositata il 5-3-2007, la CTR di Bari accoglieva l’appello dell’Ufficio, affermando la legittimità
dell’impugnato accertamento; in particolare la CTR, precisato che nel giudizio di appello le nuove prove potevano
essere rilevate anche d’ufficio, rilevava: che dalla documentazione in atti si evinceva che l’A.F. non aveva emesso
(come richiesto dall’art. 40, comma 2, dpr 600/73) un unico avviso di accertamento alla società ed ai soci, bensì
distinti avvisi di accertamento nei confronti della società e dei singoli soci; che ciò non comportava, tuttavia,
l’invalidità dei distinti atti impositivi, determinando solo l’instaurazione di autonomi giudizi e la necessità del socio di
contestare autonomamente il reddito di partecipazione accertato nei suoi confronti; che il contribuente, con il
presente ricorso, non aveva tuttavia impugnato l’avviso di accertamento a lui diretto in quanto detentore del reddito
di partecipazione ma aveva solo proposto un’ulteriore impugnazione avverso l’avviso di accertamento diretto alla
società, già impugnato dal l.r. della stessa, unitamente ai distinti avvisi di accertamento emessi nei confronti degli altri
soci, sui quali era intervenuta la su menzionata sentenza della CTP 180/8/98 del 4-12-1998, passata in giudicato; che
l’accertamento del reddito della società era un presupposto vincolante per i successivi accertamenti individuali emessi
nei confronti dei soci per i redditi di partecipazione; che, comunque, nel merito, l’accertamento era in toto

A sostegno del ricorso eccepiva, preliminarmente, la nullità del predetto accertamento per carenza di motivazione; nel

in quanto frutto di puntuale verifica (dalla quale erano emerse gravi ed incontestabili irregolarità contabili, non
specificatamente contestate dal contribuente), mentre non poteva condividersi la rideterminazione del reddito
operata dalla CTP, la quale aveva escluso dal computo del reddito fatture emesse per operazioni inesistenti (per lire
1.008.460.000), da considerarsi invece, ex art. 21 comma 7 dpr 633/72, equiparate a quelle emesse.
Avverso detta sentenza proponeva appello Serio Giovanni, quale socio della IMTECO sas in liquidazione, affidato a
sette motivi; rAgenzia non svolgeva attività difensiva.

Con i primi due motivi il ricorrente, deducendo -ex art. 360 n. 4 cpc- nullità della sentenza per violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112 cpc, sosteneva che la CTR non si era pronunciata nè sulla specifica censura di violazione
dell’art. 2909 cc (motivo 1) nè sulla specifica censura di inopponibilità nel presente giudizio, per carenza del
presupposto soggettivo, del giudicato formatosi sulla sentenza 180/8/98 del 4-12-1998 (motivo 2), ed aveva in tal
modo violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cpc; concludeva, ponendo alla
Corte, ai sensi dell’art. 366 bis cpc, i seguenti quesiti: “se, nel caso di specie, l’omessa pronuncia del Giudice di Appello
sulla specifica censura di violazione dell’art. 2909 cc integri un difetto di attività del Giudice che si risolve nella
violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato” (in relazione al motivo 1); “se, nel caso di
specie, l’omessa pronuncia del Giudice di Appello sulla specifica censura di inopponibilità nel presente giudizio del
giudicato formatosi sulla sentenza 180/8/98 del 4-12-1998 della CTP di Bari per “carenza del presupposto soggettivo”
integri un difetto di attività del giudice che si risolve nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato” (in relazione al motivo 2).
I motivi sono inammissibili e, comunque, infondati.
A norma dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si
risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e
sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel
senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il
secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (conf. Cass.6420/2008).
Nel caso in questione i quesiti, come sopra riportati, appaiono generici ed astratti, senza alcun riferimento alla
fattispecie concreta, sicchè, alla stregua del predetto principio, gli stessi vanno, come detto, dichiarati inammissibili,
non potendosi integrare il quesito con il contenuto del motivo.
In ogni modo, detti motivi sono, nel merito, infondati, in quanto la sentenza , sia pur succintamente, prende posizione
e motiva sulla questione dell’intervenuto giudicato, ritenendo l’accertamento compiuto in ordine al reddito della
società (oggetto del giudizio instaurato dalla società e dagli altri soci, conclusosi con la sentenza della CTP di Bari
180/8/98 del 4-12-1998, passata in giudicato) vincolante sia nel giudizio instaurato dal socio relativamente
all’accertamento del suo reddito di partecipazione nella società (non oggetto del presente giudizio) sia
(implicitamente) -a maggior ragione- nel giudizio (quale quello in questione) instaurato dal socio propri vv rso
l’accertamento del reddito della società.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente, deducendo -ex art. 360 n. 5 cpc e 62 , comma 1, d.lgs 546/92insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevava che la CTR, in ordine alla sollevata
questione della novità dell’eccezione di violazione dell’art. 2909 cc (e comunque del fatto che siffatta eccezione era
fondata su prove nuove , come tali inammissibili ex artt. 57 e 58 d.lgs. 546/92), nonché in ordine alla questione
dell’opponibilità nel presente giudizio del giudicato formatosi in seguito alla su menzionata sentenza della CTP di Bari
n. 180/8/98 del 4-12-1998, non aveva specificamente indicato né quali documenti aveva d’ufficio ritenuto di utilizzare
come nuova prova nè quale era il contenuto della sentenza passata in giudicato che costituiva l’antecedente logico
della sentenza gravata e, comunque, non conteneva una chiara ed intellegibile pronuncia sulropponibilità e/o

Il motivo è infondato.
Al riguardo va, innanzitutto, precisato che la detta censura è denunciata quale vizio motivazionale, e non quale
violazione di legge (e, in particolare degli artt. 2909 cc e 57 e 58 d. Igs 546/92), sicchè la presente decisione concerne
ovviamente solo il profilo denunciato.
Ciò posto, a giudizio di questa Corte, dalla complessiva lettura della sentenza della CTR appare sufficientemente chiaro
che quest’ultima, quando afferma che le nuove prove possono essere rilevate anche d’ufficio nel giudizio di appello,
non può che riferirsi, quale nuova prova, alla sentenza della CTP di Bari 4-12-1998 (il cui contenuto è peraltro
specificamente riportato) ed al suo passaggio in giudicato; al riguardo, come risulta evidente dal tenore letterale della
detta sentenza della CTR (v. parte iniziale della “motivazione della decisione”), va infatti evidenziato che quest’ultima,
nell’affermare la rilevabilità anche d’ufficio delle nuove prove, ha in tal modo risposto alla questione specifica
sollevata nelle controdeduzioni in appello dal contribuente, secondo cui “il ricorso in appello introduce una nuova
eccezione e fa riferimento a nuove prove, come tali inammissibili ex art. 57 e 58 d.lgs. 546/92, allorquando richiama il
giudicato di altra controversia riguardante la società IM.TE.00.”; di conseguenza, appare evidente che la CTR, nel
riferirsi a nuove prove, ha inteso richiamare proprio “il giudicato di altra controversia riguardante la società
IM.TE.00.”, e cioè la sentenza (in seguito espressamente menzionata) della CTP di Bari 4-12-1998, passata in
giudicato.
Non sussiste, inoltre, il denunciato vizio di motivazione con riferimento alropponibilità e/o decisività nel presente
giudizio del formatosi giudicato.
Al riguardo vanno, invero, ribadite le ragioni già esposte a confutazione (nel merito) dei primi due motivi del ricorso, e
quindi che “la sentenza , sia pur succintamente, prende posizione e motiva sulla questione dell’intervenuto giudicato,
ritenendo l’accertamento compiuto in ordine al reddito della società (oggetto del giudizio instaurato dalla società e
dagli altri soci, conclusosi con la sentenza della CTP di Bari 180/8/98 del 4-12-1998, passata in giudicato) vincolante sia
nel giudizio instaurato dal socio relativamente all’accertamento del suo reddito di partecipazione nella società (non
oggetto del presente giudizio) sia (implicitamente) -a maggior ragione- nel giudizio (quale quello in questione)
instaurato dal socio proprio avverso l’accertamento del reddito della società”.

decisività nel presente giudizio del formatosi giudicato.

Con il quinto motivo il contribuente, deducendo —ex art. 360 n. 3 cpc e 62, comma 1, d.lgs 546/92, violazione e falsa
applicazione dell’art. 39 DPR 600/73, rilevava che la CTR aveva fatto malgovemo dei principi

che regolano la

determinazione del reddito in base alle scritture contabili, atteso che, una volta accertato che gran parte dei ricavi
della società erano relativi ad operazioni inesistenti (precisamente per la somma di lire 1.008.460.000), non risultava
conforme al citato art. 39 l’accertamento del reddito fondato sul totale dei ricavi dichiarati (che comprendeva anche i
ricavi relativi ad operazioni insussistenti); concludeva, ponendo alla Corte il seguente quesito: “se, in sede di
accertamento del reddito effettuata ai sensi dell’articolo 39 del d.p.r. numero 600 del 73, la rettifica deve essere

elementi presuntivi acquisiti consentono di disattendere le risultanze della dichiarazione del soggetto d’imposta, la
rettifica medesima deve intervenire su tutte le componenti infedelmente dichiarate, sia che ciò giovi
all’amministrazione finanziaria, consentendo il recupero a tassazione di porzioni di credito sottratte all’imposizione,
sia che giovi al contribuente, determinando un abbattimento della base imponibile e del relativo tributo”.
Il motivo è inammissibile ex art. 366 bis cpc, essendo il su riportato quesito privo di collegamento con la fattispecie
concreta, e, come tale, non rispettoso degli esposti principi in materia di questa Corte (v. Cass.6420/2008, già
richiamata in punto di decisione relativa ai primi due motivi).
Con il sesto motivo il contribuente, deducendo -ex art. 360 n. 5 cpc e 62 , comma 1, d.lgs 546/92- insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevava che la CTR non aveva sufficientemente motivato
sul piano logico la sua decisione, in quanto i ricavi dichiarati dalla società (comprensivi di ricavi per operazioni
inesistenti) non potevano costituire il fatto noto dal quale dedurre il fatto ignoto (maggior reddito) attraverso
l’applicazione di un coefficiente di redditività.
Il motivo è inammissibile.
Per costante e condiviso principio di questa Corte, invero “allorché la prova sia costituita da presunzioni, rientra nella
valutazione del giudice di merito il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi addotti ad essere utilizzati dal
giudice per dedurne l’esistenza di un fatto principale ignoto; la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione,
gravità e concordanza richiesti dalla legge per poter valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione non è
sindacabile in sede di legittimità se sorretto da una motivazione immune da vizi logici o giuridici” (Cass. 3321/04;
6220/2005).
Nel caso di specie la CTR ha, in modo del tutto logico, attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività,
dedotto dal fatto noto (ricavi dichiarati dalla società, ivi compresi quelli risultanti da fatture emesse per operazioni
inesistenti, equiparate ex art. 21, comma 7 dpr 633/72 a quelle regolarmente emesse) quello ignoto (maggior
reddito), sicchè, in mancanza di censura in ordine alla predetta equiparazione, l’accertamento in fatto compiuto dalla
CTR è insindacabile in questa sede, non potendosi far valere col denunciato vizio motivazionale la non corrispondenza
tra la ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito ed il diverso convincimento soggettivo della parte.
Con il settimo motivo il contribuente, deducendo —ex art. 360 n. 3 cpc e 62, comma 1, d.lgs 546/92, violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 cligs 471/97, rilevava che la CTR, nell’affermare la legittimità in toto della pretesa i
impugnato, aveva confermato anche l’entità delle irrogate sanzioni (lire 96.561.000, pari al 300% della m

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effettuata mediante la ricostruzione di tutte le voci che hanno determinato il reddito imponibile, sicché, ove gli

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imposta accertata, pari a lire 32.187.000); in tal modo non aveva applicato la norma più favorevole al trasgressore
(art. 1, comma 1, d.lgs 471/97, secondo cui per la violazione di omessa dichiarazione la sanzione era da 120 a 240%
della maggiore imposta accertata) ed aveva violato il principio del favor rei, di cui alrart. 3 del d.lgs 472/1997.
Il motivo è inammissibile in quanto non indica se e dove la detta questione sia stata prospettata dinanzi ai giudici di
merito, sicchè, sul punto, il motivo appare carente sotto il profilo dell’autosufficienza; in ogni modo, dalle risultanze
agli atti, la questione appare prospettata inammissibilmente per la prima volta in sede di legittimità.

Nulla per le spese, non avendo l’Agenzia svolto in questa sede alcuna attività difensiva.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 14-2-2013 nella Camera di Consiglio della sez. tributaria.

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

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