Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19698 del 21/09/2020

Cassazione civile sez. I, 21/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 21/09/2020), n.19698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20116/2019 proposto da:

A.I., domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 1, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Raffaele Rigamonti del foro di Lecco;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1618/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano – Sezione di Monza e Brianza che rigettava la domanda del ricorrente, volta al riconoscimento della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, A.I. interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Milano con ordinanza dell’8 giugno 2018;

– in virtù di appello proposto dal medesimo A., la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1618/2019, rigettava l’impugnazione con compensazione delle spese del grado;

– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, evidenziando, in primo luogo, di condividere la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente effettuata dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, considerato che la vicenda dell’uccisione del padre e del fratello da parte dei sunniti a seguito della festa sciita organizzata nel loro villaggio dal genitore era scarna e le circostanze generiche, oltre ad essere particolarmente superficiale la distinzione offerta tra sunniti e sciiti, tenuto conto peraltro la permanenza sul territorio pakistano della restante parte della famiglia del ricorrente. Siffatta inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni dell’appellante facevano ritenere insussistenti i requisiti per la protezione sussidiaria, anche perchè le informazioni acquisite attraverso siti ufficiali escludevano che il Pakistan versasse in condizioni di pericolosità, per cui non risultava che l’appellante potesse correre il rischio di subire un grave danno alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nè si trovava in una situazione a rischio di atti di persecuzione diretta e personale rapportabili alla previsione dell’art. 7 D.Lgs. cit.. Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, giacchè dalla relazione clinica del 5 febbraio 2019 risultava che il paziente, seguito dal febbraio 2017 dal CPS di Como per disturbo schizofrenico paranoico F 22 con visite ambulatoriali periodiche, dal 2018 non assumeva più alcuna terapia farmacologica per remissione della sintomatologia, nè vi erano elementi volti a dimostrare una valorizzabile integrazione sociale;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione l’ A. affidato a due motivi;

– il Ministero dell’Interno intimato ha depositato un semplice atto di (asserita) costituzione finalizzato all’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per non essersi la corte distrettuale – nonostante il diverso enunciato attenuta ai criteri stabiliti dalla normativa comunitaria dal momento che la protezione sussidiaria non poteva essere esclusa sulla base dell’affermazione circa “la possibilità (astratta o eventuale) del ricorrente di potersi trasferire, appunto in altra zona del paese che sia raggiunta dalla situazione di conflitto”.

La censura non può trovare accoglimento.

Premesso che le censure formulate con il primo motivo attengono genericamente all’esclusione della protezione sussidiaria e all’omessa considerazione della condizione di vulnerabilità, la Corte di appello di Milano ha motivatamente escluso la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, sottolineando le lacune ed incongruenze del racconto sul perchè lui fosse fuggito dal suo Paese di origine per l’uccisione del padre e del fratello per ragioni di religione, per essere la loro famiglia sciita ed i persecutori sunniti, e sui motivi della persecuzione subita dai ribelli, assumendo che tali incongruenze costituivano il riflesso della superficiale ricostruzione delle distinzioni confessionali, rendendo come tale inattendibile la narrazione (pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata). I giudici di secondo grado hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte sui limiti del sindacato di legittimità secondo cui “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 5 febbraio 2019 n. 3340).

Il richiedente, inoltre, non coglie l’autonoma ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, costituita dalla scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass. 2 ottobre 2019 n. 24647).

Ciò in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave, potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14 della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia Europea (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakitè, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).

Con riguardo all’omessa considerazione della condizione di vulnerabilità personale che discende dalla situazione nel Paese di provenienza, la corte territoriale ha ritenuto che la situazione nel Pakistan, quindi anche nell’area del Puniab, è in fase di stabilizzazione e comunque non caratterizzata dalle condizioni indicate dal ricorrente. Inoltre, diversamente da quanto asserito dall’ A., non risulta che la Corte di merito abbia invitato il ricorrente a trasferirsi in altra zona del Paese non raggiunta dalla situazione di conflitto.

A fronte di tale accertamento di merito non si ravvisano le generiche omissioni dedotte dal ricorrente, avuto peraltro riguardo al ribadito principio secondo cui il mancato esame di un elemento di giudizio può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali siffatta circostanza trascurata avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 28 settembre 2016 n. 19150; Cass. 5 dicembre 2014 n. 25756). Indicazione che nel caso di specie manca, non avendo neanche chiarito la ragione per la quale non avrebbe potuto determinarsi ad una scelta diversa;

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360, commi 5 e 6, per mancata considerazione di un fatto decisivo per la controversia oggetto di discussione, oltre a violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la corte territoriale escluso i presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, nonostante l’intera documentazione medica prodotta descrivesse il percorso terapeutico effettato dal ricorrente sin dal suo arrivo in Italia.

Anche il secondo motivo non può trovare ingresso.

Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. 22 febbraio 2019 n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019 n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro della tutela della salute, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione della situazione soggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

Inoltre, “la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore”” (Cass. 7 agosto 2019 n. 21123).

Nel caso di specie, il ricorrente ha posto a fondamento della richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria le sue condizioni di salute, legate alla diagnosi allo stesso fatta da struttura sanitaria pubblica nel febbraio 2017 di disturbo schizofrenico paranoico F 22 medesime, situazione di fatto che però risulta essersi ormai risolta per remissione della sintomatologia, per cui non il ricorrente non assume più alcuna terapia farmacologica.

I giudici di secondo grado, infatti, hanno evidenziato che l’attuale stato di salute del ricorrente, documentato dalla relazione clinica del 5 febbraio 2019, non giustificava il riconoscimento della situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente, come accertato anche dal giudice di primo grado, negando rilevanza all’originaria patologia definita in stato di “remissione della sintomatologia”.

Peraltro, questa Corte, dopo avere precisato che “la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente” ha evidenziato che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 7 febbraio 2019 n. 3681).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata

esime il Collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2020

 

 

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