Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19695 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 22/07/2019), n.19695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARCHES BESSO Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17806-2017 proposto da:

C.O., V.G., C.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato

GERARDO RUSSILLO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE

GLICERIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI,

11, presso lo studio dell’avvocato MARIO TOBIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO ARMENIO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

CU.GI.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 91/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Agrigento con la sentenza del 29/7/2010 dichiarava aperta la successione di C.A., deceduto il (OMISSIS), dichiarava che la vendita del 9 gennaio 2001 era in realtà una donazione dissimulata, dichiarava che le donazioni effettuate dal de cuius in data 20/8/1992, 26/8/1992, 28/8/1992 e 9/1/2001 erano lesive della quota di legittima dell’attore, e previa riduzione delle donazioni effettuate in favore dei convenuti, nella misura necessaria ad assicurare la reintegra della detta quota di riserva, assegnava a C.B. la proprietà della metà del fondo in Butera di cui al foglio 215, p.11e 151, 152 e 153.

Avverso tale sentenza proponeva appello lo stesso C.B. e la Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 91 del 24/1/2017 accoglieva in parte l’appello principale e l’appello incidentale avanzato da C.G., C. ed O., rideterminando le somme dovute da quest’ultimi all’appellante principale a titolo di conguaglio, ferma restando l’attribuzione del detto fondo in favore dell’attore.

Esaminando prioritariamente l’appello incidentale, osservava che sussistevano effettivamente numerosi elementi presuntivi deponenti per la ricorrenza di una donazione simulata, mancando altresì la prova del versamento del corrispettivo della vendita.

Inoltre non poteva inficiare tale conclusione la circostanza che il contratto prevedesse a carico degli acquirenti una serie di prestazioni assistenziali in favore dell’alienante atteso che l’attività di cura ed assistenza da parte dei figli in favore del genitore non costituisce oggetto di uno scambio oneroso, salvo che non sia stato pattuito un vitalizio oneroso, che nel caso in esame non era stato concordato.

Tuttavia occorreva tenere conto di una serie di esborsi effettuati dagli appellanti incidentali per la presentazione delle domande di sanatoria dei beni donati e del pagamento degli oneri di oblazione e ciò ai fini dell’individuazione delle somme ancora dovute al fine di reintegrare la quota di legittima.

Ancora, disattese le ulteriori richieste istruttorie avanzate dai convenuti, in quanto aventi in parte carattere generico ed in parte contenuto esplorativo, passando alla disamina dell’appello principale, rilevava che effettivamente il de cuius poteva disporre solo della quota di un mezzo dei beni alienati in maniera simulata ai convenuti, in quanto la restante quota apparteneva alla moglie premorta del de cuius che ne aveva disposto in favore del marito e dei figli G., C. ed O..

Ne derivava che ai fini del calcolo della quota di legittima non poteva considerarsi il valore integrale del bene de quo, ma solo della sua metà, il che portava a ridurre l’ammontare del relictum, con la conseguente riduzione anche della quota di riserva.

La quota di riserva era quindi soddisfatta, in parte con un bene che già era stato donato all’attore, in parte confermando l’attribuzione dei beni simulatamente donati ai convenuti, ma nella diversa misura di un mezzo, dovendo essere la residua parte soddisfatta in denaro dai convenuti, al netto di quanto loro spettante per il rimborso degli interventi di sanatoria edilizia.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C.G., V.G., quale erede di C.C., e C.O. sulla base di tre motivi.

C.B. ha resistito con controricorso.

Cu.Gi. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Preliminarmente deve essere disattesa la deduzione di parte controricorrente secondo cui il ricorso sarebbe improcedibile per essere stato tardivamente depositato in Cancelleria.

Assume la parte che a fronte della notifica del ricorso avvenuta in data 3/7/2017, l’atto de quo è stato poi depositato nella Cancelleria della Corte solo in data 25/7/2017 e quindi oltre il termine di venti giorni prescritto dalla norma.

Tuttavia la parte eccipiente non si è avveduta del fatto che il deposito del ricorso è avvenuto ai sensi dell’art. 134 disp. att. c.p.c., che appunto dispone che ove la parte si avvalga del servizio postale, il deposito del ricorso si intende avvenuto a tutti gli effetti alla data di spedizione dei plichi con la posta raccomandata.

Nel caso di specie la spedizione del ricorso ai fini che qui interessano è avvenuta in data 14/7/2017, e quindi nel rispetto del termine previsto per il deposito del ricorso dall’art. 369 c.p.c.

Ritiene il Collegio che il ricorso principale sia però improcedibile per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le è stata notificata in data 2/5/2017, non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione, avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello, ma senza però che sia stata versata in atti anche la relata di notifica, ed in particolare, ove la notifica fosse avvenuta a mezzo pec il messaggio di avvenuta ricezione con relativa attestazione di conformità.

Peraltro la copia autentica con relata di notifica non si rinviene nemmeno nella produzione di parte controricorrente, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

Nè nella controversia può ritenersi che possa spiegare efficacia quanto alla correttezza del rilievo dell’improcedibilità, di cui alla proposta del relatore, quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019.

Tale decisione, sebbene riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, laddove nel caso in esame si riferisce in ricorso di una non meglio precisata, quanto alle modalità di esecuzione, notifica della sentenza gravata, anche laddove voglia reputarsi che nel caso in esame la notifica sia avvenuta a mezzo pec, ha, infatti, avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2), che ai fini della procedibilità del ricorso si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorchè prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità del messaggi cartacei.

Deve quindi reputarsi che il ricorso resti improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, anche i detti messaggi pec con annesse ricevute.

Nel caso in esame, come rilevato, risulta prodotta solo copia della sentenza d’appello, non rinvenendosi copie cartacee dei messaggi di spedizione e ricezione a mezzo pec della stessa sentenza, nè nella produzione del ricorrente nè in quella di parte controricorrente (e ciò anche a voler soprassedere circa il fatto che in assenza di attestazione di conformità, attesa la presenza di una parte intimata, non potrebbe ovviarsi alta detta carenza per effetto della sola condotta processuale delle altre parti).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a provvedere quanto alla parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso improcedibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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