Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19709 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/09/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 27/09/2011), n.19709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15149/2009 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

185, presso lo studio dell’avvocato VERSACE Raffaele, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ SERVIZI & LAVORO S.R.L., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

BETTOLO 22, presso lo studio dell’avvocato PENZAVALLI Giancarlo, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente incidentale –

T.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

185, presso lo studio dell’avvocato VERSACE RAFFAELE, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 344/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/03/2009, r.g.n. 1304/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato BRUNO DEL VECCHIO per delega RAFFAELE VERSACE;

udito l’Avvocato MARTA MARCHETTI per delega GIANCARLO PENZAVALLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza dell’11 marzo 2009, la Corte d’Appello di Firenze accoglieva il gravame svolto dalla s.p.a. Società servizi e Lavoro contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a T.M., con condanna della società alla reintegrazione della lavoratrice e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– la lavoratrice, da anni dipendente della CGIL di Grosseto, con esperienza significativa maturata come componente del Cda della Società servizi e Lavoro srl, dal 1 febbraio 2005, come risultante dal verbale d’intesa 18.1.2005 firmato dalla T. e dal segretario generale: della Camera del lavoro di Grosseto, accettava di ricoprire l’incarico di Direttore della Società servizi e Lavoro e di passare a libro paga e che il TFR, maturato presso la Camera del lavoro, venisse temporaneamente trattenuto, regolarmente rivalutato, in attesa del rientro, a fine mandato, presso le strutture della CGIL;

– era incontestato, e documentato, che T. avesse iniziato a svolgere i compiti di direttore della Società Servizi e Lavoro s.r.l. con inquadramento al più elevato livello impiegatizio e che l’attività si era protratta regolarmente fino al 17.11.2006 allorchè la lavoratrice, con lettera in pari data, rimetteva le dimissioni “dall’incarico di direttore…in riferimento all’episodio che ha determinato una situazione incresciosa… per assoluta responsabilità morale e professionale”;

– le dimissioni venivano formalmente accettate dal presidente del c.d.a. della società, con lettera de 20.11.2006;

– con lettera aziendale del 28.11.2006, prima di procedere alla contestazione disciplinare nei confronti della T., ribadiva che le dimissioni avevano già provocato la cessazione del rapporto;

– all’atto della costituzione in primo grado la società aveva eccepito la risoluzione del rapporto per dimissioni.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva chiara ed univoca la volontà della lavoratrice di dare le dimissioni dal rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società, desunta dall’obbiettivo contenuto del “verbale di intesa”, dall’essere “passata a libro paga” della società unicamente per svolgervi l’incarico di direttore, dichiaratamente temporaneo ed espressamente definito per iscritto, dalle parti, come “mandato” ed “incarico di direttore”; dall’aver esplicitamente contemplato il successivo rientro in CGIL, tanto da pattuire il congelamento del TFR in vista della ripresa del servizio nelle strutture della Camera del lavoro; dall’essere il verbale d’intesa sottoscritto dalla CGIL noto alla società che lo aveva prodotto in giudizio; dal non aver mai le parti ventilato compiti di T. nella società che non fossero quelli di direttore. La Corte riteneva, inoltre, di non dover esaminare la gravità dell’addebito disciplinare contestato, stante la scelta abdicativa della lavoratrice coinvolta nella spiacevole propalazione di dati sensibili concernenti un assistito del CAF. 4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi. L’intimata ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Deve innanzi tutto disporsi la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

6. Con i primi tre motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per tre profili.

7. La decisione è censurata per aver il giudice del gravame:

dinanzi ad una manifestazione di volontà negoziale unilaterale, di tenore letterale e significato univoco ed indubbio, applicato, per ricostruire l’effettiva volontà negoziale del dichiarante, criteri ermeneutici diversi da quello letterale (primo motivo); fatto riferimento al criterio ermeneutico della comune volontà delle parti e del comportamento complessivo delle parti con riferimento ad un accordo non intercorso tra la lavoratrice e la s.r.l., e per aver adottato il criterio interpretativo della comune intenzione delle parti nell’interpretazione della volontà negoziale unilaterale (secondo motivo);

– adottato il criterio interpretativo del comune intento delle parti con riferimento al loro complessivo comportamento adottato antecedentemente all’adozione del negozio unilaterale oggetto di valutazione (terzo motivo).

8. Con il quarto motivo, la decisione è censurata per violazione degli artt. 1324 e 1371 c.c., per aver il giudice del gravame aderito all’opzione interpretativa dell’atto negoziale più gravosa per la ricorrente.

Il motivo si conclude con la formulazione del quesito con il quale si chiede alla Corte di dire se, ai sensi degli artt. 1324 e 1371 c.c., nell’interpretare un atto negoziale unilaterale recettizio a titolo gratuito, il cui senso letterale si assuma non essere chiaro ed univoco, sia consentito al Giudice interpretarlo nel senso più gravoso per il soggetto che ha posto in essere l’atto, anzichè nel senso meno gravoso e quindi se incorra o meno in violazione di legge, con riferimento ai citati articoli, la sentenza che, a fronte di un atto negoziale unilaterale recettizio a titolo gratuito con cui il dipendente comunicava letteralmente la propria volontà di dimettersi da un determinato incarico, ritenuto non chiaro il tenore letterale dell’atto stesso, lo abbia interpretato nel senso di manifestazione di volontà del dipendente di dimettersi anche dal rapporto di lavoro subordinato e non solo dall’incarico indicato nell’atto stesso.

9. Con il quinto motivo, la decisione è censurata per illogicità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) quale la verifica dell’effettiva volontà negoziale della lavoratrice. Il motivo si chiude con il momento di sintesi con il quale si chiede se incorra in illogica ed insufficiente motivazione la sentenza che, nello stabilire che un atto unilaterale di rinuncia ad un incarico da parte di un dipendente debba essere interpretato quale vero e proprio atto di dimissioni dal rapporto di lavoro, si limiti a motivare tale decisione facendo riferimento a precedenti accordi intercorsi tra parti diverse rispetto a quelle del rapporto di lavoro che si assume cessato, nonchè deducendo che il rapporto di lavoro sarebbe comunque stato a termine e che il dipendente plausibilmente non avrebbe accettato di svolgere altre funzioni oltre all’incarico oggetto di rinuncia, nonchè deducendo che sarebbe stato plausibile che il dipendente avesse inteso dimettersi dal rapporto di lavoro essendo lo stesso stato coinvolto in una vicenda avente rilievo disciplinare.

10. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato si censura la sentenza impugnata per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendo, ove non ritenute le dimissioni della T. dal rapporto di lavoro, la legittimità del licenziamento e l’inapplicabilità della tutela reale.

11. I motivi del ricorso principale, per la loro connessione logica, vanno esaminati congiuntamente.

12. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità dei motivi formulata dal controricorrente. La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola da applicare secondo la prospettazione del ricorrente. Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve, pertanto, compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. La proposizione di una pluralità di motivi, solo alcuni dei quali accompagnata dalla formulazione di idonei quesiti, comporta l’inammissibilità solo dei singoli motivi non corredati del relativo quesito. Infine, in caso di proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la ratto dell’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati proposti.

13. Ciò premesso, i motivi del ricorso principale all’esame del Collegio non rispecchiano l’intero campo delle censure proposte in relazione alle plurime violazioni di legge prospettate, cosicchè in base al criterio per cui possono essere prese in esame solo le censure specificamente risultanti dai quesiti posti a conclusione del motivo e adeguatamente formulati, in relazione al primo quesito, per come formulato, deve statuirsi unicamente se la sentenza impugnata abbia errato nell’interpretare il negozio abdicativo a mezzo del ricorso ai criteri ermeneutici negoziali.

14. Invero, come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito ex art. 384 c.p.c., “nell’interpretazione degli atti unilaterali (come la dichiarazione de qua) il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio (v.

ex multis, Cass. 460/2011 e i numerosi precedenti conformi ivi richiamati), rimanendo peraltro applicabile, in base al rinvio operato dall’art. 1324 c.c., il criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto”.

15. L’applicazione delle norme sull’interpretazione del contratto soggiace al limite della compatibilità, dovendosi escludere, a fortiori, per l’unilateralità che connota il negozio, che possa farsi ricorso al canone ermeneutico della comune intenzione delle parti di cui all’art. 1362 c.c., comma 1.

16. Nè può indagarsi, per ricostruire la volontà negoziale unilaterale, oltre il senso letterale delle parole adoperate, dando rilievo ad atti esterni al negozio, non spiegando rilevanza, a tal fine, il contesto in cui si sia progressivamente formata la volontà negoziale ove non incorporato nel documento scritto o la valutazione del comportamento dei destinatari dell’atto stesso.

17. Orbene nella specie andava privilegiato il criterio letterale nell’interpretazione del negozio di dimissioni, diversamente da quanto statuito dalla Corte d’Appello che ha incentrato la statuizione sulla pregnante valorizzazione del verbale d’intesa del 18 gennaio 2005, che aveva visto come autore soggetti diversi dalle parti del rapporto lavorativo con riferimento al quale sono state rassegnate le dimissioni dall’incarico dirigenziale. In dottrina è stato puntualmente osservato che l’atto unilaterale non può giovarsi del contesto situazionale ma esclusivamente del contesto verbale, cioè delle risorse interpretative offerte dai nessi grammaticali e sintattici (ex art. 1363 c.c.), segnando un’eccezione a tale principio solo gli artt. 625 e 628 c.c., stante le peculiarità dell’atto mortis causa. Ed in tale ottica si è, anche, rimarcato come l’oggettività del senso letterale possa essere superata soltanto nelle figure giuridiche in cui lo scopo perseguito da una parte si rilevi condiviso dall’altra.

18. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale: condizionato fondato.

19. La sentenza pertanto deve essere cassata, con rinvio ad altra Corte d’Appello, indicata in dispositivo, che si informerà al seguente principio di diritto: “nell’interpretazione dei negozi unilaterali il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, anche servendosi dei nessi grammaticali e sintattici di cui all’art. 1363 c.c., dovendosi escludere, di contro, per l’unilateralità che connota i negozio, che possa farsi ricorso al canone ermeneutico della comune intenzione delle parti. Nè può indagarsi, per ricostruire la volontà negoziale unilaterale, oltre il senso letterale delle parole adoperate, dando rilievo ad atti esterni al negozio, non spiegando rilevanza, a tal fine, il contesto in cui si sia progressivamente formata la volontà negoziale, ove non incorporato nel documento scritto, o la valutazione del comportamento dei destinatali dell’atto”.

20. Il Giudice del rinvio prowederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti gli altri motivi e il ricorso incidentale condizionato; cassa e rinvia, in relazione al motivo accolto, alla Corte d’appello di Genova, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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