Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19702 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. II, 21/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 21/09/2020), n.19702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20493/2019 proposto da:

H.M., elettivamente domiciliato in presso la cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIO MARCUZ;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 78/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza pubblicata l’8 gennaio 2019, respingeva il ricorso proposto da H.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Bologna aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale aveva disatteso la protezione sul presupposto della non credibilità del richiedente, osservando che, nel corso delle diverse audizioni, era caduto in molteplici e rilevanti contraddizioni. Peraltro, il racconto si presentava in contraddizione con le informazioni generali sul paese di provenienza dello straniero nel quale l’apparato statale era in grado di contenere fenomeni quali quelli narrati e di proteggere i propri cittadini tanto che il 6 ottobre 2016 in Pakistan era stata approvata una legge che aveva inasprito le punizioni contro il delitti di onore che quindi era alquanto improbabile che lo zio del ricorrente si esponesse ad una sicura condanna a morte vista la recente riforma che aveva previsto detta pena per le uccisioni per questioni di onore. In assenza di profili di vulnerabilità della persona il Tribunale respingeva anche la protezione umanitaria.

3. La Corte d’Appello confermava il provvedimento di primo grado ritenendo corretta la valutazione circa la non credibilità del richiedente rispetto alla quale l’appellante aveva genericamente richiamato il rispetto da parte dello straniero dei criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, n. 5, giustificando le discrasie rilevate con il tempo trascorso rispetto agli accadimenti. Secondo la Corte d’Appello era corretto quanto osservato dal Tribunale, sia in relazione alla improbabile denuncia per violenza sessuale nel rapimento sporta dai familiari della ragazza sia col rilevare non plausibile nè fondato il timore rappresentato dal richiedente di rischiare di essere ucciso per vendetta dallo zio vista anche la recente riforma che aveva previsto la pena di morte per l’uccisione per questioni d’onore.

Il Tribunale aveva richiamato anche fonti internazionali e peraltro lo stesso richiedente aveva affermato che la cugina si era nel frattempo sposata, venendo dunque a mancare anche le ragioni della presunta persecuzione. Pertanto, era da confermare il rigetto sia dell’asilo politico sia la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del citato Decreto.

La Corte d’Appello confermava anche il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), vista l’assenza di una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata nella zona di provenienza del richiedente. La Corte d’Appello richiamava il report più recente disponibile sulla sicurezza in Pakistan dal quale emergeva una diminuzione del 69% degli attacchi terroristici e non ravvisava alcuna situazione di vulnerabilità del richiedente ostativa al suo rimpatrio, non potendo a tal fine valere nè che gli avesse intrapreso un percorso di integrazione nel paese nè l’esistenza di un contratto di lavoro.

4. H.M., ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

5. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, onere probatorio attenuato.

Il ricorrente premette che l’onere probatorio gravante sul richiedente la protezione internazionale circa i fatti allegati a supporto della propria domanda di protezione si sostanzia in un onere probatorio attenuato, ai sensi della norma sopra richiamata. Nella specie il richiedente avrebbe soddisfatto tutti i requisiti previsti, agendo con diligenza e buona fede in tutte le fasi della procedura e fornendo informazioni veritiere, coerenti e plausibili e non in contrasto con quelle fornite dai vari organismi internazionali. Peraltro, la motivazione della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale non è stata tradotta per iscritto in una lingua conosciuta dal ricorrente e questo ha determinato alcune discrasie nel racconto. In ogni caso il richiedente ha fornito elementi della propria vicenda corredati da specificità, quando davanti all’autorità giudiziaria gli sono stati chiesti gli approfondimenti necessari che erano stati totalmente pretermessi nella fase stragiudiziale amministrativa.

Sicchè, il giudice avvalendosi dei poteri ufficiosi di indagine non avrebbe dovuto limitarsi a un accertamento fondato prevalentemente sulla credibilità soggettiva del richiedente ma avrebbe dovuto verificare la reale implementazione della norma sui delitti d’onore nell’ordinamento giurisdizionale pakistano. In tal senso il ricorrente cita alcuni documenti che dimostrerebbero come i crimini commessi in nome dell’onore non vengono puniti in Pakistan. Peraltro, il giudizio di non credibilità del ricorrente non potrebbe fondarsi su una situazione successiva al momento della sua fuga dal paese natio quale l’approvazione della riforma nella legislazione del Pakistan.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in merito al riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il ricorrente censura la motivazione sul diniego della richiesta di protezione sussidiaria, in particolare sulla situazione generale del Pakistan in relazione alla quale sussistono fondati motivi per ritenere che se il ricorrente ritornasse nel paese di origine correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno.

2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente sono infondati.

Le dichiarazioni del richiedente sono state giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento a lui riservato e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12-11-2019, n. 29279). Nel caso di specie, la critica formulata nel motivo costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei suddetti parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo la sua vicenda personale e la situazione generale del Pakistan, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati, sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, indicando le incongruenze e contraddizioni riscontrate. Ha inoltre esaminato le fonti di conoscenza circa la situazione generale del Pakistan, precisando che, in base a tali fonti, non si potesse ritenere in atto una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato.

Ancora una volta le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Per quanto si è detto i fatti allegati sono stati esaminati e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan e della zona di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Corte d’Appello non avrebbe esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la particolare vulnerabilità del richiedente riconducibile alla sua condizione soggettiva.

Peraltro, il richiedente era stato addirittura vittima di un vero e proprio attentato alla persona da parte di appartenenti al suo stesso nucleo familiare che avevano espresso più volte la volontà di ucciderlo nel caso in cui non avesse posto fine alla relazione con la cugina. Tali minacce devono essere considerate attuali e dunque egli nel caso di ritorno in patria verserebbe in uno stato di pericolo non potendosi mai perdonare una simile offesa nella cultura del luogo e dovendo la stessa essere lavata col sangue.

Inoltre, il ricorrente sarebbe pienamente integrato nel tessuto sociale italiano essendosi impegnata nello studio della lingua italiana avendo partecipato ad attività lavorativa.

3.1 Il terzo motivo è inammissibile.

Deve nuovamente ribadirsi che il racconto del richiedente la protezione umanitaria, con giudizio non sindacabile in questa sede, è stato ritenuto non credibile e, dunque, vengono meno tutte le argomentazioni che sorreggono il motivo e che si basano sul rischio derivante dalle minacce di morte poste in essere dai familiari. Inoltre, la Corte d’Appello, ha escluso, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, oltre alla credibilità del racconto anche l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente sulla base di una corretta valutazione dei presupposti oggettivi e soggettivi. Sulla base del report più recente disponibile sulla sicurezza in Pakistan emergeva una diminuzione del 69% degli attacchi terroristici e non si ravvisava alcuna situazione di vulnerabilità del richiedente ostativa al suo rimpatrio, non potendo a tal fine valere nè che gli avesse intrapreso un percorso di integrazione nel paese nè l’esistenza di un contratto di lavoro.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

4. Il ricorso è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più SPAD;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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