Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19696 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/09/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 27/09/2011), n.19696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16298/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

RICCARDO GAY MODEL MANAGEMENT SRL in persona dell’Amministratore e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA

Francesco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANNI MARONGIU, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 31/2007 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 02/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIORDANO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MARONGIU, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 31/19/07, depositata il 2.5.07, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano (OMISSIS) avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla società Riccardo Gay Model Management s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso a seguito dell’iscrizione a ruolo delle maggiori imposte e sanzioni per IRPEG, IRAP ed IVA, relative all’anno 1998.

2. La CTR riteneva, invero, che elementi favorevoli a favore della contribuente ben potessero desumersi dal giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della Riccardo Gay Model Management s.r.l., per reati connessi alla vicenda processuale in esame, nonchè dal fatto che la società estera – a favore della quale l’Ufficio riteneva fossero fittiziamente stornati parte dei ricavi da considerare, invece, prodotti nel territorio dello Stato – fosse interamente controllata dalla contribuente.

2.1. Il giudice di appello riteneva, altresì, che le peculiarità e la specificità dell’attività svolta dalla Riccardo Gay Model Management s.r.l., unitamente all’esiguità dei costi dedotti rispetto al volume d’affari realizzato, consentissero di escludere la finalità di evasione d’imposta.

3. Per la cassazione della sentenza n. 31/19/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, ai quali la Riccardo Gay Model Management s.r.l. ha replicato con controricorso.

Diritto

1. In via pregiudiziale, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardivita, proposta nel controricorso dall’intimata Riccardo Gay Model Management s.r.l..

1.1. Rileva, invero, la società resistente che, in data 10.6.08 – come si evince, altresì, dall’atto di notifica in rinnovazione del successivo ricorso del 4.7.08 – era stato notificato dall’Avvocatura dello Stato, presso la sede legale della società, un primo ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Lo stesso atto era stato, peraltro, notificato dalla difesa erariale anche al Dr. Francesco Spinoso, difensore costituito nel giudizio di appello nel quale la Riccardo Gay s.r.l. rivestiva la qualità di appellata, presso lo Studio Tributario Internazionale, in (OMISSIS), ove la società contribuente aveva eletto domicilio, in persona del predetto difensore. Tale notifica non era, tuttavia, andata a buon fine per irreperibilità del destinatario, per cui il ricorso per cassazione era stato notificato in rinnovazione, in data 7-10.7.08, alla Riccardo Gay s.r.l. presso il codifensore in appello, avv. Gianni Marongiu, nello studio di quest’ultimo, sito in Genova alla via Roma n. 11/5.

Senonchè, essendo stata tale seconda notifica effettuata oltre il termine di un anno – previsto dall’art. 327 c.p.c. (nel testo previgente, applicabile alla fattispecie ratione temporis), cui va aggiunto il periodo per la sospensione feriale – dal deposito della sentenza di appello, avvenuto il 2.5.07, il ricorso per cassazione, nonostante l’effettuata notifica in rinnovazione, dovrebbe essere dichiarato inammissibile, ad avviso dell’intimata, essendo l’Avvocatura dello Stato ormai decaduta dal potere di impugnare la sentenza di secondo grado.

1.2. Nè la costituzione della Riccardo Gay s.r.l. nel presente giudizio di legittimità, avvenuta con controricorso depositato il 23.7.08, potrebbe valere ad ovviare alla tardività del ricorso, atteso che detta costituzione, avvenuta a termine di impugnazione ampiamente scaduto, potrebbe, a parere dell’intimata, sanare la nullità della notifica dell’atto introduttivo solo con efficacia ex nunc, ossia con effetto dalla suindicata data di deposito del controricorso.

1.3. L’eccezione è infondata e va disattesa.

1.3.1. Rileva, invero, la Corte che, dall’esame della sentenza di appello, si evince che la Riccardo Gay Model Management s.r.l. nel giudizio di secondo grado era difesa da più codifensori, tra i quali il Dr. Francesco Spinoso – che rivestiva, altresì, la qualità di domiciliatario della parte – e l’avv. Gianni Marongiu, attuale difensore dell’odierna intimata.

Ne consegue che la notifica in rinnovazione del ricorso per cassazione, avvenuta in data 7-10.7.08 presso il professionista da ultimo menzionato, è stata effettuata dall’Avvocatura dello Stato presso uno dei difensori costituiti in secondo grado, ancorchè non avente la qualità di domiciliatario della parte.

1.3.2. Ebbene – come questa Corte ha già avuto modo più volte di precisare – la notificazione del ricorso per cassazione al codifensore costituito della parte appellata, privo della qualità di domiciliatario della medesima per il giudizio di appello, deve ritenersi nulla e non inesistente. E’, invero, del tutto evidente che, in siffatta ipotesi, la notifica del ricorso, benchè eseguita in un luogo diverso da quello prescritto (presso il procuratore costituito, che sia anche domiciliatario, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1), non è, tuttavia, priva di un astratto collegamento con il destinatario, poichè il professionista, presso cui l’atto risulta notificato, è pur sempre un difensore costituito del destinatario.

Ne discende che la notifica in tal modo effettuata, in quanto determina, non già l’inesistenza della notifica del ricorso per cassazione, bensì la sua nullità, è sanata, con effetto ex tunc, per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.), per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato, ancorchè questa avvenga dopo la scadenza del termine per proporre controricorso, ed anche se effettuata al solo scopo di eccepire la nullità (cfr., tra le tante, Cass. 15190/05, 10119/06, 1108/06, 20731/10, 6470/11).

1.3.3. L’avvenuta sanatoria, con efficacia retroattiva, della nullità della notifica del ricorso per cassazione esclude, pertanto, nel caso concreto la dedotta inammissibilità del ricorso per tardività; per il che l’eccezione proposta, in tal senso, dalla Riccardo Gay Model Management s.r.l. deve essere rigettata.

2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Osserva, invero, l’Ufficio che la ripresa a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP, costituente oggetto dell’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente, si fondava su un assunto di fondo dell’amministrazione finanziaria, e cioè sul carattere fittizio della società inglese Riccardo Gay International Ltd., costituente una “società non operativa, fittiziamente interposta nelle transazioni commerciali della contribuente, al fine di abbattere la sua base imponibile in Italia e far emergere parte degli utili del gruppo all’estero”.

in tal senso, l’amministrazione finanziaria aveva rilevato, nel giudizio di appello, che i costi recuperati a tassazione, poichè ritenuti non deducibili, inerivano essenzialmente alla corresponsione a favore di due società inglesi – la Lyon Trading Ltd. in una prima fase, esauritasi in precedenti periodi di imposta, poi, la Riccardo Gay International Ltd. – di una commissione pari al 15%, quale compenso per lo svolgimento del compito di scelta e gestione delle modelle (c.d. scouting), effettuata in relazione all’attività svolta dalla Riccardo Gay Model Management s.r.l.. Quest’ultima, invero, è una società di servizi, che ricerca e seleziona, per i propri clienti, modelli/e per sfilate, ed effettua servizi fotografici ed altre attività connesse.

Tali società estere, che – a detta della contribuente -provvedevano al pagamento dei compensi alle modelle, erano, tuttavia, risultate – a seguito di indagini condotte dalla Guardia di Finanza – del tutto prive di personale e di qualunque struttura operativa idonea a svolgere l’attività concernente le prestazioni fatturate. Per tali ragioni, pertanto, l’Ufficio era pervenuto al convincimento che il compenso corrisposto dalla Riccardo Gay s.r.l. alle consociate estere – ed in particolare per l’annualità 1998 – nella misura suindicata, fosse da ritenersi afferente ad operazioni inesistenti e, quindi, reddito sottratto all’imposizione fiscale.

2.2. Senonchè il giudice di appello – stando alle deduzioni della ricorrente – avrebbe fondato la decisione favorevole alla società contribuente su due elementi tra loro discordanti: l’esistenza di un giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della Riccardo Gay s.r.l., per fatti connessi a quelli oggetto del giudizio tributario; la relazione di controllo totalitario intercorrente tra la contribuente italiana e la società inglese.

Ebbene detti elementi – ad avviso dell’amministrazione – sarebbero palesemente inidonei a supportare una sentenza favorevole al contribuente, atteso che, mentre l’assoluzione in sede penale del proprio legale rappresentante costituisce indubbiamente una circostanza positiva per la Riccardo Gay s.r.l., la relazione di controllo totalitario della società inglese da parte dell’odierna intimata – non a caso costituente il perno su cui si basavano le argomentazioni dell’Ufficio – si traduce, per contro, in un elemento decisamente sfavorevole per la Riccardo Gay s.r.l..

Di qui la censura di contraddittorietà della motivazione, mossa dall’Agenzia delle Entrate all’impugnata sentenza.

2.3. Il motivo di ricorso è fondato e va accolto.

2.3.1. Osserva, invero, la Corte che la CTR è pervenuta alla decisione favorevole alla contribuente sulla base di due elementi, che si palesano in evidente contrasto tra loro. Per un verso, infatti, la sentenza di appello valorizza l’intervenuta assoluzione del legale rappresentante della Riccardo Gay Model Management s.r.l.

dall’accusa di avere indicato, nelle dichiarazioni dei redditi della società, elementi passivi fittizi, utilizzando fatture per operazioni inesistenti, relative ai servizi resi dalle due società inglesi suindicate.

Per altro verso, la decisione si fonda sulla considerazione che la società inglese Riccardo Gay International Ltd. – che viene in considerazione in relazione al periodo di imposta in discussione in questa sede – “è posseduta al 100% dalla società ricorrente Riccardo Gay Model Management s.r.l.”. Sicchè – ad avviso della CTR – parrebbe “impossibile configurare nella fattispecie una eva-sione di imposta in favore di una partecipata estera”, atteso che le risultanze di bilancio di quest’ultima dovrebbero “necessariamente confluire in quello (bilancio) della società madre ed essere ivi assoggettate a tassazione”.

2.3.2. Orbene, premesso che il giudicato penale – come più volte affermato da questa Corte – non ha efficacia vincolante nel processo tributario, potendo fornire al giudice solo materiale indiziario, da valutare nel quadro complessivo degli elementi di prova acquisiti nel giudizio (Cass. 10945/05, 5720/07, 20860/10) – l’unico altro elemento a carattere indiziario e presuntivo, che dovrebbe rafforzare, secondo il giudice di appello, quello desumibile dal giudicato, ossia il controllo totalitario della società estera da parte dell’intimata, in realtà finisce con l’indebolirlo, se non con il vanificarlo del tutto.

Ed invero, è di tutta evidenza che solo l’inesistenza di un rapporto di qualsiasi genere tra la società italiana e quella inglese avrebbe potuto far presumere che il pagamento a quest’ultima della commissione del 15% fosse giustificato da un’attività svolta dalla società estera a favore di quella italiana. In tale evenienza, pertanto, -come esattamente rilevato dall’Avvocatura dello Stato – sarebbe stato onere dell’Ufficio allegare e dimostrare le ragioni per le quali, attraverso il meccanismo sopra descritto, la Riccardo Gay s.r.l. avesse inteso trasferire utili ad una società inglese ad essa estranea.

Per converso, va senz’altro condiviso il rilievo della difesa erariale, laddove osserva che operazioni del tipo di quelle ascritte alla contribuente – dirette ad abbattere la base imponibile in Italia ed a far apparire parte degli utili del gruppo all’estero – sono ipotizzabili soltanto nell’ambito delle relazioni interne ai gruppi societari. E’ di chiara evidenza, infatti, che solo all’interno di tali gruppi è ipotizzabile la presenza di un interesse – peraltro, non meritevole di tutela fiscale – a far emergere i costi presso una società che opera nel Paese ad ambiente fiscale più ostile, ed i ricavi presso le società situate in Paesi a tassazione più favorevole. Basti por mente alla tematica del c.d. “transfer pricing”, desumibile dal disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 7 (art. 76, comma 5 del testo previgente), a norma del quale i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa o ne sono controllate, sono valutati in base al “valore normale” dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9. Tale disciplina costituisce, invero, una clausola antielusiva, in linea con i principi comunitari in tema di abuso del diritto, finalizzata ad evitare che all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori (cfr. Cass. 22023/06, 11226/07).

2.3.3. Alla stregua dei rilievi che precedono, appare, pertanto, del tutto evidente – a giudizio della Corte -la contraddittorietà intrinseca da cui risulta affetta la motivazione dell’impugnata sentenza, laddove si fonda esclusivamente sui due elementi probatori, sopra evidenziati, tra loro contrastanti, giacchè l’uno di essi sminuisce e vanifica l’altro. Talchè risulta veramente ardua la comprensione delle ragioni per le quali l’organo giudicante di appello si sia determinato ad adottare una decisione favorevole alla contribuente.

Ebbene, il vizio di contraddittorietà della motivazione – denunciato dall’Agenzia delle Entrate nel caso di specie – ricorre proprio in presenza di argomentazioni in contrasto tra loro, tali, dunque, da non rendere agevole – come nel caso concreto – la comprensione della “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato (cfr. Cass. S.U. 25984/10, Cass. 8106/06).

Se ne deve, pertanto, necessariamente inferire la piena fondatezza del motivo di ricorso proposto, a tal riguardo, dall’amministrazione finanziaria.

3. All’opposta conclusione deve, invece, pervenirsi – a giudizio della Corte – per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle Entrate denuncia la motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. Con riferimento, questa volta, alla ripresa a tassazione ai fini IVA, l’amministrazione, per un verso, lamenta la violazione, da parte della CTR, dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, in materia di certezza ed inerenza dei costi esposti in deduzione dalla società contribuente e contestati dall’Ufficio. Per altro verso, la ricorrente censura l’erroneità delle valutazioni operate in fatto dal giudice di appello nella concreta determinazione della deducibilità dei costi, esposti dalla contribuente ai fini della determinazione del reddito di impresa, poichè fondate – a suo dire – su parametri (la peculiarità dell’attività svolta dalla Riccardo Gay Model Management s.r.l. e l’esiguità dei costi rispetto al volume di affari realizzato nell’anno di imposta 1998) insufficienti a dare conto dell’effettiva certezza ed inerenza dei suindicati elementi negativi del reddito.

3.2. La censura – così come proposta – si palesa, ad avviso della Corte, del tutto inammissibile.

3.2.1. Per quanto concerne, infatti, la dedotta violazione dei principii in materia di onere della prova, va rilevato che il vizio andava dedotto dall’amministrazione sotto il profilo della violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c. , n. 3, e non come vizio della motivazione della sentenza di appello, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ed invero, solo l’erroneità della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, disciplinata dagli artt. 115 e 166 c.p.c., può ridondare – nei limiti di cui in seguito si dirà – in vizio motivazionale, denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Per converso la violazione delle norme (artt. 2697 e ss. c.c.) che disciplinano i principi in materia di riparto dell’onere della prova, nonchè l’astratta idoneità dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze, non può che essere denunciata sotto il profilo della violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 2707/04).

3.2.2. Quanto alla pretesa erroneità delle valutazioni operate in fatto dal giudice di appello nella concreta determinazione della deducibilità dei costi, esposti dalla contribuente, la censura – a parere della Corte – si palesa del pari inammissibile, per profili inerenti ai limiti del sindacato della motivazione della sentenza di appello nel giudizio di legittimità.

Va osservato, infatti, che la deduzione di un vizio di motivazione della decisione impugnata con ricorso per cassazione conferisce alla Corte, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, al fine di rivedere il ragionamento decisorio poichè non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi presi in considerazione. E’, per vero, fin troppo evidente che, in siffatta ipotesi, il motivo di ricorso si tradurrebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice stesso, volta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

La denuncia del vizio di motivazione può comportare, dunque, soltanto una verifica, da parte del giudice di legittimità, della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo – dopo avere valutato l’attendibilità e la concludenza delle prove assunte – tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a comprovare i fatti in discussione (cfr, ex plurimis, Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09, 6288/11).

3.2.3. Dalle premesse di principio suesposte deriva con piena evidenza, a giudizio della Corte che la deduzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate della pretesa erroneità delle valutazioni operate in fatto dal giudice di appello, nella concreta determinazione della deducibilità degli elementi negativi del reddito esposti dalla contribuente, poichè fondata su parametri erronei o inidonei, si traduce in un’istanza di riesame del merito della controversia, del tutto inammissibile in questa sede.

Per tutte le ragioni esposte, dunque, il secondo motivo di ricorso deve essere ritenuto inammissibile.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia evitando il ricorso ad argomentazioni contrastanti, secondo quanto statuito, al riguardo, da questa Corte.

5. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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