Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19705 del 17/09/2010

Cassazione civile sez. un., 17/09/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 17/09/2010), n.19705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE MILITARE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, domiciliato in Roma, via Acquasparta n. 2;

– ricorrente –

contro

Q.A.;

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza del Consiglio della Magistratura Militare in sede

disciplinare n. 1 del 2009, depositata il 24 novembre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente Procura Generale, il dott. Francesco

Gentile;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consiglio della Magistratura Militare in sede disciplinare, con sentenza n. 1 del 2009, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Q.A., magistrato militare con funzioni di Presidente del Tribunale Militare di Roma, perchè il procedimento disciplinare è estinto ai sensi del D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59.

Il Q. era incolpato della “violazione del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, in relazione al R.D. 3 aprile 1926, n. 746, artt. 4 e 13, e a quanto disposto con circolare USG-G-07 approvata il 18 dicembre 1981 dal Ministro della difesa, per aver gravemente mancato ai propri doveri, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato, compromettendo il prestigio dell’ordine giudiziario di appartenenza, perchè in epoca ricompresa tra settembre 1997 e febbraio 1998, Presidente del Tribunale Militare di Roma: a) abitualmente utilizzava impropriamente le autovetture assegnate per servizi tecnici al Tribunale Militare di Roma, onde farsi trasportare dall’una all’altra di due sue abitazioni in (OMISSIS), site in via (OMISSIS) e via (OMISSIS); b) abitualmente utilizzava le medesime autovetture onde farsi condurre e prelevare presso la Commissione tributaria con sede in (OMISSIS), di cui era giudice; c) (…) utilizzava una delle predette autovetture per farsi trasportare (…) per esigenze non di ufficio” nelle località specificamente indicate nel capo di incolpazione; “d) in data (OMISSIS) disponeva di autovettura, postagli a disposizione dalla Guardia di finanza, in località “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)” di (OMISSIS), in periodo in cui era assente dal servizio a causa di infermità, per finalità estranee all’ufficio”.

Richiamato il contenuto del D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59, comma 9, secondo cui entro un anno dall’inizio del procedimento deve essere comunicato all’incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare, e dato atto del consenso dell’incolpato alla declaratoria di estinzione del procedimento, il Consiglio ha rilevato che tra la data di inizio del procedimento e quello in cui era stato comunicato al Q. il decreto di fissazione della discussione dinnanzi alla Sezione disciplinare era trascorso più di un anno.

Il procedimento, invero, era iniziato il 5 giugno 1998, con nota della Procura generale militare; il 2 febbraio 1999, quando ancora non era stato comunicato all’incolpato il decreto di fissazione della discussione orale, era intervenuta la sospensione del procedimento disciplinare per effetto dell’esercizio, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, dell’azione penale nei confronti del Q. per i medesimi fatti di cui al capo di incolpazione. Il termine annuale aveva poi ripreso il proprio decorso dal 12 aprile 2009, e cioè dalla data di irrevocabilità della sentenza della Corte d’appello di Roma, che aveva definito il procedimento penale, e il successivo 29 settembre era stato adottato il decreto di fissazione dell’udienza di discussione, comunicato al Q. il successivo 30 settembre.

Il Consiglio della Magistratura Militare ha quindi osservato che sommando i due periodi, e cioè quello intercorso tra il momento dell’inizio del procedimento disciplinare, sino alla sospensione del medesimo, e quello ripreso a decorrere dalla cessazione della sospensione alla comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, era decorso più di un anno (7 mesi e 27 giorni il primo periodo; 5 mesi e 17 giorni il secondo periodo;

complessivamente un anno, un mese e quindici giorni).

Il Consiglio ha infine ritenuto che non potesse tenersi conto del decreto di fissazione dell’udienza di discussione comunicato al Q. il 27 maggio 1999, giacchè a tale data il procedimento disciplinare era già sospeso per il semplice fatto della pendenza del procedimento penale, idonea a determinare la sospensione ipso jure del procedimento disciplinare; detto decreto doveva quindi essere considerato tamquam non esset.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, notificato al Q., al Ministero della difesa e al Consiglio della Magistratura Militare; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denuncia violazione ed errata interpretazione del R.D.L. n. 511 del 1946, art. 28, art. 3 cod. proc. pen. del 1930 e D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59, nonchè vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria.

Dopo aver ricordato che con atto in data 25 maggio il Presidente del Consiglio della Magistratura Militare aveva fissato l’udienza di discussione orale per il 5 ottobre 1999; che con istanza del 12 luglio 1999, il Dott. Q. aveva chiesto la sospensione del procedimento disciplinare e che con ordinanza in data 5 ottobre 1999 il C.M.M. aveva disposto la sospensione del procedimento sino alla definizione del processo penale con sentenza irrevocabile, il ricorrente afferma che la sentenza impugnata sarebbe errata perchè non ha tenuto conto della esistenza di detto provvedimento e soprattutto del fatto che la sospensione di cui all’art. 3 cod. proc. pen., del 1930 impediva solo che il procedimento disciplinare potesse essere deciso nel merito, non anche il compimento di atti del medesimo procedimento. Il C.M.M. inoltre avrebbe errato nel ritenere che la sospensione prevista dall’art. 59, comma 11, espressamente menzionata in sentenza, potesse operare sin dal 2 febbraio 1999, anche se a tale data al Q. non era stata comunicata alcuna richiesta di fissazione dell’udienza di discussione. Al contrario, sostiene il ricorrente, il citato art. 59, comma 11, dispone la sospensione dei termini interni al procedimento disciplinare, quale effetto della sospensione di tale procedimento, che è invece prescritta dal R.D.L. n. 511 del 1946, art. 28, comma 2, con rinvio all’art. 3 cod. proc. pen. del 1930; in altre parole, i termini di cui alìart. 59 avrebbero dovuto essere ritenuti sospesi solo dopo il provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare per contemporanea pendenza del procedimento penale.

Il C.M.M. avrebbe infine errato a ritenere tamquam non esset il decreto di fissazione dell’udienza di discussione in data 25 maggio 1999, in quanto a quel momento il procedimento disciplinare non poteva ritenersi sospeso ex lege per effetto di quanto disposto dal D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59, comma 11, giacchè all’autorità disciplinare non era ancora pervenuta alcuna comunicazione di avvenuto esercizio dell’azione penale, sicchè solo a decorrere dal 5 ottobre 1999, e cioè dalla data dell’ordinanza del C.M.M. che dispose la sospensione del procedimento disciplinare, doveva ritenersi sospeso anche il corso dei termini interni al procedimento, ai sensi di quanto stabilito dal citato art. 59, comma 11.

Il ricorso è fondato.

La scansione temporale della vicenda disciplinare oggetto del presente giudizio è la seguente: inizio del procedimento disciplinare in data 5 giugno 1998; richiesta, da parte della Procura Generale Militare, di fissazione dell’udienza di discussione orale, in data 19 aprile 1999; emissione del decreto di fissazione di detta udienza in data 25 maggio 1999; presentazione, da parte dell’incolpato, in data 12 luglio 1999, di una istanza volta a sollecitare la sospensione del procedimento disciplinare per pendenza del procedimento penale per i medesimi fatti; adozione dell’ordinanza di sospensione del procedimento disciplinare all’udienza del 5 ottobre 1999; irrevocabilità della sentenza in sede penale in data 12 aprile 2009; comunicazione della irrevocabilità della sentenza penale effettuata dalla Corte d’appello al C.M.M. il 15 settembre 2009; fissazione della udienza di discussione orale con decreto del 29 settembre 2009, comunicato all’interessato il successivo 30 settembre; svolgimento dell’udienza di discussione il 27 ottobre 2009; decisione con la sentenza qui impugnata all’udienza del 4 novembre 2009.

L’errore della sentenza impugnata risiede in ciò che la stessa ha ritenuto che in data 2 febbraio 1999, quando ancora non era stato comunicato all’incolpato il decreto di fissazione della discussione orale, è intervenuta la sospensione del procedimento disciplinare ai sensi del D.P.R. n. 961 del 1958, art. 59, comma 11, come modificato dalla L. n. 1 del 1981, art. 12.

Il citato comma, invero, non prevede la sospensione del procedimento disciplinare a carico del magistrato per effetto della pendenza del procedimento penale, ma si limita a disporre che “il corso dei termini di cui al presente articolo è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l’azione penale (…)”.

La sospensione del procedimento disciplinare è invece oggetto della disciplina contenuta nel R.D.L. n. 511 del 1946, art. 28, a norma del quale “il procedimento disciplinare è promosso indipendentemente dall’azione civile o penale che procede dal medesimo fatto, od anche se il procedimento civile o penale è in corso. Nel caso in cui il magistrato sia sottoposto a procedimento penale, si applicano agli art. 3 c.p.p. e art. 31 del presente decreto. Qualora nei confronti del magistrato sia pronunziata sentenza penale, si applica l’art. 29 del presente decreto”.

Alla luce di tali disposizioni appare chiaro che la questione del rapporto tra il procedimento penale e il procedimento disciplinare deve trovare soluzione alla stregua delle disposizioni di cui all’art. 3 c.p.p., a norma del quale “quando l’azione penale è già in corso, il giudice civile o amministrativo o la pubblica autorità che procede disciplinarmente ordina la sospensione del giudizio”.

E’ dunque evidente che un procedimento disciplinare può essere sospeso allorquando si verifichino le condizioni stabilite dalla legge. Ma perchè la sospensione si verifichi è necessario che l’organo competente – nel caso di specie, il Consiglio della Magistratura Militare – accerti la sussistenza della condizione che impone la sospensione del procedimento disciplinare. L’art. 3 cod. proc. pen. del 1930, applicabile ratione temporis, mirava infatti ad impedire che l’autorità disciplinare si pronunciasse nel merito sul medesimo fatto per il quale era in corso un procedimento penale, e ciò fino a quando il procedimento penale non si fosse concluso.

Il C.M.M. ha dunque errato nel ritenere che la disposizione del D.P.R. n. 961 del 1958, art. 59, comma 11, come modificato dalla L. n. 1 del 1981, art. 12, potesse comportare, per il mero rilievo dell’inizio dell’azione penale, l’inefficacia degli atti compiuti legittimamente allorquando dell’esercizio dell’azione penale l’organo disciplinare non aveva avuto conoscenza e ancor più allorquando non era stata disposta la sospensione del procedimento.

Il citato art. 59, comma 11, in sostanza, là dove prevede che il corso dei termini è sospeso se per il medesimo fatto viene iniziata l’azione penale, consente la stasi nell’attività dell’organo disciplinare, ma non impone l’inattività dell’organo stesso e ancor meno comporta la caducazione degli atti compiuti. Del resto, proprio la natura dei termini contemplati dall’art. 59, per i quali il comma 11 prevede la sospensione, avvalora tale conclusione. Si tratta, infatti, a) del termine di un anno dal giorno in cui il Ministro o il procuratore generale hanno avuto notizia del fatto che forma oggetto dell’addebito disciplinare, fissato dal comma 6, per l’inizio dell’azione disciplinare; b) del termine di un anno dall’inizio del procedimento, entro il quale deve essere comunicato all’incolpato il decreto che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare; c) del termine di due anni successivi dalla predetta comunicazione, entro il quale deve essere pronunciata la sentenza. Si tratta, cioè, di termini che, al fine di indurre una sollecita definizione del procedimento disciplinare, pongono rigide scansioni all’attività dell’organo titolare dell’azione disciplinare e dei quali è prevista la sospensione, allorquando per il medesimo fatto rilevante disciplinarmente penda un procedimento penale.

D’altra parte, alla soluzione recepita dal Consiglio della Magistratura Militare in sede disciplinare non può condurre neanche la sentenza delle Sezioni Unite n. 2378 del 1997, impropriamente invocata dalla sentenza impugnata a sostegno della ritenuta estinzione dell’azione disciplinare, giacchè la scansione temporale che da tale sentenza emerge non risulta coerente con la applicazione che invece ne ha fatto il C.M.M..

Invero, posto che in detta sentenza si afferma che il procedimento è stato sospeso per effetto della pendenza dell’azione penale dal 6 aprile 1989 al 23 novembre 1993, e posto che l’azione disciplinare è stata promossa il 14 novembre 1990, e cioè tempestivamente ai sensi dell’art. 59, comma 6, dovrebbe ritenersi che l’affermazione secondo cui sono irrilevanti gli atti compiuti nel periodo in cui il procedimento disciplinare sia stato sospeso contrasti con l’applicazione che delle citate disposizioni hanno fatto le Sezioni Unite. Il fatto è che, come emerge sempre dalla sentenza n. 2378 del 1997, pur in pendenza dell’azione penale, l’azione disciplinare è stata esercitata in quel caso, come detto, il 14 novembre 1990, conformemente alla richiamata normativa, e successivamente è stata disposta, dall’organo competente, la sospensione dell’azione disciplinare per pregiudizialità penale.

Risulta allora chiaro che il principio affermato dalle Sezioni Unite non può essere letto come volto a ritenere inesistenti, o comunque inefficaci, gli atti del procedimento disciplinare compiuti prima della dichiarazione di sospensione del procedimento disciplinare, giacchè altrimenti la logica avrebbe imposto che del provvedimento di esercizio dell’azione disciplinare in pendenza di azione penale non potesse in quel caso tenersi conto.

Ne consegue che, nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza dinnanzi al C.M.M. è intervenuto allorquando il termine di un anno di cui al D.P.R. n. 561 del 1958, art. 59, comma 6, come modificato dalla L. n. 1 del 1981, art. 12, non era ancora decorso, e che, essendo la sentenza del C.M.M. intervenuta il 4 novembre 2009, a tale data, detratto ovviamente il lasso di tempo in cui il procedimento disciplinare è stato sospeso per effetto dell’ordinanza in data 5 ottobre 1999, non era neanche decorso il termine di due anni di cui al D.P.R. n. 561 del 1958, art. 59, comma 9.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con ‘ rinvio al Consiglio della Magistratura Militare in sede disciplinare perchè proceda a nuovo giudizio in ordine agli addebiti contestati al magistrato incolpato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, stante la natura di parte solo formale del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Consiglio della Magistratura Militare in sede disciplinare.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2010

 

 

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