Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19707 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. un., 17/09/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2032-2008 proposto da:

P.G. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI 2 B, presso lo studio dell’avvocato DE

MARTINI CORRADO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PASSINI ROBERTO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA DIFESA;

– intimati –

sul ricorso 5380-2008 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA DIFESA, in

persona dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5497/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’11/12/2006;

udito l’avvocato DE MARTINI Corrado;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. CURCURUTO FILIPPO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata in data 11 dicembre 2006, riformando la sentenza del primo giudice, ed accogliendo l’eccezione proposta, già nel grado precedente, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero della Difesa, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di P.G. diretta ad ottenere il risarcimento del danno subito per esser stato riformato e, quindi, congedato mentre frequentava il Corso Allievi Sottoufficiali del Corpo della Guardia di Finanza, essendogli stata diagnosticata una malattia cardiaca, rivelatasi poi inesistente.

La Corte ha individuato il fondamento della domanda nell’ingiusto congedo, derivante da erronea valutazione, da parte degli organi dell’amministrazione incaricati del relativo accertamento, dell’idoneità fisica al servizio necessaria per la prosecuzione del rapporto, e quindi nella non corretta applicazione del D.P.R. n. 1008 del 1985, art. 15, ossia in una doglianza circa il cattivo uso fatto dall’Amministrazione dei poteri ad essa attribuiti nell’ambito del rapporto di impiego pubblico, il quale, pertanto, costituiva il momento genetico della condotta denunziata come illegittima.

La Corte ha tratto conferma di tale conclusione dal richiamo, nell’atto introduttivo, del cit. D.P.R. n. 1008 del 1985 e dall’assenza di qualsiasi riferimento all’art. 32 Cost., artt. 2043 e 2059 c.c., menzionati solo nella comparsa conclusionale, nonchè dalla prevalente commisurazione del danno, pur richiesto a titolo sia contrattuale che extracontrattuale, alla mancata percezione degli stipendi a seguito della cessazione dal servizio, con conseguente collegamento della causa petendi al rapporto di lavoro e connotazione in termini contrattuali dell’azione proposta.

P.G. chiede la Cassazione di questa sentenza con ricorso per tre motivi.

Le Amministrazioni intimate resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato con due motivi.

Il ricorrente principale ha depositato memoria.

Considerato in diritto Preliminarmente occorre riunire i ricorsi, proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., si addebita, in sintesi, alla sentenza impugnata di non aver tenuto presente che la domanda del P. era fondata su un reiterato comportamento illecito ed anche illegittimo della p.a., incidente su un diritto in nessun modo comprimibile, quale il diritto alla salute.

Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1, in relazione all’art. 2 Cost., si addebita anzitutto alla sentenza impugnata di non aver considerato che il petitum sostanziale della domanda svolta dal P. era il danno extracontrattuale da limitazione della sfera della personalità, essendo stata lesa, dal comportamento negligente e superficiale dell’Amministrazione nell’accertamento della malattia, la legittima aspettativa del P. ad un futuro professionale conforme alle sue legittime aspirazioni, con perdita di “chances”, costituente, di per se, un danno risarcibile. Si addebita, inoltre, alla sentenza di non aver considerato l’ulteriore profilo di danno, riguardante la seria menomazione della qualità della vita derivante dal dubbio sulla presenza di una patologia, da ricondurre alla fattispecie del danno esistenziale.

Con il terzo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1, in relazione all’art. 2043 c.c., si addebita ancora alla sentenza impugnata di non aver rilevato che la domanda del P. mirava a far valere non l’inosservanza di uno specifico obbligo contrattuale ma la lesione – su base extracontrattuale – del diritto assoluto e personale all’integrità fisica e allo sviluppo della personalità. Si sottolinea, inoltre, che, pur collocandosi la domanda, proposta nel novembre 1997, in un momento anteriore alle innovazioni legislative e giurisprudenziali della materia, non si era mai dubitato della cognizione del g.o. in materia di lesione di diritti personalissimi da parte della p.a..

Si critica, infine, la sentenza impugnata per non aver considerato che il riferimento alla perdita degli stipendi aveva la sola funzione di individuare con certezza almeno una parte del quantum di risarcimento, senza pregiudizio dei profili ulteriori.

I tre motivi di ricorso si concludono con un unico quesito dove si chiede, testualmente, alla Corte di dire “Se la lesione di un diritto fondamentale, costituzionalmente garantito dagli artt. 2 e 32 Cost.

quale quello alla salute, all’integrità personale e allo sviluppo della personalità e dunque se il relativo risarcimento dei danni in tema di responsabilità civile rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo o non rientri invece nella sfera di giurisdizione del giudice ordinario”.

Va messo in rilievo, anzitutto, che la formulazione di un unico quesito a conclusione di tre diversi mezzi di ricorso determina dubbi consistenti circa l’osservanza, da parte del ricorrente, della regola fissata dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile in ragione della data della sentenza impugnati, il quale – è bene ricordarlo – è stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47 (riforma rito civile) ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per Cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della riforma Autorità (Cass. 428/2010).

La giurisprudenza di queste Sezioni unite ha infatti affermato che anche nel caso di proposizione di motivi di ricorso per Cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di Cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (Sez. Un. 5624/2009).

Nel caso di specie, il ricorso è articolato su tre diversi motivi di censura, sicchè sarebbe stato onere del ricorrente formulare tre separati quesiti di diritto.

Queste Sezioni unite, inoltre, con orientamento consolidato, ritengono inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per Cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso “sub iudice”. (Sez. un. 28536/2008 che in applicazione del principio ha dichiarato l’inammissibilità di un motivo di ricorso accompagnato da un quesito che, partendo dall’assunto che nell’ipotesi in esame non ricorressero i presupposti richiesti dall’art. 344 c.p.c., chiedeva di sapere se fosse ammissibile l’intervento del soggetto garantito; v. anche Sez. Un., 28869/2008, che ha ritenuto inadeguato, e dunque inammissibile, il quesito se l’art. 2051 c.c. “richieda la sussistenza di un rapporto di custodia tra il soggetto e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, indipendentemente dal fatto che tale soggetto ne sia proprietario o abbia con tale cosa una relazione diretta”, quando – come nella specie – il giudice di merito abbia fondato il giudizio di non responsabilità sull’assenza di prova circa la disponibilità della cosa. Le Sez. un. hanno precisato che, in tale caso, la censura del ricorrente avrebbe dovuto contestare l’adeguatezza della motivazione, perchè conseguente ad un apprezzamento di merito, e non invece sostenere la violazione o disapplicazione della norma di legge, la cui interpretazione non era stata in discussione; Sez.un. 28054/2008 per la quale affinchè il quesito di diritto, di cui all’art. 366 bis c.p.c., abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso per Cassazione, non è sufficiente che la parte, vertendosi in materia di riparto della giurisdizione nel pubblico impiego, domandi astrattamente quale sia il momento da prendere in considerazione in riferimento alla locuzione “questioni attinenti al rapporto di lavoro” di cui al D.Lgs. 30 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69) poichè la conseguente risposta si risolverebbe in un’affermazione di principi, ormai costituenti diritto vivente, attinenti alla rilevanza in astratto di un atto amministrativo emanato anteriormente al 30 giugno 1998, pronuncia, questa, inidonea a risolvere la specifica controversia).

In altri termini, non corrisponde alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito formulato, con riferimento alla questione di giurisdizione, prescindendo del tutto dalla fattispecie concreta rilevante nella controversia, sì da non porre il giudice di legittimità in condizione di comprendere, in base alla sola sua lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris”. (Sez. Un. 7433/2009, in relazione a quesiti che prescindendo dalla fattispecie concreta all’esame della S.C. erano così formulati: a) “spetta alla giurisdizione AGO la cognizione dell’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica, indipendentemente dalla consistenza di diritto soggettivo, di interesse legittimo, o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento della situazione giuridica soggettiva, la cui lesione, ad opera dell’atto amministrativo, sia fonte di danno ingiusto”; b) “nella carenza di decisioni giurisdizionali o amministrative di autotutela, recanti l’annullamento dell’atto amministrativo ritenuto causa di danno ingiusto, la cognizione della conseguente azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. spetta alla giurisdizione AGO”).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata, richiamando i fatti dedotti nell’atto introduttivo, ha ritenuto che la domanda del P. fosse specificamente fondata sulla violazione di obblighi inerenti al rapporto di pubblico impiego instauratosi fra le parti.

Il ricorrente, nel quesito conclusivo, dando per scontato che tale lettura sia inesatta, ma senza chiarire le ragioni dell’errore di diritto nel quale sarebbe incorso il giudice di merito, chiede alla Corte di ribadire un principio che la sentenza non ha in alcun modo disatteso e che non è idoneo a risolvere la controversia perchè, in sostanza, muove da un presupposto indimostrato.

Così stando le cose, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, nè tale conclusione è resa dubbia dalle considerazioni sviluppate dal ricorrente nella memoria.

Infatti, quanto al profilo della pluralità di quesiti in relazione ai plurimi motivi del ricorso, la sentenza ivi cit. (Cass. 19560/2007) riguarda un caso, opposto a quello ora in esame, nel quale ad un unico motivo corrispondeva una pluralità di quesiti.

Quanto poi all’essenziale nucleo decisorio della sentenza impugnata, va rilevato che se questa ha male interpretato la domanda, è essenziale che le ragioni di tale errore vengano, pur sinteticamente, evidenziate nel quesito di diritto, mentre è del tutto irrilevante mettere in luce una lettura eventualmente inadeguata o incompleta della domanda in sede di relazione ex art. 380 bis c.p.c..

Il ricorso incidentale, condizionato, resta assorbito.

La particolarità della vicenda induce la Corte a dichiarare compensate le spese del giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

 

 

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