Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19697 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19697 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

persona giuridica
– responsabilità

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PETRPI HOTEL ari,

rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Puri,

presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma in via XXIV
Maggio n. 43;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale

dello Stato,

presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;

controrícorrente e ricorrente incidentale

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Lazio n. 20/9/07, depositata il 20 marzo 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Paolo Puri per la ricorrente e l’avvocato
dello Stato per la controricorrente e ricorrente incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso per il rigetto del
ricorso principale e di quello incidentale.

Data pubblicazione: 28/08/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La srl Petra Hotel, in persona del legale rappresentante
Pietro Parmegiani, ricorre, sulla base di sette motivi, nei
confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale
del Lazio che, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia
delle entrate, ha ritenuto legittimo l’avviso con il quale era
stato rettificato ai fini dell’IRPEG il reddito dichiarato per
l’anno 1998 e, conseguentemente, la dichiarazione IVA per il
società.
L’ufficio aveva proceduto all’accertamento induttivo in
ragione dell’inattendibilità delle scritture esaminate in sede di
verifica e delle inesattezze rilevate nella dichiarazione.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso
proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo, cui replica
con controricorso la società contribuente, che ha successivamente
depositato memoria.
MOTIVI DIA DECISIONE
I ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima
decisione, devono essere riuniti per essere definiti con unica
pronuncia.
Con il primo motivo del ricorso principale la società
contribuente assume, sotto il profilo della violazione di legge,
che la mancata impugnazione da parte dell’ufficio delle

rationes

dbcíobnog, concernenti l’accertamento dell’inapplicabilità della

presunzione di cui all’art. 32, primo coma, n. 2 e n. 7, del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione alle
movimentazioni sui conti correnti bancari della società,
determinerebbe “il passaggio in giudicato della sentenza di primo
grado e, conseguentemente, la violazione da parte dei giudici di
seconde cure degli artt. 53 e 56 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
546, e dell’art. 324 cod. proc. civ., per non aver rilevato il
suddetto giudicato”.
Con il secondo motivo denuncia omessa motivazione
sull’eccepita inammissibilità dell’appello dell’ufficio per
“l’avvenuta modifica dei presupposti in fatto e in diritto posti
a fondamento dell’avviso e che hanno formato oggetto della
sentenza di primo grado”.

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medesimo anno, mentre ha annullato le sanzioni irrogate alla

Con il terzo motivo sostiene, lamentando violazione di
legge, che “la modifica da parte dell’ufficio appellante dei
presupposti in fatto e in diritto sui quali si basa l’avviso di
accertamento oggetto del giudizio e quella del metodo di
accertamento utilizzato costituiscono un mutamento della domanda
inammissibile in appello in virtù dell’art. 57 del d.lgs. n. 546
del 1992”.
Con il quarto motivo denuncia vizio di omessa pronuncia, ai
dell’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello per
mancanza di specificità dei motivi, in violazione dell’art. 53
del d.lgs. n. 546 del 1992.
Il quinto motivo, con il quale si denuncia violazione di
legge, si conclude con il quesito “se la sentenza di appello nel
non verificare l’esistenza dei presupposti fondanti
l’accertamento induttivo-extracontabile che si assume utilizzato
e nel non verificare l’attitudine dei dati accertati ad esprimere
il reddito netto del contribuente, abbia malamente applicato gli
artt. 39, co. 2, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 e
2423 cod. civ.”.
L’illustrazione del sesto motivo si chiude con il quesito
“se costituisce violazione degli artt. 39, co. l, lett. d), e co.
2, lett. d), e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 7 della legge n.
212 del 2000 la modifica/sostituzione da parte dell’ufficio nel
corso del giudizio dei presupposti in fatto e le ragioni in
diritto su cui si basa l’atto di accertamento a giustificazione
dell’utilizzo di un metodo di accertamento (induttivo
extracontabile) diverso da quello utilizzato nell’avviso di
accertamento oggetto del giudizio (analitico-induttivo)”.
L’esposizione del settimo motivo è seguita dal quesito “se
la sentenza d’appello, omettendo di valutare i documenti non
disponibili durante la fase amministrativa dell’accertamento ma
prodotti tempestivamente in giudizio dal contribuente abbia
violato l’art. 32, coma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, che va
interpretato nel senso di ammettere la produzione in giudizio da
parte del contribuente della documentazione non disponibile
durante la fase amministrativa, non solo se la mancata produzione
durante la fase di accertamento sia imputabile a causa di forza

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sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per il mancato esame

maggiore ma anche se dovuta a colpa quale la negligenza e
l’imperizia nella custodia e nella conservazione”.
Con

l’unico

motivo

del

ricorso

incidentale

l’amministrazione si duole, sotto il profilo della violazione di
legge, che sia stata esclusa la punibilità della società
contribuente per le violazioni e quindi l’applicabilità ad essa
delle sanzioni amministrative. Assume in proposito che l’art. 7,
comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, in forza del quale l’esclusiva
tributarie si applica anche alle violazioni già commesse ma non
ancora contestate o irrogate alla data di entrata in vigore dello
stesso decreto, escluderebbe, per effetto del successivo comma 3,
la possibilità di invocare il principio di legalità di cui
all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, per cui sarebbe
illegittima la sentenza impugnata che, in applicazione di tale
principio, abbia dichiarato non responsabile una persona
giuridica solo perché il fatto era stato commesso prima
dell’entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003, ancorché la
sanzione sia stata irrogata in epoca successiva.
Il quarto motivo del ricorso principale, il cui esame
logicamente precede, è privo di pregio.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “ad
integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la
mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario
che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si
verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa
fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa
anche se manchi in proposito una specifica argomentazione” (Cass.
n. 4317 del 2000 e n. 10636 del 2007).
Nella

specie,

la

reiezione

dell’eccezione

di

inammissibilità per mancanza di specificità dei motivi di appello
risulta evidente dalla dettagliata trascrizione, nello
svolgimento del processo, dei detti motivi, e quindi dal
successivo, analitico esame degli stessi – nonché dalla decisione
in ordine ad essi – da parte del giudice del gravame.

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responsabilità in capo alla persona giuridica per le sanzioni

Gli altri motivi del ricorso principale, da esaminarsi
congiuntamente in quanto strettamente connessi, devono essere
disattesi.
Si rivelano infondati anzitutto il quinto ed il sesto
motivo.
Con l’avviso impugnato era stata rettificata, ai fini IRPEG
e IVA, per quanto ancora interessa, la dichiarazione della srl
Petra Hotel per l’anno 1998 formulandosi, come principale
6.347.956.000 in relazione ad operazioni non identificabili
indicate, si legge nel ricorso della ricorrente, in un conto di
nastro finanziario “crediti/debiti v. società controllante”,
ovvero, si legge nel controricorso, “registrate nelle sezioni
Dare e Avere e a cui non sono state fornite idonee
documentazioni”.
Nell’accertamento delle imposte, come questa Corte ha
ripetutamente affermato, “l’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600, consente la rideterminazione dei ricavi e, quindi, dei
redditi su base induttiva, facendo ricorso a presunzioni semplici
di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., pur in presenza di
scritture contabili formalmente corrette, quando la contabilità
possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente
inattendibile” (Cass. n. 57321 del 2012).
Si è chiarito come “mentre in presenza di irregolarità
della contabilità meno gravi, contemplate dal primo coma
dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,
l’amministrazione può procedere a rettifica analitica,
utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero
dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti
di cui all’art. 2729 cod. civ., l’inesattezza o incompletezza
delle scritture medesime, allorquando, invece, constati
un’inattendibilità globale delle scritture, l’ufficio è
autorizzato, ai sensi del successivo secondo coma, a prescindere
da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di
semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire
prova presuntiva. La circostanza che le irregolarità contabili
siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di
complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé

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rilievo, l’omessa contabilizzazione di ricavi per lire

sola legittima l’adozione del metodo induttivo, senza che sui
presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui
tale forma di accertamento viene poi eseguita: l’amministrazione
può quindi utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture,
ma anche dati da queste emergenti, nella misura in cui risultino
singolarmente affidabili. L’esistenza dei presupposti per
l’applicazione del metodo induttivo non esclude, infatti, che
l’amministrazione possa servirsi, nel corso del medesimo
di cui al primo coma dell’art. 39, oppure contemporaneamente di
entrambe le metodologie” (Cass. n. 27068 del 2006).
Nella specie il giudice d’appello ha considerato non
dimostrata la tesi della contribuente – incentrata sull’esistenza
di un conto di natura finanziaria, utilizzato dalle società del
gruppo… e da società terze per perseguire “obiettivi strategici
di investimento nonché per sopperire a momentanee crisi di
liquidità con la conseguenza della irrilevanza delle poste in
esso contenute ai fini del calcolo dell’utile di gestione” della “concentrazione in capo ad un unico soggetto della gestione
delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario e di
organismi sociali terzi, al fine di ottenere la migliore gestione
della tesoreria aziendale con relazione ai rapporti in essere tra
le società menzionate e gli istituti di credito. Di tale
contratto, denominato contratto di pool, di tesoreria accentrata,
infatti, la contribuente non ha offerto alcuna prova ritenendo
che ogni relativo onere ricada sull’ufficio”.
La Commissione regionale ha osservato, richiamando Cass.
sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27, che il bilancio di esercizio
che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art.
2423, secondo coma, cod. civ., è illecito, con conseguente
nullità della deliberazione assembleare che l’abbia approvato,
non soltanto quando la violazione della normativa in materia
determini una divaricazione tra il risultato effettivo
dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza,
ma anche nei casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi
allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle
informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle
singole poste iscritte.

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accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico

Ed ha ritenuto che, coincidendo la situazione descritta
nella pronuncia con quella riscontrata nel verbale di
constatazione posto a base dell’accertamento, l’ufficio abbia
legittimamente fatto ricorso al metodo induttivo di ricostruzione
del reddito effettivo, con inversione dell’onere della prova (sui
riflessi nell’accertamento del reddito d’impresa del principio di
chiarezza del bilancio e di corretta e veritiera rappresentazione
della situazione patrimoniale ed economica dell’impresa, cfr.,
Si rivelano quindi infondati, in particolare, i primi tre
motivi del ricorso principale, atteso che, come è incontroverso e
ulteriormente accertato dal giudice d’appello, la contestata
omessa contabilizzazione di ricavi è stata sempre riferita ad
operazioni non identificabili registrate nelle scritture della
società contribuente, e la verifica ha avuto ad oggetto al più
gli estratti conto bancari, ma non i movimenti bancari, sicché il
richiamo all’art. 37, primo coma, n. 2 e n. 7, del d.P.R. n. 600
del 1973 è semplicemente non pertinente.
Privo di pregio è quindi il motivo riferito ad un giudicato
costituito dall’esclusione della ricorrenza dell’ipotesi
considerata nelle disposizioni da ultimo menzionate, essendo una
siffatta non ricorrenza del tutto condivisa dal giudice
d’appello, nonché dall’ufficio appellante, che ha svolto con il
gravame difese comprese tutte entro il thema ohcichndum
originario, dato dalla contestazione formulata nell’avviso nei
termini detti.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “si ha
domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione
della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della
pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo
impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non
prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti
costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un
nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto
sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo
da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca
essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non

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tra le altre, Cass. n. 1910 del 2007, n. 21157 del 2008).

si è svolto in quella sede il contraddittorio” (Cass. n. 2201 e
10806 del 2012)
Sono perciò infondati il secondo ed il terzo motivo del
ricorso, che muovono dalla denunciata novità dei motivi di
appello, ovvero dal mutamento della domanda.
Il settimo motivo è del pari infondato, ove si consideri
che nell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei Cani aggiunti dall’art. 25
risposta agli inviti dell’ufficio da parte del contribuente
preclude, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e
contenziosa, la considerazione a suo favore degli elementi non
addotti, “non richiede che l’omissione sia frutto di un
comportamento doloso e fraudolento, intenzionalmente diretto ad
intralciare l’attività di accertamento, essendo sufficiente il
fatto obbiettivo della mancata risposta, a prescindere dalle
motivazioni della parte privata, ossia dall’elemento psicologico
del contribuente che omette di rispondere” (Cass. n. 28049 del
2009).
Inoltre, la dichiarazione del contribuente di non aver
potuto rispondere all’invito dell’Ufficio per causa a lui non
imputabile, che egli può formulare al fine di impedire la
produzione di detti effetti (impossibilità che le notizie non
fornite siano prese in considerazione a suo favore), deve essere
fatta in modo chiaro ed esplicito nel ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado, non richiedendosi la prova contestuale
della non imputabilità della causa dell’inadempimento (Cass. n.
28049 del 2009, cit.).
Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate è
fondato.
L’art. 7, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, come
convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, per le “sanzioni
amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o
enti con personalità giuridica” non contempla (più) la
responsabilità della persona fisica autore materiale delle
violazioni – prevista invece dall’art. 11, coma 1, del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472 -, stabilendo che le sanzioni stesse “sono
esclusivamente a carico della persona giuridica”.

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della legge 18 febbraio 1999, n. 28, nel prevedere che la mancata

La norma intertemporale dettata al successivo coma 2
dispone quindi che “le disposizioni del comma l si applicano alle
violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione sia
stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
La disposizione, nel consentire l’applicazione della
(nuova) disciplina dettata al comma 1 anche per violazioni
commesse anteriormente alla entrata in vigore del decreto,
fissato in via generale dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 472
del 1997 (“nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in
forza di una legge entrata in vigore prima della commissione
della violazione”).
A ben vedere, tuttavia, un siffatto contrasto non sussiste,
sol che si consideri che la responsabilità della persona
giuridica era già stabilita dalla previgente norma incriminatrice
del d.lgs. n. 472 del 1997, che pure al coma 1 dell’art. 11 la
contemplava in forma innegabilmente “rafforzata”, essendo
l’autore materiale della violazione “obbligato solidalmente [con
la persona giuridica] al pagamento di una somma pari alla
sanzione irrogata”.
Per dissolvere ogni equivoco, l’art. 7 del d.l. n. 269 del
2003 ha comunque espressamente previsto al coma 3 che “nei casi
di cui al presente articolo le disposizioni del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”: e ciò
con riguardo non solo alla previgente disciplina racchiusa
nell’art. 11, ma anche alle disposizioni dell’art. 3.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato, mentre
va accolto il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va
cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito,
rigettando il ricorso introduttivo del contribuente con riguardo
alle sanzioni.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, mentre vanno compensate fra le parti le
spese per i gradi di merito.
P . Q .M.

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potrebbe apparire in contrasto con il principio di legalità

La Corte, riuniti i

ILOENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 26,1 4/1916
N. 131 TAB. ALL. W – N. 5
NIATEZIA TRIBUTARIA
ricorsi, rigetta il ricorso principale

ed accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo di ricorso accolto e, decidendo nel
merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente in
ordine alle sanzioni .
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in euro 13.000, oltre alle spese prenotate a
debito, e dichiara compensate fra le parti le spese per i gradi
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2013.

di merito.

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