Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19704 del 25/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19704 Anno 2018
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: GHINOY PAOLA

ORDINANZA
sul ricorso 21215-2016 proposto da:
MINISTERO DELLA SALUTE 96047640584, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
LEDDA MARIA GRAZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
AUGUSTO N1URRI 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

BUONANNO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO
STANCA;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 219/2016 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI, depositata il 01/07/2016;

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Data pubblicazione: 25/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY.
Rilevato che:

1. Maria Grazia Ledda adiva il Tribunale di Oristano e, sul

a seguito di trasfusioni di sangue, e di avere ottenuto dal
Ministero della Salute l’indennizzo mensile di cui all’art. 1 e 2
comma 1 della legge n. 210 del 1992 con decorrenza dall’aprile
1995, chiedeva la condanna del Ministero al pagamento
dell’indennizzo aggiuntivo previsto dall’art. 1, comma 7, della
legge n.238 del 1997, inutilmente richiesto con domanda
amministrativa del 17 ottobre 2006.
2.

Il Tribunale di Oristano accoglieva la domanda,

condannando il Ministero a pagare l’indennizzo aggiuntivo, e la
Corte d’appello di Cagliari respingeva l’appello del Ministero
della Salute.
3. il Ministero della Salute ha proposto ricorso per la
cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi;
6. Maria Grazia Ledda ha resistito con controricorso ed ha
proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un
motivo.
Considerato che:
1. con il primo motivo del ricorso principale viene

denunciata- ex art. 360, comma 1, n.3- la violazione e falsa
applicazione dell’art. 3, comma 1, della legge n.210 del 1992.
Il Ministero lamenta che la Corte abbia disatteso
l’eccezione di decadenza triennale ai sensi della norma
richiamata. Sostiene che, essendo l’indennizzo aggiuntivo
previsto dal comma 7 dell’art. 2 della I. n.210 del 1992 un
beneficio accessorio all’indennizzo principale previsto dall’art.
Ric. 2016 n. 21215 sez. ML – ud. 24-05-2018
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presupposto di avere contratto l’epatite da virus B e da virus C

1, sarebbe soggetto al medesimo termine triennale di
decadenza. Tale termine, essendo insorta la malattia di cui
soffre Maria Grazia Ledda prima della modifica apportata alla
legge n.210 del 1992 dalla legge n. 238 del 1997, dovrebbe
decorrere dalla data di entrata in vigore della novella, e

della I. n. 210. Nel caso, essendo risultata la correlazione delle
epatopatie HBV e HCV alle trasfusioni quantomeno dalla data di
presentazione della domanda per l’indennizzo ex art. 1 comma
1, la domanda del 2006 per l’indennizzo aggiuntivo sarebbe
irrimediabilmente tardiva.
2. Con il secondo motivo il ricorrente principale denunciaex art. 360 c.p.c., comma 1, n.3- la violazione e falsa
applicazione dell’art. 5, comma 3, della legge n.210 del 1992,
e sostiene che il termine per agire giudizialmente di un anno
dalla comunicazione della decisione sul ricorso al Ministero
della sanità avverso il giudizio della commissione medica o, in
difetto, dalla scadenza del termine previsto per la
comunicazione, ha natura perentoria.
3.

Con il terzo motivo del ricorso principale viene

denunciata- ex art. 360, comma 1, n.3- la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.: la Corte territoriale
avrebbe errato nel recepire acriticamente quanto emerso dalla
ctu, dalla quale risulta che la Signora Ledda è affetta da due

distinte patologie, senza prendere in considerazione il parere
del Consiglio Superiore di Sanità del 15 maggio 1996, secondo
il quale l’ipotesi di coinfezione di HBV e HCV che qui ricorre non
darebbe luogo ad un “distinto esito invalidante” come richiesto
per il riconoscimento dell’indennizzo aggiuntivo, ma, al più, ad
un aumento dell’evolutività della malattia, di per sé
riconducibile ad un medesimo quadro nosologico.
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dunque dal 28 luglio 1997, in applicazione dell’art. 3 comma 7

1. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Ai sensi dell’art. 2 comma 7 della legge n. 210 del 19.92,
come sostituito dall’art. 7, comma 1, d.l. 23 ottobre 1996, n.
548, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 dicembre 1996,
n. 641 “Ai soggetti da -nneggiati che contraggono più di una

invalidante distinto è riconosciuto, in aggiunta ai benefici
previsti dal presente articolo, un indennizzo aggiuntivo,
stabilito dal Ministro della sanità con proprio decreto, in misura
non superiore al 50 per cento di quello previsto ai commi 1 e
2″.
La prestazione si configura come accessoria rispetto
all’indennizzo principale che spetta per le conseguenze
dannose irreversibili dell’epatite post-trasfusionale, che ne
costituisce un presupposto necessario, ma rispetto ad esso è
autonomo, necessitando di un ulteriore elemento costitutivo,
qual è la derivazione eziologica dalla trasfusione di una
seconda malattia con distinto esito invalidante, nonché di
apposita domanda amministrativa.
2. Il termine triennale di decadenza eccepito dal Ministero
ricorrente, è previsto dall’art. 3, comma 1, della legge n. 210
del 1992, ed è espressamente correlato nella norma
all’indennizzo di cui all’art. 1 comma 1, tempestivamente
richiesto dalla signora Ledda, non già all’indennizzo aggiuntivo
di cui al comma 7 dell’art. 2. La natura di nuova e diversa

forma assistenziale di tale indennizzo aggiuntivo rispetto al
principale determina l’inapplicabilità al primo del termine
decadenziale dettato per il secondo, sulla base del principio
secondo il quale le norme sulla decadenza hanno carattere
eccezionale e non sono applicabili oltre i casi espressamente
previsti (v. Cass. n. 6130 del 27/04/2001, e più recentemente
Ric. 2016 n. 21215 sez. ML – ud. 24-05-2018
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malattia ad ognuna delle quali sia conseguito un esito

Cass. n. 6500 del 23/04/2003, che ha ribadito il divieto di
analogia delle norme che-prevedono un termine di decadenza).
La soluzione è suffragata dalla considerazione che la
stessa legge che ha istituito l’indennizzo aggiuntivo ha anche
esteso la decadenza prevista,d-all’art. 3 della I. n. 210 del 1992

decadenza per la nuova prestazione.
Nello stesso senso, Cass. 15/1/2016, n. 597 ha ritenuto
che il termine triennale di decadenza per il conseguimento
dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da
emotrasfusioni, introdotto dalla I. n. 238 del 1997, si applica
anche all’indennizzo previsto dall’art. 1, comma 6, della stessa
legge in favore dei figli danneggiati nella vita intrauterina da
madre affetta da epatite post-trasfusionale, proprio sul
presupposto che tale attribuzione, a differenza di quella qui in
questione, non costituisce una prestazione assistenziale
autonoma, ma un’estensione soggettiva di quella generale di
cui all’art.1 della I. n. 210 del 1992.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto
la Corte territoriale, diversamente da quanto assunto dal
Ministero, non ha ritenuto meramente ordinatorio il termine di
un anno per agire in giudizio previsto dall’art. 5, comma 3,
della legge n.210 del 1992, ma ha rilevato che nel caso il
ricorrente non aveva contestato il giudizio della Commissione

medica, le cui conclusioni ” epatopatia

HBV e HCV correlata”,

costituivano anzi il presupposto per la richiesta dell’indennizzo
aggiuntivo. Il motivo pertanto

è

inidoneo a confutare la

soluzione adottata del giudice di merito.
4. Anche il terzo motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha recepito il giudizio del nominato
c.t.u. medico legale, il quale aveva concluso che la doppia
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alle epatiti post trasfusionali, senza nulla disporre in tema di

infezione (HBV e HCV) dà luogo a due distinte malattie con
distinti- esiti invalidanti, seppure incidenti sul medesimo
organo. Ha precisato che nei chiarimenti depositati il 8 marzo
2016 l’ausiliare aveva spiegato che il danno anatomico e
funzionale al fegato causato da ciascun virus è di per sé simile,

maggiore, e delle quali la prima è molto difficile da eliminare
perché si integra nel DNA, e permane anche se si debella il
virus C per mezzo di un trattamento antivirale. Nel caso,
inoltre, il c.t.u. aveva aggiunto che le due infezioni
provocavano valori alterati differenti ed esito invalidante
distinto.
Soccorre quindi la giurisprudenza di questa Corte, secondo
la quale “il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della
sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del
consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese
devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui
fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti
strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può
prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi,
mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero
dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica
del convincimento del giudice”(v. da ultimo Cass. n. 24959 del
23/10/2017 e precedenti conformi ivi richiamati). Nel caso, a
sostegno del motivo non vengono valorizzate le nozioni
correnti della scienza medica, ma un risalente parere della
Consiglio Superiore di Sanità, che costituisce l’ organo di
consulenza scientifica del Ministro della Salute, che ha
individuato criteri di ordine generale, neppure con certezza
conferenti con il caso in esame.

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ma che si tratta di due infezioni, la cui risultante è un danno

5. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del
relatore, il ricorso principale, manifestamente infondato, va
rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art.’
375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., con assorbimento del
ricorso incidentale condizionato.
6. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la

7.

soccombenza.
Non sussistono i presupposti per il raddoppio del

contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma i. quater del
d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n.
228 del 2012, operando per le Amministrazioni dello Stato il
meccanismo della prenotazione a debito ( Cass. S.U. n.
9938/2014; Cass. n. 1778/2016) ed in considerazione del
mancato esame del ricorso incidentale condizionato.
P.Q.M.
Rigetta

il

ricorso

principale,

assorbito

l’incidentale

condizionato. Condanna il Ministero della Salute al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 2.500,00
per compensi, oltre ad C 200,00 per esborsi, rimborso spese
generali nella misura del 15°/0 ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del
2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il
versamento da parte del ricorrente principale e di quello
incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
24.5.2018
Adriana Doronzo, Presidente

IÌIL9te, L’e-L{ Q_

Ric. 2016 n. 21215 sez. ML – ud. 24-05-2018
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