Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19687 del 28/08/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 19687 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA
sul ricorso 16271-2012 proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERI
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ, RICERCA, SALUTE, ECONOMIA
E FINANZE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che li rappresenta e difende ope legis,
– ricorrenti contro

D’AGOSTINO GENNARO;
– intimato –

Data pubblicazione: 28/08/2013

avverso la sentenza n. 16/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA
del 19/11/2010, depositata il 09/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato Ettore Figliolia (Avvocatura dello Stato) difensore dei

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA
che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso.

Svolgimento del processo
1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri
dell’Istruzione, Università e Ricerca, della Salute e dell’Economia e
Finanze ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della
sentenza n. 16 del 9.1.12 della corte di appello di Roma, con la quale,
in parziale riforma della sentenza del tribunale della Capitale, è stato
accolto l’appello proposto da Gennaro D’Agostino avverso la
reiezione della sua domanda di condanna per il pagamento della giusta
remunerazione — o per il risarcimento del danno consistente nella
mancata percezione di quella — per il periodo di frequenza di scuole
universitarie di specializzazione di medicina in tempo anteriore
all’entrata in vigore del d.lgs. 257/91, per inadempimento agli obblighi
derivanti allo Stato dalle direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE. In
particolare e per quel che qui ancora rileva, la gravata sentenza ha
confermato la carenza di legittimazione passiva dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, pure evocata in giudizio, ma, sia pure
ancorando exordium praescriptionis alla data di entrata in vigore del d.lgs.
257/91, accolto la domanda del D’Agostino, liquidandogli in via
equitativa un danno, già rivalutato all’attualità, di € 50.000, oltre
ulteriori interessi dalla sentenza al soddisfo. Non svolge attività
difensiva l’intimato, sebbene la difesa erariale depositi memoria.
Ric. 2012 n. 16271 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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ricorrenti che si riporta ai motivi;

Motivi della decisione
2. La questione per cui è causa è stata affrontata con dovizia di
argomentazioni da questa Corte a partire dalle sentenze nn. 10813,
10814, 10815 e 10816 del 17 maggio 2011: sui cui principi la
giurisprudenza di questa Corte si è poi andata definitivamente

pronunce: dell’anno 2011: 16394, 17868, 21497, 21498, 21499, 21500,
21501, 21973, 23270, 23272, 23275, 23276, 23296, 23297, 23298,
23558, 23560, 23564, 23565, 23566, 23567, 23568, 23569, 23576,
23577, 23578, 23579, 23580, 23581, 23582, 23729, 23730, 23731,
23732, 23733, 23734, 23735, 23738, 23764, 23999, 24019, 24020,
24086, 24087, 24088, 24091, 24092, 24093, 24094, 24813, 24815,
24816, 24817, 24818, 24819, 24820, 24821, 24822, 25992, 25993,
25994, 26701, 26702; dell’anno 2012: 1182, 1850, 1917, 3972, 3973,
4240, 4241, 4537, 4538, 4539, 5064, 5065, 5533, 5640, 5642, 6911,
7257, 7282, 8403, 10298, 21003, 21006, 21072, 21073, 21074, 21075,
21076, 21077, 21719, 21720, 21721, 21722, 22034, 22035, 22036,
22037, 22038, 22040, 22041, 22042, 22709, 22875, 22876, 23929;
dell’anno 2013: 238, 586, 587, 1156, 1157, 1330, 1331, 1588, 1589,
1591, 1864, 3217, 3218, 3219, 3220, 3279, 8578, 8579, 8580, 11941,
14062, 16104).
L’isolata contraria opinione di Cass. 9071/13 – prontamente invocata
dalla difesa erariale – non può quindi rilevare (in tal senso, v. già Cass.
26 giugno 2013, n. 16104), bastando qui un integrale richiamo ai
principi in tale ben più pregnante orientamento elaborati, cui è
possibile e doveroso assicurare continuità anche in questa sede.
Ciò posto, va rilevato che i ricorrenti si dolgono: con il primo motivo,
del proprio difetto di legittimazione passiva; con il secondo motivo,

Ric. 2012 n. 16271 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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consolidando nei medesimi sensi (basti qui menzionare, tra le altre, le

dell’erroneità della liquidazione risarcitoria e comunque della
considerazione sia degli interessi che della rivalutazione monetaria.
3. Il primo motivo di ricorso, per quanto in astratto articolato su di una
corretta tesi giuridica, non può condurre alla cassazione della sentenza:
e tanto in applicazione dei principi già enunciati da Cass., ord. 17

ulteriori riferimenti), nonché di quelli elaborati da Cass. 26 giugno
2013, n. 16104.
Per brevità richiamati i motivi ivi elaborati, può infatti concludersi che:
3.1. ribadito il principio affermato da Cass. Sez. Un. 29 maggio 2012,
n. 8516, per il quale l’operatività dell’art. 4 della legge 25 marzo 1958,
n. 260, è limitata al profilo della rimessione in termini, deve ritenersi
che, quanto meno nel caso in caso di contumacia in primo grado

o in quello in cui l’eccezione di erroneità di identificazione della
controparte pubblica manchi anche solo della contemporanea
indicazione di quella corretta, le esigenze di tutela del diritto del
privato impongono di ritenere inefficace l’eccezione stessa e,
impedendo così la rimessione in termini della controparte,
comportano la definitiva sanatoria del vizio originario di
identificazione del convenuto: con la conseguenza che gli effetti
della pronuncia si produrranno nei confronti non del reale o corretto
destinatario, ma soltanto del destinatario effettivo della domanda;
3.2. in altri termini, ove la difesa erariale si sia costituita per
l’articolazione evocata erroneamente in vece di quella giusta e ci si
trovi in presenza di distinte soggettività, è la difesa erariale che invoca
l’applicazione dell’art. 4 e, quindi, adempie al dovere di segnalare la
soggettività giusta, che dopo avere tenuto tale comportamento, è
legittimata a chiedere una rimessione in termini; se la difesa erariale
non lo faccia e, tanto se si astenga dall’indicare la soggettività giusta,
Ric. 2012 n. 16271 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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giugno 2013, n. 15195, ovvero da Cass. 18 giugno 2013, n. 15197 (ove

quanto se la indichi, l’irritualità così verificatasi, non integrando un
vero e proprio problema di legittimazione, diventa irrilevante e la
soggettività evocata erroneamente in giudizio vi deve restare senza
poter pretendere che la relativa questione sia trattata come difetto di
legittimazione; e semmai, se la soggettività nell’articolazione giusta sia

rimessione in termini di cui parlano le Sezioni Unite;
3.3. poiché non risulta — anche in relazione al contenuto specifico del
ricorso, in rapporto alle prescrizioni di cui all’art. 366 cod. proc. civ. —
che la difesa erariale abbia invocato tempestivamente e ritualmente
(vale a dire, con le modalità sopra riassunte) la norma dell’art. 4 della
legge 260 del 1958, la sua eccezione non può condurre alla cassazione
della sentenza, bene questa essendo stata resa nei confronti
dell’Amministrazione che non si è — o che non dimostra essersi —
ritualmente avvalsa della detta facoltà;
3.4. pertanto, sia pure con la corrispondente correzione — sul punto —
della gravata sentenza, il motivo di ricorso va rigettato.
4. Fondato però è il secondo motivo: con richiamo alle ampie
argomentazioni già sviluppate in Cass. 11 novembre 2011, n. 23558 o
in Cass. 13 marzo 2012, n. 3972, può qui bastare riaffermare il
principio, ivi raggiunto ed al quale ritiene il Collegio necessario
assicurare continuità, per il quale si tratta di un peculiare diritto (para)risarcitorio, con successiva quantificazione equitativa, la quale — da un
lato — ha quale parametro le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre
1999, n. 370 (con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad
un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di
tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre
1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare
luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e
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indicata, sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la

che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991) e — dall’altro —
comporta esclusivamente gli interessi — e quindi non anche la
rivalutazione, salva la prova del maggior danno ai sensi del capoverso
dell’art. 1224 cod. civ. e della giurisprudenza sul punto maturata — e
dalla data della messa in mora, in considerazione del fatto che, con la

risarcitoria acquistò il carattere di un’obbligazione di valuta.
5. Ed è appena il caso di precisare che nessuna influenza può avere la
sopravvenuta disposizione di cui all’art. 4, comma 43, della legge 12
novembre 2011, n. 183 – secondo cui la prescrizione del diritto al
risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive
comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 cod. civ. e decorre
dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la
direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente
verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione,
non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi
successivamente alla sua entrata in vigore e cioè al 10 gennaio 2012
(Cass. 9 febbraio 2012, n. 1917; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1850).
6. La gravata sentenza, nella parte in cui liquida il risarcimento in
misura e con accessori (e decorrenze) diverse, va quindi cassata in
relazione a questa sola censura accolta, con rinvio alla stessa corte di
appello di Roma, in diversa composizione, affinché ridetermini il
quantum alla stregua dei principi di cui al punto 5 ed alla giurisprudenza
ivi richiamata, pure provvedendo, in considerazione dell’esito
complessivo della lite, sulle spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.
La Corte rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo motivo di
ricorso; cassa la gravata sentenza in relazione alla sola censura accolta e

Ric. 2012 n. 16271 sez. M3 – ud. 03-07-2013
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monetizzazione avutasi con la legge n. 370 del 1999, l’obbligazione

rinvia alla corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche
per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile

della Corte suprema di Cassazione, addì 3 luglio 2013.

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