Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19710 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/09/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 27/09/2011), n.19710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22930/2007 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., quale incorporante del SANPAOLO IMI S.P.A.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo studio

dell’avvocato SCONOCCHIA BRUNO, rappresentata e difesa dall’avvocato

BARBAGALLO FILIPPO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 128, presso lo studio dell’avvocato PAOLA CECCHIN,

rappresentato e difeso dagli avvocati D’ACUNTO FRANCO, MARRA DE

SCISCIOLO ANTONIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 897/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/04/2007 R.G.N. 978/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato BARBAGALLO FILIPPO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata – in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli n. 21437 del 19 ottobre 2004 – dichiara il diritto di N.A. all’incentivo economico di merito per l’anno 1996 e per l’effetto condanna la Sanpaolo IMI s.p.a. a pagare in favore del N. la complessiva somma di Euro 17.008,26 a titolo di conseguenti differenze retributive, per spettanze di fine rapporto e per ratei di pensione maturati sino al 31 dicembre 2002, oltre accessori di legge.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che interessa in questa sede, afferma che:

1) sulla base del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di controllo giudiziale delle valutazioni sul rendimento e le capacità professionali del lavoratore, espresse dal datore di lavoro con le note di qualifica, applicato anche con riferimento a fattispecie analoghe all’attuale di attribuzione di un beneficio economico per effetto di una determinata valutazione, deve escludersi che nella specie, fosse da riconoscere una discrezionalità insindacabile dell’Istituto di credito Sanpaolo IMI, il quale era, invece, tenuto a fornire “idonea” motivazione del giudizio negativo, come stabilito anche dalla normativa aziendale applicabile;

2) la motivazione posta a fondamento del diniego dell’incentivo preteso dal N. non può, nella sua apoditticità, considerarsi conforme a quanto prescritto dalla normativa contrattuale;

3) essa, infatti, si limita ad adottare una formula di stile del seguente tenore: “il coefficiente globale non raggiunge la soglia prevista per l’accesso agli incentivi economici. In particolare, i valori di potenziale non sono in sintonia con quelli richiesti”;

4) in questo modo al lavoratore non sono state precisate le ragioni del diniego nè è stato fornito alcun elemento idoneo a giustificare il radicale ribaltamento, da parte della Commissione centrale, delle valutazioni lusinghiere espresse, anche con riferimento alle “qualità potenziali” dal diretto superiore dell’appellante, tanto più che solo pochi mesi prima del giudizio negativo di cui si tratta il N. aveva avuto un giudizio positivo proprio ai fini dell’incentivo in questione (per il precedente anno 1995) e che egli, inoltre, come risulta dalla scheda di valutazione prodotta in giudizio, poteva vantare non solo il giudizio di “ottimo” – comune agli altri funzionali valutabili per l’incentivo stesso – ma anche il massimo punteggio attribuibile per la pregressa prestazione resa (che rappresenta uno degli elementi presi in considerazione nell’ambito del complesso iter procedimentale che regola l’erogazione dell’incentivo economico in oggetto);

5) neppure in sede giudiziale l’Istituto ha provveduto a esplicitare le suddette ragioni e giustificazioni, sicchè il suo inadempimento rispetto all’obbligo di idonea motivazione è acclarato;

6) ne consegue, sempre in applicazione del suddetto orientamento della giurisprudenza di legittimità, che in simili casi la tutela giudiziale deve arrivare all’effettiva attribuzione del beneficio, in quanto il solo annullamento dell’atto illegittimo, non seguito dall’assegnazione in concreto al lavoratore di quanto dovutogli, sarebbe inutile;

7) comunque, anche a voler ritenere precluso al giudice di sostituirsi al datore di lavoro in una valutazione discrezionale, in ogni caso al N. potrebbe essere riconosciuto il diritto di ottenere come risarcimento del danno – secondo quanto richiesto in via subordinata la somma spettante a titolo di incentivo e le differenze richieste per gli altri trattamenti influenzati dalla concessione del l’emolumento in oggetto;

8) il suddetto risarcimento può essere attribuito in misura piena sulla base della sola prova, fornita dal N., del fatto che se la Commissione centrale avesse operato in modo corretto la valutazione del c.d. potenziale, egli avrebbe raggiunto il punteggio minimo per ottenere il beneficio;

9) non è, invece, necessaria la prova del non corretto compimento delle operazioni di valutazione per il 1996 nel loro complesso, perchè la procedura preordinata all’attribuzione dell’incentivo non è di tipo concorsuale;

10) per la quantificazione dei vari importi da corrispondere al N. si può tenere conto dei conteggi analitici riportati nel ricorso introduttivo, fondati su elementi risultanti dalle buste paga in atti;

11) è infondata l’eccezione di prescrizione riproposta dall’Istituto bancario, visto che risultano esservi idonei atti di messa in mora regolarmente ricevuti dall’Istituto stesso;

12) neppure fondata è l’eccezione di difetto di legittimazione passiva riproposta dall’Istituto bancario in riferimento alla domanda di condanna al pagamento delle differenze maturate sul trattamento pensionistico;

13) infatti, anche dopo l’iscrizione dei dipendenti degli enti pubblici creditizi all’a.g.o. gestita dall’INPS (in base al D.Lgs. n. 357 del 1990) è sempre l’Istituto di credito a dover corrispondere il complessivo trattamento pensionistico dei dipendenti, salvo conguagli con l’INPS;

14) tale ultima circostanza non è stata smentita dall’Istituto bancario che si è limitato ad insistere sul difetto di legittimazione passiva.

2. Il ricorso di Intesa Sanpaolo s.p.a. (quale incorporante di Sanpaolo IMI s.p.a.) domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, N.A., il quale deposita anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei primi due motivi del ricorso;

1.- Con il primo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene che la Corte d’appello di Napoli sia pervenuta alla decisione in argomento (sostitutiva della valutazione discrezionale del datore di lavoro) sulla base del duplice erroneo presupposto secondo cui: a) il lavoratore aveva solo l’onere di provare che la valutazione corretta gli avrebbe dato diritto al riconoscimento del beneficio, mentre il datore di lavoro aveva l’onere di provare l’esistenza di cause ostative; b) il provvedimento di diniego era privo di reale motivazione.

Quanto al primo assunto – ad avviso della ricorrente – nel suddetto modo la Corte partenopea avrebbe operato un’inversione dell’onere della prova, facendola derivare dall’applicazione degli obblighi di buona fede e correttezza, con un evidente “salto logico”, visto che la mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo non avrebbe potuto determinare la suddetta inversione, la quale come è noto ha natura eccezionale.

2.- Con il secondo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione e falsa applicazione degli accordi sindacali 28 e 29 dicembre 1988 nonchè 12 marzo 1990; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e ss..

Si contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto inidonea la motivazione del provvedimento negativo in oggetto limitandosi ad affermare al riguardo – asseritamente in modo illogico che si tratta di motivazione stereotipata utilizzata anche per altri dipendenti nelle medesime circostanze, senza spiegare la ragione per cui in casi identici avrebbero dovuto essere adoperate motivazioni diverse.

Viceversa, nella specie, il datore di lavoro, seguendo pedissequamente la procedura prevista dagli accordi sindacali aziendali, è pervenuto ad un giudizio negativo motivato in modo comprensibile, coerente con le valutazioni effettuate e corrispondente al contenuto della scheda valutativa compilata dalla Commissione centrale per il N. e depositata, in copia integrale, in sede di costituzione nel giudizio di primo grado.

La sentenza impugnata, inoltre, parte dall’ulteriore erroneo presupposto secondo cui l'”incentivo economico”, all’epoca previsto, fosse un’ordinaria componente della retribuzione, mentre in base ai suddetti accordi sindacali si trattava di un compenso del tutto eventuale e collegato alle valutazioni ricevute.

Secondo la ricorrente, inoltre, dimostrando di non conoscere le logiche aziendali, la Corte d’appello, confondendo l’incentivo in oggetto con il premio di rendimento conseguente alle note di qualifica, avrebbe dato maggior rilievo alla valutazione (positiva) espressa dal responsabile dell’unità operativa in cui era inserito il N. rispetto a quella della Commissione, mentre le parti sociali avevano inteso attribuire all’incentivo medesimo una finalità diversa, consistente nel fornire stimoli di tipo manageriale ai dipendenti.

D’altra parte, la Corte partenopea sembra attribuire molto rilievo al possesso, da parte del N., della qualifica di “ottimo”, mentre questo dato è incontestato e, peraltro, solo coloro che erano in possesso della suddetta qualifica potevano avere accesso alla valutazione della Commissione.

La Corte d’appello avrebbe commesso un ulteriore travisamento dei fatti nel ritenere che l’unica motivazione del diniego dell’incentivo sarebbe stata l’adesione del N. all’operazione di esodo incentivato (che avrebbe fatto venire meno lo stesso presupposto del beneficio, rappresentato dalla valutazione prospettica). Invece, il datore di lavoro ha sempre sottolineato che la prioritaria giustificazione del giudizio negativo era rappresentata dalla maggiore severità di valutazione dei candidati adottata dalla competente Commissione, in considerazione della grave crisi che l’azienda stava attraversando al momento.

2 – Esame dei primi due motivi del ricorso 3.- Il primo e il secondo motivo del ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono fondati, nella misura in cui sono ammissibili.

3.1.- Preliminarmente va ricordato che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il regolamento per il personale del Banco di Napoli ha natura negoziale ed è atto equiparabile a un contratto collettivo di diritto comune; certamente esso non può annoverarsi tra “i contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” (contemplati nell’art. 360 c.p.c., n. 3). Pertanto, la violazione di disposizioni contenute del suddetto Regolamento (o ad esso collegate) non è denunciabile direttamente in cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, cit.) e, d’altra parte, non è neanche applicabile l’obbligo di deposito integrale del Regolamento stesso, previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Ne consegue che Pinterpretazione delle disposizioni in argomento resta riservata al giudice del merito, quale accertamento di fatto censurabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e dei vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass. 21 febbraio 2011, n. 4170; Cass. SU 30 marzo 1994, n. 3134; Cass. 11 dicembre 1997, n. 12555: Cass. 11 dicembre 1999, n. 13904; Cass. 15 maggio 2000, n. 6347).

Tuttavia, nella specie, le censure avanzate dalla ricorrente (nel secondo motivo) con riferimento agli accordi sindacali 28 e 29 dicembre 1988 nonchè 12 marzo 1990 (e agli atti attuativi degli accordi medesimi) risultano innanzi tutto inammissibili perchè prive di autosufficienza.

Come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito: “il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – rispettivamente, imposto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, e dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento”. La violazione del primo dei suddetti oneri rende il ricorso improcedibile, la violazione del secondo lo rende inammissibile (Cass. 4 settembre 2008. n. 22303; Cass. 3 luglio 2009, n. 15628; Cass. 7 febbraio 2011, n. 2966).

Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a indicare la sede in cui le richiamate disposizioni contrattuali, prodotte in primo grado, sono rinvenibili, ma ha riportato, nel ricorso, soltanto alcuni brani di talune tra le tante disposizioni richiamate, non rendendo così possibile – per questa parte – il richiesto controllo di legittimità in relazione ai vizi denunciati.

3.2.- Per la restante parte, le censure proposte con i primi due motivi non sono fondate.

In base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, le valutazioni del datore di lavoro in ordine al rendimento ed alla capacità professionale del lavoratore, espresse con le note di qualifica, sono sindacabili dal giudice in riferimento ai parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo ed agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., e quindi, sul datore di lavoro grava l’onere di motivare queste note, allo scopo di permettere il controllo da parte del giudice dell’osservanza di siffatti parametri. Peraltro detto controllo non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo, che richiede di prendere in esame i dati sia positivi sia negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898; Cass. 11 febbraio 2008, n. 3227; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450; Cass. 16 maggio 2002, n. 7138; Cass. 25 maggio 1996, n. 4823).

In applicazione di tale principio, in fattispecie analoghe all’attuale, è stato anche affermato che nel caso in cui ad una determinata valutazione del datore di lavoro sia collegata l’attribuzione di un beneficio retribuivo, il lavoratore ha l’onere di dedurre che la valutazione corretta avrebbe comportato l’attribuzione del beneficio, mentre la prova dell’esistenza di cause ostative ricade sul datore di lavoro. Conseguentemente, è stata annullata la sentenza impugnata, che, in relazione all’incentivo economico previsto dall’accordo 29 dicembre 1988 a favore del personale direttivo del Banco di Napoli riportante la qualifica di ottimo, aveva rigettato la contestazione del lavoratore, valorizzando il carattere discrezionale del giudizio del datore di lavoro (Cass. 9 gennaio 2001, n. 206 e, nello stesso senso, Cass. 9 maggio 1997, n. 11106; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450).

La Corte d’appello di Napoli si è attenuta ai suddetti principi, dandone conto con motivazione ineccepibile, sia dal punto di vista logico sia dal punto di vista giuridico e ciò comporta il rigetto delle censure in argomento.

3 – Sintesi del terzo motivo del ricorso.

4.- Con il terzo motivo si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si contesta che la Corte d’appello abbia affermato che il datore di lavoro non ha fornito alcuna prova per giustificare la valutazione del N., senza considerare che la Banca aveva, nella memoria difensiva di primo grado, articolato prova testimoniale su circostanze di grande rilievo e che aveva ribadito la richiesta in appello, attraverso il richiamo espresso di tutte le deduzioni ed eccezioni formulale in primo grado.

4 – Esame del terzo motivo del ricorso.

5. Anche il terzo motivo non è fondato.

5.1.- Preliminarmente va osservato che la formulazione del motivo appare conforme all’art. 366-bi.s cod. proc. civ. (applicabile nella specie ratione temporis), il quale esige, a pena di inammissibilità, che, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, (riguardante la contestazione del solo iter argomentativo della decisione impugnata), che venga effettuata una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi, per tutte: Cass. 25 febbraio 2009. n. 4556).

Nella specie, nella sintetica esposizione del motivo, il fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione non sia appagante risulta indicato con chiarezza ed è rappresentato dall’aver affermato -senza prendere in considerazione la prova per testi articolata dalla Banca nella memoria di primo grado – che il datore di lavoro non aveva offerto alcuna prova contraria alla tesi del N., considerata da questi sufficientemente provata, secondo cui “una corretta valutazione anche da parte della Commissione avrebbe comportato l’attribuzione del beneficio ingiustamente negato”.

5.2. Peraltro, la chiarezza della censura ne determina ictu oculi l’infondatezza, visto che essa si risolve, in realtà, nella prospettazione di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentilo alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diverse da quella accolta dal giudice di merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731 ; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Del resto è jus reception che la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (da ultimo: Cass. 12 aprile 2011, n. 8294; Cass. 4 marzo 2011, n. 5241).

Nella specie, la sentenza impugnata è pienamente conforme ai suddetti principi e da conto, in modo lineare e logico, della decisione assunta sul punto.

Infatti, sono molteplici le ragioni e le risultanze probatorie esaminate (e di cui di da conto nella sentenza) che rendono comprensibile e condivisibile la scelta operata dalla Corte d’appello sul punto.

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

5 – Sintesi del quarto e del quinto motivo del ricorso.

6.- Con il quarto motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1226 c.c.;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene che la decisione della Corte d’appello di riconoscere al N. il diritto all’incentivo (così sostituendo la propria valutazione a quella datoriale) anzichè soltanto il diritto al risarcimento del danno si porrebbe in contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.

7.- Con il quinto motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si contesta il sistema di calcolo adottato dalla Corte d’appello per determinare le spettanze riconosciute al N., derivante dalla totale adesione alla quantificazione effettuata dall’interessato, viceversa motivatamente contestata dal datore di lavoro per il fatto di essere basata sui prospetti paga, nella specie non utilizzabili.

6^ – Esame del quarto motivo del ricorso.

8. Il quarto motivo è fondato.

Deve essere, infatti, ricordato che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte – salva l’ipotesi di predisposizione di criteri di valutazione vincolati (Cass. 14 settembre 2005, n. 18198) – in tema di procedure selettive per gli avanzamenti di carriera del personale nell’ambito del rapporto di lavoro privato, con connessi benefici economici il diritto ai suddetti benefici può essere riconosciuto soltanto ai lavoratori che abbiano positivamente superato la fase selettiva, mentre non può essere attribuito in sede giudiziaria, perchè il giudice non può sostituirsi al datore di lavoro nell’esercizio di valutazioni discrezionali riservategli (vedi, per tutte: Cass. 5 settembre 2003, n. 13001).

Ove la procedura concorsuale risulti essere stata espletata in violazione dei canoni di correttezza e buona fede, il datore di lavoro è tenuto, in presenza di perdita di chance del suo dipendente, a risarcirgli i danni patrimoniali, quantificabili sulla base della percentuale di probabilità che il lavoratore aveva di risultare vincitore qualora la selezione si fosse svolta in modo corretto e trasparente (Cass. 19 novembre 1997, n. 11522; Cass. 26 settembre 2002, n. 13952; Cass. 25 maggio 2007, n, 12243; Cass. 27 giugno 2007, n. 14820). E tale ultimo danno è determinabile dal giudice del merito anche in via equitativa (Cass. 5 settembre 2003, n. 13001; Cass. 4 marzo 2004, n. 4462).

Nella specie, la Corte d’appello non si è conformata ai suddetti principi ove ha ritenuto che: a) nella specie, la tutela giudiziale deve arrivare all’effettiva attribuzione del beneficio, in quanto il solo annullamento dell’atto illegittimo, non seguito dall’assegnazione in concreto al lavoratore di quanto dovutogli, sarebbe inutile; b) comunque, anche a voler ritenere precluso al giudice di sostituirsi al datore di lavoro in una valutazione discrezionale, in ogni caso al N. potrebbe essere riconosciuto il diritto di ottenere come risarcimento del danno – secondo quanto richiesto in via subordinata – la somma spettante a titolo di incentivo e le differenze richieste per gli altri trattamenti influenzati dalla concessione dell’emolumento in oggetto.

In tal modo infatti, la Corte partenopea, pur formalmente richiamando il principio secondo cui, in questa materia, il giudice non può sostituirsi al datore di lavoro nell’esercizio delle valutazioni discrezionali riservategli, nella sostanza se ne è discostato perchè ha comunque riconosciuto al N. il diritto ad ottenere l’intero ammontare dell’incentivo de qua, unitamente con le conseguenti spettanze sul trattamento di fine rapporto e sul trattamento pensionistico, oltre agli accessori di legge.

Per le suesposte ragioni il quarto motivo deve essere accolto.

7 – Dichiarazione di assorbimento del quinto motivo del ricorso.

9. Premesso che la formulazione del quinto motivo appare conforme all’art. 366 bis c.p.c., per le medesime ragioni indicate sopra (al punto 5.1) a proposito del terzo motivo, comunque, in conseguenza dell’accoglimento del quarto motivo, appare opportuno dichiarare assorbito il quinto motivo per consentire alle parti di confrontarsi in sede di giudizio rinvio – nel rispetto dei suindicati principi e del carattere “chiuso” di tale giudizio – su tutte le questioni riguardanti il risarcimento dei danni e la relativa quantificazione.

8 – Conclusioni.

10.- In sintesi, il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso vanno respinti, il quarto va accolto e il quinto va dichiarato assorbito.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che si adeguerà ai principi indicati sopra (spec. ai punti 8 e 9).

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie il quarto, assorbito il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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