Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19707 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19707 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 9353-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

CASTELLI ARMI.D0 LEONE, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA VIA XX SETTEMBRE 98-G, presso lo studio
dell’avvocato SCATAMACCHIA FABIO, che lo rappresenta e
difende giusta delega a margine;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 28/08/2013

avverso la sentenza n. 101/2005 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 07/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/01/2013 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito per il controricorrente l’Avvocato SCATAMACCHIA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

che ha chiesto il rigetto;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso proposto dinanzi alla CTP di Roma Castelli Antonio impugnava l’avviso di accertamento con il
quale l’Agenzia delle Entrate di Roma 6, in applicazione dei parametri di cui al DPCM 29-1-1996, aveva
rideterminato il reddito dichiarato (da lire 23.000.000 a lire 53.137.000), con conseguenti maggiori imposte
IRPEF, CSSN, contributo straordinario per l’Europa e sanzioni pecuniarie.

Con sentenza depositata il 7-2-2006 la CTR di Roma rigettava l’appello dell’Ufficio; in particolare la CTR
riteneva di disapplicare il DPCM in questione in quanto lo stesso, nonostante la natura intrinseca di
regolamento, non era munito del previsto parere del Consiglio di Stato; riteneva, inoltre, che l’Ufficio non
aveva assolto l’onere di provare la pretesa avanzata nei confronti del contribuente, non avendo fornito
alcuna indicazione né su come si era formato il suo convincimento in contrasto con le indicazioni della
parte nè sulle modalità di determinazione dei maggiori compensi.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a due motivi; resisteva con
controricorso il contribuente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia, deducendo -ex art. 360 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione dell’art. 112
cpc, rilevava che la CTR aveva deciso di rigettare l’appello sulla base di una questione (la presunta
illegittimità del DPCM 29-1-1996) mai dedotta dal contribuente nè in primo nè in secondo grado.
Con il secondo motivo l’Agenzia, deducendo —ex art. 360 n. 3- violazione e falsa applicazione dell’art. 3,
comma 181 e 183 L. 549/95 e dell’art. 7, comma 5, d.lgs 546/1992, nonchè —ex art. 360 n. 5 cpc- omessa,
insufficiente o contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rilevava che il DPCM in
questione non poteva in nessun modo essere ricompreso nel novero dei regolamenti governativi (che,
come tali, devono esseri emessi dal Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato), atteso che
l’art. 3 della L 549/1995 aveva stabilito in maniera puntuale l’iter procedimentale per l’emanazione del
detto DPCM.
Il ricorso va rigettato.
Per condiviso principio di questa Corte “il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio
tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un
rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso
il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di
ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficien

L’adita CTP accoglieva il ricorso.

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sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze awerso una di tali “rationes
decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. sez. unite 7931/2013; v. anche
22753/2011 e 2108/2012).
Nella specie la CTR ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando quindi l’illegittimità dell’accertamento,
sulla base di due distinte ed autonome rationes decidendi, ciascuna delle quali giuridicamente e
logicamente idonea da sola a sorreggere la decisione; la CTR, invero, ha ribadito l’illegittimità

dal parere del Consiglio di Stato sia perché l’Ufficio non aveva assolto l’onere di provare la pretesa avanzata
nei confronti del contribuente, non avendo fornito alcuna indicazione né su come si era formato il suo
convincimento in contrasto con le indicazioni della parte nè sulle modalità di determinazione dei maggiori
compensi; siffatta ultima ratio è rimasta assolutamente priva di specifica censura, sicchè detta omessa
impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa all’altra, la quale, essendo
divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso
l’annullamento della sentenza.
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi di lite relativi al presente
giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per spese.
Così deciso in Roma in data 31-1-2013 nella Camera di Consiglio della sez. tributaria.

dell’accertamento sia perché non poteva essere applicato il su menzionato dpcm in quanto non preceduto

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