Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1970 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1970 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’AMATO Leo Vittorio Benito, rappresentato e difeso, in forza
di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Anselmo
Barone e Carlo Maria Barone, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, via Tagliamento, n. 14;

ricorrente

contro
PALOMBELLA Addolorata Nunzia Anna e PALOMBELLA Donato Nicola,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine
del controricorso, dagli Avv. Lucio Riccardi e Nicola Vittorio
Riccardi, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Domenico
Battista in Roma, via Trionfale, n. 5697;

– controrlicorenti –

4 /A

Data pubblicazione: 29/01/2014

e contro
D’AMATO Irma, rappresentata e difesa, in forza di procura spe-

ciale a margine del controricorso, dagli Avv. Pietro Ursini e
Riccardo Maria Riccardi, con domicilio eletto nello studio

controri3Ocorente per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari
in data 23 ottobre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
uditi gli Avv. Anselmo Barone e Gabriele Ferabecoli,
quest’ultimo per delega dell’Avv. Nicola Vittorio Riccardi e
dell’Avv. Riccardo Maria Riccardi;
nditcg il Pulibli~ Ministero, in ~sona dei gestitnto Procuratore Generale dott. Alberto Celeste, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
l. – Con atto di citazione notificato il 10 dicembre 1997,
i germani Addolorata Nunzia Anna Palombella e Donato Nicola
Palombella, nudi proprietari di un suolo esteso are 34,51 con
relativa costruzione, situato in Molfetta alla contrada “Parietone”, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani
lo zio Leo D’Amato, esponendo che, con atto pubblico per notar
Mastropasqua del 19 agosto 1980, trascritto alla conservatoria

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dell’Avv. Domenico Battista in Roma, via Trionfale, n. 5697;

dei registri immobiliari di Trani il 20 agosto 1980, era stata
loro donata dalla madre Irma D’Amato la nuda proprietà di detto immobile; che in precedenza la madre, con scrittura privata
del 6 settembre 1979, non trascritta, aveva trasferito in pie-

e alla di lui moglie Paola Fugardi; che, a seguito di tanto, i
coniugi D’Amato e Fugardi avevano convenuto in giudizio sia
Irma D’Amato sia i germani Addolorata e Donato Palombella ai
fini della verificazione della scrittura privata, nonché per
sentire dichiarare la invalidità del suddetto atto di donazione per simulazione e per frode ai loro diritti, ma il relativo
giudizio era stato definito dalla Corte d’appello di Bari,
quale giudice di rinvio, con sentenza n. 303 del 26 febbraio
1992, la quale, oltre a dichiarare la autenticità della sottoscrizione della scrittura privata del 6 settembre 1979, aveva
sanzionato la inopponibilità, ai fratelli Palombella, della
vendita operata con la predetta scrittura, attesa la precedente trascrizione della donazione, rigettando le ulteriori domande dei coniugi di invalidità della donazione sia sotto il
profilo della simulazione sia sotto il profilo della frode ai
loro diritti; che, per effetto di tale sentenza e della validità dell’operata donazione della nuda proprietà in favore di
essi istanti, i coniugi Leo D’Amato e Paola Fugardi dovevano
considerarsi titolari esclusivamente del diritto di usufrutto;
che, a seguito del decesso della Fugardi in data 30 maggio

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na proprietà lo stesso immobile al di lei fratello Leo D’Amato

1997, doveva ritenersi il consolidamento dell’usufrutto di costei alla nuda proprietà, sicché al marito D’Amato competeva
unicamente la titolarità del diritto di usufrutto sulla quota
pari alla metà dell’immobile.

chiarati pieni proprietari per la metà dell’immobile e nudi
proprietari per l’ulteriore metà; che il convenuto D’Amato,
quale usufruttuario della metà, fosse tenuto alla consegna di
un esemplare delle chiavi; che fossero disposte le modalità di
godimento del bene comune.
Si costituì il convenuto, il quale concluse per
l’inammissibilità o il rigetto della domanda con il risarcimento dei danni per lite temeraria e, in via riconvenzionale,
chiese riconoscersi la sua piena proprietà sull’immobile in
questione in conseguenza della sentenza della Corte d’appello
n. 303 del 1992 e del possesso ultradecennale in forza di un
titolo astrattamente idoneo o, in subordine, l’intero usufrutto, stante l’accrescimento derivante dal decesso della moglie
Fugardi; in via gradata, per l’ipotesi di accoglimento della
domanda attorea, domandò, sempre in via riconvenzionale, condannarsi gli attori e la loro madre Irma D’Amato, della quale
chiese preliminarmente autorizzarsi la chiamata in giudizio,
alla restituzione del prezzo, al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento, nonché al pagamento del costo dei
materiali, della manodopera, e di tutti gli altri oneri acces-

Tanto premesso, gli attori chiesero che essi fossero di-

sori sopportati per la gestione dell’immobile, anche eventualmente per arricchimento senza causa, oltre che la liquidazione
dell’indennità per i miglioramenti e per le addizioni apportati, da determinarsi mediante consulenza tecnica.

si costituì, resistendo.
2. – Il Tribunale di Trani, con sentenza in data 28 ottobre 2003, così provvedeva:
– in parziale accoglimento della domanda attorea, dichiarava
Addolorata e Donato Palombella titolari del diritto di
nuda proprietà sull’immobile;
– rigettava tutte le altre domande degli attori;
– in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale,
dichiarava Leo D’Amato unico usufruttuario dell’immobile;
– rigettava la domanda di ripetizione del prezzo e di risarcimento avanzata dal convenuto nei confronti degli attori
e della terza chiamata;
– compensava tra le parti le spese del giudizio.
3. – La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 ottobre 2007, ha rigettato il gravame di Leo D’Amato, ponendo a suo carico le
spese di lite.
La Corte territoriale ha osservato:
– che l’acquisto del secondo avente causa è acquisto a domino, poiché esso è anzitutto acquisto valido e poi perché

Autorizzata la chiamata in causa di Irma D’Amato, questa

il dante causa resta, in forza della trascrizione, legittimato a posteriori ad alienare al secondo avente causa;
– che l’espressione “trasferimento a

non domino” è

usata

nella sentenza n. 303 del 1992 della Corte di Bari in

sentenza, i giudici ebbero ad affermare anche
l’opponibilità dell’operato trasferimento della nuda proprietà nei confronti dei coniugi D’Amato e Fugardi, a ragione della anteriorità della trascrizione dell’atto di
donazione rispetto a quella della domanda di verificazione, avvertendo che si trattava di un negozio giuridicamente valido ed efficace opponibile ai terzi per effetto
della trascrizione ai sensi dell’art. 2644 cod. civ.;
– che è coperto dal giudicato interno, per mancata impugnazione specifica, il capo della sentenza di primo grado
che ha dichiarato l’estinzione, per prescrizione, di ogni
pretesa restitutoria o risarcitoria di Leo D’Amato nei
confronti di Irma D’Amato;
– che il motivo di gravame attinente alla reiezione della
domanda risarcitoria neppure può essere accolto nei confronti degli appellati germani Palombella, sia perché non
è affatto vero che la Corte d’appello, nella richiamata
sentenza, abbia affermato che la donazione fu posta in
essere dalle parti ben consapevoli della precedente vendita, sia perché, anche se tale consapevolezza fosse co-

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senso del tutto improprio, tant’è vero che, nella stessa

perta dal giudicato, nessuna prova ha mai addotto il
D’Amato in ordine alla entità e all’ammontare dei danni
che avrebbe subito.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte

posto ricorso, con atto notificato il 19 gennaio 2008, sulla
base di sette motivi.
Hanno resistito, con separati atti di controricorso, Addolorata Palombella, con Donato Palombella, e Irma D’Amato.
In prossimità dell’udienza tutte le parti hanno depositato
memorie.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione
degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione
all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.) si pone
l’interrogativo se, in presenza di giudicato esterno formatosi
su sentenza di merito (la n. 303 del 1992 della Corte
d’appello di Bari) resa tra le stesse parti di un successivo
giudizio, dichiarativa, per un verso, della autenticità delle
sottoscrizioni apposte su scrittura privata – non trascritta di vendita di fondo rustico e ricognitiva, per altro verso, in
conseguenza della così accertata autenticità, del carattere e
della consistenza di “trasferimento a non domino” dell’atto di
donazione della nuda proprietà del medesimo fondo successivamente posto in essere dalla originaria proprietaria a favore

d’appello, notificata il 20 novembre 2007, Leo D’Amato ha pro-

di terzi, ma trascritto prima della domanda di verificazione
della ripetuta scrittura privata di vendita, la Corte
d’appello, investita del gravame proposto dall’originario acquirente del fondo avverso la sentenza di primo grado attribu-

base alla ritenuta prevalenza dell’atto di donazione trascritto, ai sensi dell’art. 2644 cod. civ.), possa o meno disattendere il motivo di gravame fondato sulla non invocabilità
dell’art. 2644 cod. civ. da parte di chi (come i donatari nella specie) abbia acquistato a

non domino,

l’espressione “trasferimento a non domino”,

ritenendo che

usata nella sen-

tenza coperta dal giudicato esterno, fosse e sia stata adoperata in senso del tutto “improprio” e “atecnico”.
1.1. – Il motivo – scrutinabile nel merito sia perché formulato nel rispetto delle prescrizioni formali dettate dagli
artt. 366 e 366-bis cod. proc. civ., sia perché
l’interpretazione del giudicato operata dalla Corte d’appello
costituisce, non un apprezzamento di fatto, ma una
iuris,

quaestio

sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo

della violazione di legge – è infondato.
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 303 del
1992 passata in cosa giudicata, ha per un verso accolto la domanda “relativamente all’accertamento dell’autenticità delle
sottoscrizioni apposte sulla scrittura di vendita del 6 setteàbre 1979”, e per l’altro verso, nel respingere la domanda

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tiva ai donatari della nuda proprietà del medesimo fondo (in

circa la pronunzia di nullità, perché simulata o perché in
frode dei diritti dell’acquirente, della donazione dello stesso immobile con atto del 19 agosto 1980 per notaio Wastropasqua, ha rilevato che detto atto non solo non è nullo, ma “an-

sensi dell’art. 2644 cod. civ.”.
E’ esatto che, in quel contesto, la Corte d’appello ha affermato che “l’atto del 19 agosto 1980 non è simulato, ma semplicemente un atto di trasferimento ‘a

non domino'”: ma

da

quell’affermazione invano il ricorrente trae la conclusione
che vi sarebbe un giudicato nel senso dell'”ormai definitivo
accertamento della carenza di legittimazione della donante
D’Amato a disporre del fondo de quo, in dipendenza della alienazione del medesimo bene in precedenza effettuata in favore”
di Leo D’Amato e della di lui coniuge, o nel senso che il
D’amato sarebbe “destinato a prevalere, de iure, nel conflitto
con i prefati Palombella, in virtù del proprio precedente acquisto (pur se non trascritto), validamente concluso, mediante
la scrittura del 6 settembre 1979, con la (allora) effettiva
proprietaria del fondo”.
E’ infatti mera qualificazione giuridica – priva di incidenza e di influenza sul riconosciuto effetto di radicare in
capo ai germani Palombella, anche nei confronti del D’Amato (e
della di lui coniuge), la nuda proprietà dello stesso immobile
in ragione dell’atto di donazione del 19 agosto 1980 trascrit-

zi è opponibile ai terzi per effetto della trascrizione ai

to per primo – l’espressione, adoperata nella motivazione della citata sentenza, che nella specie il secondo trasferimento
di Irma D’Amato sarebbe stato “a non domino”.
Quell’espressione, infatti, semplicemente riecheggia il

dell’art. 2644 cod. civ., della norma, cioè, che – per il caso
che il medesimo bene immobile abbia formato oggetto di successivi atti di alienazione da parte dello stesso alienante – risolve il conflitto tra i diversi acquirenti del bene in base
al principio della priorità della trascrizione: alcuni configurando la trascrizione quale

condicio iuris

risolutiva che

opera nel senso di determinare il venir meno degli effetti del
primo atto, in tal modo riconducendo il comune autore nella
condizione giuridica antecedente l’atto dispositivo, quando
egli era titolare e dominus di quel dato diritto; altri invece
(e a questa opinione ha evidentemente aderito la Corte
d’appello con la sentenza n. 303 del 1992) ricostruendo la
prevalenza del secondo acquirente ma primo trascrivente con
l’assegnazione alla trascrizione di una funzione costituiva
integrante la fattispecie negoziale proveniente a non domino.
Ma l’adozione dell’una o dell’altra ipotesi ricostruttiva
è spiegazione, sul piano teorico, tanto della regola della
prevalenza di chi, acquistando per secondo, basa il proprio
acquisto sulla priorità della trascrizione, quanto dello scostamento dal principio del consenso traslativo di cui all’art.

dibattito dottrinale sviluppatosi sull’interpretazione

1376 cod. civ. e del prior in tempore potior

in iure; ma – ri-

petesi – è priva di effetti sulla affermazione, contenuta nella più volte citata sentenza n. 303 del 1992 della Corte di
Bari, e condivisa, con autonoma statuizione, dalla Corte

dell’operato trasferimento della nuda proprietà nei confronti
dei terzi, compresi i coniugi D’Amato e Fugardi, a causa
dell’anteriorità della trascrizione dell’atto di donazione rispetto a quella della domanda di verificazione della precedente scrittura privata di vendita.
2. – Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione
degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.), sul presupposto
della consapevolezza, riconosciuta dalla sentenza passata in
giudicato n. 303 del 1992, nelle parti dell’atto di donazione
di nuda proprietà di fondo rustico di sottrarre, attraverso
tale atto di donazione, il bene donato al precedente acquirente dello stesso, lamenta che la Corte d’appello, investita del
gravame proposto dall’originario acquirente del fondo avverso
la sentenza di primo grado reiettiva della domanda risarcitoria dallo stesso proposta, abbia disatteso il motivo di gravame basato sulla deduzione del giudicato esterno formatosi sul
menzionato accertamento della ricordata consapevolezza nei ridetti donatari.
2.1. – Anche questa censura è priva di fondamento.

d’appello con la sentenza qui impugnata, circa la opponibilità

Essa muove dal presupposto che con la sentenza n. 303 del
1992 sarebbe stata definitivamente accertata la sussistenza
dell’elemento soggettivo dell’illecito richiesto ai fini della
condanna, per responsabilità extracontrattuale, del destinata-

dell’immobile controverso.
Ma si tratta di un presupposto erroneo. La citata sentenza
non contiene alcun accertamento in ordine alla consapevolezza
dei donatari che il loro acquisto della nuda proprietà sarebbe
stato compiuto in frode ai diritti del primi acquirenti. Il
giudicato inter partes, infatti, ai fini di escludere il dedotto accorso simulatorio, valorizza la “prospettazione degli
stessi attori” (i coniugi D’Amato) nella “conclusionale del 7
febbraio 1982”, secondo cui “la donazione fu posta in essere
dalle parti (ben consapevoli della precedente vendita)
nell’intento di sottrarre agli acquirenti il bene già venduto
con la nota scrittura privata”. Nella citata sentenza, pertanto, il comune intento della donante e dei donatari di privare
i primi acquirenti del bene (per effetto della tempestiva trascrizione) non è stato oggetto di un accertamento, né di conseguente statuizione, della Corte d’appello, ma è stato utilizzato da quei giudici in chiave di “prospettata ipotesi” per
un verso escludente la dedotta simulazione e per l’altro verso
non ricadente, in diritto, nel motivo illecito o nella illiceità della causa per frode alla legge.

rio i donatari Palombella – del secondo trasferimento

Corretta ed esente da censure è, pertanto, la conclusione
cui è giunta la sentenza qui impugnata là dove – ferma la prescrizione di ogni pretesa risarcitoria nei confronti di Irma
D’Amato – si è escluso che il giudicato inter partes contenga

re, attraverso la liberalità, il bene donato ai precedenti acquirenti dello stesso.
3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione
d/eglà. artt. 2043, 2697, 2909 cod. civ., 112, 115, 116, 324,
342, 343 e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, nn.
3 e 4, dello stesso codice) ci si duole che la Corte
d’appello, investita del gravame proposto dall’originario acquirente del fondo avverso la sentenza reiettiva della domanda
risarcitoria dallo stesso proposta, si sia prospettata
d’ufficio la questione – dalle parti mai sollevata in causa della mancanza di prova dell’entità e dell’ammontare dei danni
subiti dall’appellante.
Il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione degli
artt. 1226, 2697, 2909 cod. civ., 112, 115, 116, 324, 342, 343
e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4,
dello stesso codice) lamenta che la questione della mancanza
di prova dell’entità e dell’ammontare dei danni subiti
dall’appellante sia stata prospetta (d’ufficio) pur versandosi
in fattispecie di danno in re ipsa (siccome insito nella riduzione del contenuto del diritto dominicale subita dal ridetto

una statuizione sulla consapevolezza nei donatari di sottrar-

primo acquirente trasformatosi da proprietario in mero usufruttuario).
Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione degli
artt. 1226 e 2056 cod. civ., 112, 115, 116 e 342 cod. proc.

ce) deduce che la violazione dei presupposti di applicabilità
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. postula l’avvenuto adempimento dell’onere, a carico della parte, di dimostrare tanto la
sussistenza quanto l’entità del danno, di talché, ove il giudice di merito abbia accertato il difetto di tale prova, gli
è, de iure,

interdetta la possibilità di procedere alla – lo-

gicamente successiva ed eventuale – delibazione della liquidabilità in via equitativa del medesimo danno.
Con il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli
artt. 1226, 2043, 2056, 2697, 2909 cod. civ., 112, 115, 116 e
342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4,
dello stesso codice) ci si duole che la Corte d’appello abbia
addebitato al D’Amato la mancata allegazione di elementi e
criteri per procedere alla richiesta valutazione equitativa
dei danni.
Il settimo motivo addebita alla sentenza impugnata omessa
o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
3.1. – I motivi dal terzo al sesto diventano inammissibili
per difetto di interesse.

civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, dello stesso codi-

Essi attaccano una ratio aggiuntiva della sentenza impugnata: quella secondo cui il D’Amato non avrebbe mai addotto
alcuna prova della entità e dell’ammontare dei danni subiti.
Ma poiché resta insuperata la prima e concorrente

ratio

dei donatari, per non essere costoro consapevoli della precedente vendita, non v’è modo di passare allo scrutinio delle
censure relative alla seconda ragione che sostiene la decisione impugnata.
Trova quindi applicazione il principio secondo cui qualora
la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende
inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto
di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque
condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla
cassazione della decisione stessa (Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, 2108).
4. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI

decidendl del diniego della tutela risarcitoria nei confronti

La Corte rigetta il ricorso e

condanna il ricorrente al

rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida, per ciascuna parte (Addolorata Palombella con
Donato Palombella, da un lato, e Irma D’Amato, dall’altro), in

di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2014.

euro 4.200, di cui euro 4.000 per compensi, oltre ad accessori

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